<2> LA CHIESINA DI SAN GIOBBE
Squillò il campanello di casa. Mi affacciai sul portoncino
e salutai:
- Ciao, Margherita.
- Ciao, ciao, ciao! Ti ho riportato il registratore e il
cellulare magico.
Appena fu entrata in casa, la feci accomodare nel mio
studiolo. Senza fermarsi mi sciorinò:
- Interessantissima la storia della libreria Eden.
L’arcivescovo Ruffino mi ha entusiasmato e commosso. Mi
piacerebbe tanto conoscere le altre cose che a Fucecchio
non ci sono più. Puoi farmele conoscere? Puoi, puoi, puoi?
- Ne sono felice. Possiamo cominciare subito. Seguimi.

A piedi salimmo in piazza dell’Ospedale, scendemmo in Via
Guglielmo di S. Giorgio, in Piazza Garibaldi fino in fondo
a Via S. Giovanni. Qui giunti ci fermammo.
- Adesso scenderemo lungo questa via lastricata che porta
ai piedi della Valle formata da queste colline. Quando io
ero un ragazzo si chiamava Via della Valle; oggi, Mario
Sbrilli.
Scendemmo fino al termine della via lastricata. Proprio in
quel punto aggettano due edifici: uno a destra e l’altro a
sinistra.
- Qui, dove finisce la lastricatura della strada, c’era
una torre con la porta: e dai due lati laterali della
torre si dipartivano le mura di recinzione del nostro
paese. Nell’edificio che si trova alla nostra destra c’era
una chiesina intitolata a S. Giobbe ed anche alla Madonna
dell’Umiltà. Tieni: prendi il cellulare magico. La
chiesina di S. Giobbe che non c’è più è tutta tua.
Margherita non se lo fece ripetere. Mi prese di mano il
cellulare, abbassò la sciarpa a girocollo per liberare la
sua bocca dalle labbra ben disegnate, premette il pulsante
verde e, sgranando i suoi occhi dal colore indefinibile,
ma sempre pieni di luce, chiese con la consueta rapidità:
-Con chi sto parlando?
La sagrestana
Una voce bofonchiante, ma volutamente gentile rispose:
- Sono l’ultima sagrestana della chiesa che vi sta di
fronte. Io venivo chiamata la custode della chiesa e della
stanza mortuaria; però svolgevo anche tutte le altre
attività che competono ai sagrestani.
- Come,come, come? Qui c’era una chiesina? Ma come è
possibile?
- Sì, cara la mia bella ragazzina, qui c’erano una
chiesina, la stanza mortuaria ed una stanzaccia per me con
cucina e giaciglio. Comunque ero fortunatissima..
- Perché, perché, perché?
- Perché proprio costì c’era il pozzo pubblico dove potevo
attingere l’acqua senza dover camminare. Aprivo la porta e
mi trovavo davanti al pozzo. Le poverette che abitavano in
Via Cammullia dovevano far tutta la discesa della Greppa e
poi salire per l’erta della medesima Greppa. Credimi,
ragazza, mia, non era agevole. E l’approvvigionamento
dell’acqua era un compito esclusivo delle mogli e dei
figli.
- Tu – proseguì la ragazzina polacca – mi hai detto che
sei stata l’ultima custode della chiesa. Puoi dirmi quando
fosti licenziata e messa fuori dalla tua stanzaccia?
- Me lo ricordo molto bene: venni messa fuori di casa il
23 luglio 1789 e cioè 223 anni fa.
- E perché venisti licenziata? Puoi rivelarmelo?
- Ma, diamine! Venni messa fuori di casa perché la chiesa
e le altre due stanze furono vendute per 150 scudi al
signor Banti di Fucecchio.
- Ma com’è possibile – obbiettò Margherita – che i preti
vendano una loro chiesa?
- Ma non la vendettero mica i preti, cara mia!
- E allora chi la vendette?
- Il Comune di Fucecchio. Sì, hai capito bene: la vendette
proprio il Comune di Fucecchio.
- Lei, cara sagrestana, mi fa venire il capogiro. Io non
ci capisco niente in questo affare.
- Hai ragione. Se avrai la pazienza di ascoltarmi te lo
spiegherò. Questa chiesina non era dei preti, ma del
Comune. L’aveva fatta costruire il Comune e per questo ne
era proprietario.
- Allora il Comune volle fare un dispetto ai preti!?
- Nessun dispetto, cara Margherita. Il Comune la vendette
per necessità. Il Comune era indebitato fino ai capelli.
Ed entro il febbraio del 1890 doveva restituire al Monte
di Pietà i mille scudi che aveva ricevuto in prestito. Per
recuperare una parte di questi mille scudi, il Comune era
stato costretto a vendere anche questa chiesina.
- Ma perché, mi scusi, il Comune si era indebitato fino ai
capelli?
- Per colpa dei preti, ragazza mia.
- Mi ritorna il capogiro: sì, sì, sì!
- Margherita bella, un minuto prima ti avevo chiesto di
ascoltarmi con un po’ di pazienza. Tu, però, mi interrompi
spesso. Ascolta.
- Ascolto, ascolto, ascolto.
- I preti avevano preteso che il Comune di Fucecchio
costruisse sul Poggio Salamartano e davanti alla Piazza
una chiesa nuova di zecca: la Collegiata, che sicuramente
avrai visto. I preti, lo sai meglio di me, a quel tempo
“erano del piglia e non del dai”: volevano le cose, ma le
dovevano pagare gli altri. Ed il Comune per poter far
costruire la Collegiata ne dovette spendere diverse di
migliaia di scudi. E siccome non ce li aveva dovette
farseli prestare dalla banca di allora – il Monte di Pietà
– ed dal Granduca di Toscana. Io non ti dico cos’altro
dovette vendere* per pagare i debiti contratti. Ti ho
voluto solo spiegare perché il Comune fu costretto a
vendere questa chiesa che era sua e per la quale aveva
dovuto spendere una discreta sommetta anche 16 anni prima,
nel 1773.
- Ché forse l’aveva costruita soltanto sedici anni prima?
- No, no! Il Comune l’aveva costruita nel 1617. La spese
del 1773 erano di altra natura. Senti, Margherita, io ora
ti devo lasciare. Se vuoi sapere qualcosa di più preciso
su questa chiesina, potrai parlare direttamente con lei
premendo il tasto rosso del tuo cellulare magico.
- Prima di congedarmi da te e prima ancora di ringraziarti
vorrei sapere come te la cavasti dopo che fosti messa
fuori dalla tua “stanzaccia”.
- Io avevo una sorella che, qualche mese prima, aveva
perduto il marito. Era senza figli. Fu lei che mi chiese
di ritirarmi in casa sua. Eravamo molto povere, ma
riuscimmo a sopravvivere anche se dovemmo patire un po’ di
fame. Margherita, io pregherò per te. Mi auguro tanto che
tu riesca ad accasarti convenientemente in questo paese e
che tu possa riprendere contatto, in una maniera o
nell’altra, con i tuoi genitori. Ti abbraccio, dolce
Margherita. Sei veramente buona e meriti tanta fortuna.
Margherita, con le lacrime agli occhi, riuscì a dire:
- Grazie!
Fra me e Margherita ci si mise di mezzo la Madonna
dell’Umiltà
Anch’io non riuscii a frenare la mia commozione. Avrei
preferito non ascoltare la storia che ci aveva narrato la
sagrestana di questa chiesina.
- Vogliamo andare? – proposi a Margherita.
- No, no, no! Io desidero sapere tutto su questa chiesina.
Tu, Mario, lo sai a chi era intitolata?
- Era intitolata a S. Giobbe ed alla Madonna dell’Umiltà.
- La Madonna dell’Umiltà? Ché forse ci sono altre Madonne?
- Sì – risposi - oltre alla Madonna dell’Umiltà c’è anche
quella della Maestà.
- E quale differenza c’è fra l’una e l’altra?
A bella posta risposi:
- La Madonna dell’Umiltà viene raffigurata seduta per
terra col Bambino Gesù; quella della Maestà viene dipinta
seduta sul trono, sempre col Bambino Gesù.
- Scusami, Mario, ma io non capisco che differenza c’è fra
le due Madonne.
- Hai perfettamente ragione. Devi sapere che per noi
cattolici la Madonna rappresenta l’immagine della Chiesa.
I fedeli che venerano la Madonna dell’Umiltà vorrebbero
che la Chiesa, cioè il papa, i vescovi ed i sacerdoti, si
mostrassero al nostro livello, come persone comuni uguali
a noi e non superiori. I devoti della Madonna della
Maestà, invece desiderano che la Chiesa stia ad un livello
molto più elevato del nostro. A Fucecchio, perciò, si
desiderava un clero umile e non vanitoso, borioso, ricco.
- Se non hai fretta. Mario, io vorrei parlare con la
chiesina di san..? Non mi ricordo il nome del santo.
- Di San Giobbe.
- Grazie, grazie, grazie.
La chiesa parlante di S. Giobbe non riuscì a celare la
sua amarezza
Margherita, pantaloni neri in piega, mantellina bianca con
guarnizione nera e sciarpa girocollo bleu molto scuro,
premette il pulsante rosso e subito:
- Ciao, Margherita, e benvenuta nella nostra terra. Sono
molto contenta della tua presenza in questa piccola area.
Ho capito che tu vuoi sapere tutto di questa chiesina,
vero?
- Oh, sì,sì, sì! Eri molto piccola?
- No, no. Della chiesina non sono rimaste nemmeno le
fondamenta. Ero molto più larga di questo avancorpo e
molto , molto più profonda. L’ultima sagrestana ti ha già
detto che venne edificata per volontà del Comune nel 1617.
- Da chi veniva officiata? E quando veniva officiata?
- Veniva officiata da un cappellano tutte le domeniche e
in occasione della festa di San Giobbe che cade il 10
maggio di ogni anno.
- Ma sarà stata officiata dal cappellano anche quando
moriva qualcuno, visto che accanto alla sagrestia c’era
anche la stanza mortuaria.
- Mi dispiace contraddirti, ma non era così, cara
Margherita. Hai toccato un brutto tasto, mia dolce
Margherita.
- Perché?
- Te ne parlerò chiaramente dopo che ti avrò riferito
sulla bellissima festa che venne celebrata in questa
chiesa il 10 aprile 1773.
- Prima che mi dimentichi – interloquì la giovane polacca
– vorrei sapere se almeno su di una parete della chiesa
era raffigurata la Madonna e come lo era.
- Ma diamine! Te lo ha detto anche Mario che io venivo
chiamata anche chiesina della Madonna dell’Umiltà. Il
quadro della Madonna seduta per terra con il Bambinello
era attaccato alla parete destra; sulla parete sinistra
c’era invece il quadro di San Giobbe.
- Prima che tu mi parli della bellissima festa del 1773,
desidererei sapere da chi veniva pagato il cappellano che
tutte le domeniche veniva qui a celebrare una Messa.
- Veniva pagato dal Comune.
- E quanti soldi guadagnava?
- Nemmeno un centesimo.
- Ma lei, cara chiesina, mi sta prendendo in giro.
- Nient’affatto, Margherita. Il cappellano veniva pagato
in natura dal Comune.
- Scusami, chiesina bella, ma io non capisco.
- Devi sapere, cara Margherita, che il nostro Comune di
quattrini ne ha avuti sempre pochissimi; però era
proprietario di moltissimi poderi e di molti pezzi di
bosco. Ed allora il Comune disse al nostro cappellano:”Se
ti va bene, io ti passo un quarto del raccolto che mi
spetta del podere di Staccio”. Perciò ogni volta che il
contadino raccoglieva qualcosa doveva darne una parte al
cappellano che officiava questa chiesina. Naturalmente il
cappellano vendeva tutto ciò che gli dava Staccio e così
poteva anche lui sopravvivere. Credimi, i cappellani,
molte volte pativano la fame. Il nostro era fortunato
perché doveva officiare anche un’altra chiesina che a quel
tempo si chiamava oratorio. Difatti lui doveva officiare
anche l’Oratorio di S. Fabiano che si trovava nelle
Cerbaie. Hai capito, Margherita?
- Sì,sì,sì. Ora puoi parlarmi della grande festa che si
svolse in questa chiesina?
- Vi si svolse il 10 aprile 1773. Tre anni prima della
festa era successo un fatto spiacevole. La sagrestana si
era accorta che la parete alla quale era addossato
l’altare trasudava una umidità talmente intensa che
bagnava perfino il tabernacolo e la tovaglia dell’altare.
Il cappellano avvisò subito il Comune. Il sindaco chiese
al suo ingegnere cosa si poteva fare per togliere quella
umidità.
“Non ci si può far niente, sindaco”. Preoccupato, il
sindaco osservò: “Ci dovrà pur essere una soluzione!”
L’ingegnere rispose:” Basterebbe spostare l’altare dal
muro di tre braccia. Però, caro sindaco, dovrà chiedere il
permesso al vescovo di S. Miniato”. Il sindaco ottenne
questo permesso e l’altare venne staccato dal muro di tre
braccia. Per effettuare questo spostamento l’altare venne
prima sconsacrato dall’arciprete della Collegiata. Dopo
che fu spostato, l’altare dovette essere riconsacrato per
consentire al cappellano di potervi celebrare la Messa. E
sai chi venne a consacrarlo?
- No, non lo so.
- Venne addirittura il nostro vescovo di S. Miniato.
- Ma la festa in che cosa consistette? – chiese
Margherita.
- Cara la mia Margherita, tu non potresti nemmeno
immaginarlo. Venne fatta una processione solenne che fece
il giro del paese e che si concluse davanti alla mia
chiesina. A questa processione partecipò il vescovo in
pompa magna, tutto il Capitolo della Collegiata, i frati
col saio nero che si trovavano nel convento sul Poggio
Salamartano, i frati col saio marrone di Piazza La
Vergine, una mezza dozzina di confraternite e tutta la
popolazione di Fucecchio. La via lastricata ed anche
quella sterrata si riempirono di persone. In chiesa ci
poté entrare soltanto il vescovo con due sacerdoti. Appena
il vescovo ebbe riconsacrato l’altare intonò il Te Deum,
impartì la benedizione e poi andò a spogliarsi nella
Collegiata che a quel tempo era molto più piccola di
quella attuale. E tutti i fedeli che avevano preso parte
alla solenne processione vollero vedere com’era stato
sistemato l’altare rimosso dalla parete. Quanto piansi,
Margherita! Piangevo dalla felicità. Non avevo mai visto
tanta gente nella mia chiesina. Qualcuno però si mordeva
le labbra dal nervosismo.
Il tasto debole toccato inavvertitamente da Margherita
Margherita riprese:
- Tu chiesina, mi fai morire dalla curiosità. Mi puoi dire
chi si mordeva le labbra per il nervosismo?
- I frati col saio nero ed anche quelli col saio marrone.
- E perché erano tanto nervosi?
- Perché il Granduca, poco tempo prima, aveva emesso una
legge che tagliava loro le gambe, per modo di dire.
- Non capisco niente, cara chiesina.
- Hai ragione, Margherita. Devi sapere che anche trecento
anni fa i trasporti funebri erano un grosso affare o per i
preti o per i frati. A quel tempo non c’erano le pompe
funebri. Ogni volta che moriva qualcuno, specialmente se
era benestante, preti e frati entravano in conflitto.
Siccome i frati praticavano dei prezzi inferiori rispetto
a quelli dei preti, quasi tutti i funerali venivano
officiati dai frati. I preti si arrabbiavano e si
lamentavano continuamente con il granduca della Toscana. I
cappellani erano tagliati fuori da questo affare perché
essi non potevano officiare i funerali. Proprio nei giorni
vicini a quello in cui si svolse la processione solenne il
granduca della Toscana emise la legge che tagliò le gambe
ai frati neri e a quelli marroni.
- Non capisco neppure ora, chiesina – obiettò Margherita.
- Hai ragione. La legge proibiva alle persone di fare i
funerali fuori della propria parrocchia. A Fucecchio c’era
una parrocchia sola: quella della Collegiata. Perciò i
fucecchiesi erano obbligati a fare i trasporti dei defunti
tramite l’arciprete della Collegiata e basta. I frati neri
e quelli marroni non poterono più effettuare i trasporti
funebri e quindi non guadagnarono più nemmeno un
centesimino. Per questo si mordevano le labbra. Erano
arrabbiati contro il granduca della Toscana, ma
soprattutto con l’arciprete della Collegiata perché tutti
i soldi dei funerali, ora, se li intascava lui e basta. I
soldi non fanno ballare soltanto i burattini, cara
Margherita: fanno ballare anche preti e frati.
- Ho capito – annuì Margherita – Io tutte codeste cose non
le sapevo.
Il pianto sconsolato della chiesina della Madonna
dell’Umiltà
A questo punto la chiesina cominciò a piangere a dirotto.
Sembrava irrefrenabile quel pianto.
- Ma perché piangi così tanto ? – le chiese con commozione
l’afflitta ragazzina polacca.
- Mario – proruppe la chiesina – spiegaglielo tu. Io non
ce la faccio.
Obbedii e spiegai a Margherita:
- 13 anni dopo quella festa del 1773, e precisamente nel
1786, il sindaco di Fucecchio decise di vendere questa
chiesina per poter pagare i debiti accumulati. E per
poterla vendere occorreva sconsacrare l’altare. Il 14
agosto del 1786 il sindaco chiamò l’arciprete della
Collegiata e gli fece sconsacrare l’altare. La chiesina ti
ha raccontato con quale solennità era stato consacrato dal
vescovo quell’altare. Ecco perché la chiesina piange
dirottamente. Appena l’altare venne sconsacrato la
chiesina non esistette più, finì, morì, diventò una stanza
, un magazzino, cioè niente. La chiesina non esisteva più:
era morta per sempre. Ora potrai benissimo capire come mai
piange così dirottamente.
E Margherita:
- Hai ragione, chiesina mia. Vorrei tanto abbracciarti per
condividere il tuo dolore. Ti saluto con tutto il cuore.
- Non andartene, Margherita.
L’ultimo messaggio della ex chiesina
- Cos’altro devi dirmi, chiesina della Madonna
dell’Umiltà?
- Ricordati, Margherita, che io ero anche la chiesina di
S. Giobbe. La Madonna ve la ricordate sempre tutti e tutti
i giorni. Io vorrei tanto che i miei compaesani, almeno il
10 maggio di ogni anno si ricordassero di S. Giobbe, uno
dei più grandi santi dell’umanità. Oggi, fatta eccezione
per S. padre Pio, i Santi sono caduti in disuso. Peccato!
Chi non conosce S. Giobbe rischia di non capire niente dei
disegni provvidenziali di Dio, rischia di non saper dare
un significato alle disgrazie ed ai conseguenti dolori che
la vita sembra dispensarci.
- Scusami, chiesina, potresti raccontarmela tu la storia
di S. Giobbe.
- Margherita, non ce la farei. Ho ancora tanta voglia di
piangere.
- Ed allora cosa devo fare per conoscere San Giobbe?
- Quando rientrerai a casa, dovrai aprire il cassetto del
tuo comodino e ci troverai un volantino nel quale è
narrata la vita di S. Giobbe. Tienine di conto,
Margherita. Ciao. Qualche volta ricordati di me. Sappi che
ti voglio tanto bene. Salutami tutti i tuoi familiari.
Margherita cominciò a piangere, sia pure silenziosamente.
La vita del grande San Giobbe
Appena Margherita giunse a casa, andò nella sua cameretta,
aprì il cassetto del comodino, tirò fuori il volantino e
lesse:
Giobbe nacque ad Hus, fra l'Idumea e l'Arabia
settentrionale.
Diventò l'uomo più ricco di quella zona.
Era un uomo intemerato nei costumi, retto, timorato di Dio
e alieno dal male.
Ebbe sette figli e tre figlie.
Era al colmo della ricchezza e della felicità quando venne
colpito da una lunga serie di disgrazie che lo privarono
in breve tempo di tutte le ricchezze e di tutti i figli.
Giobbe diceva in proposito:
- Dio me le ha date e Dio me le ha tolte. Sia benedetto il
nome di Dio.
Il sant'uomo non perdette né la calma né la fiducia in Dio
quando il suo corpo si riempì di piaghe e neanche quando
la moglie lo cacciò di casa e lo confinò in un letamaio.
E Dio premiò la fede di S. Giobbe.
Finalmente dall'alto di una nube Dio stesso fece sentire
la sua parola ammonitrice (38-41) e a Giobbe non restò che
umiliarsi davanti all'infinita e imprescrutabile sapienza
di Lui, gettandosi "sulla polvere e sulla cenere" (42, 6).
La vita di Giobbe dopo la prova è compendiata dal libro
sacro in pochissimi versetti (42, 11-17). Riebbe i suoi
armenti, generò di nuovo sette figli e tre figlie, visse
ancora altri centoquarant'anni e "vide i suoi figli e i
figli dei suoi figli fino alla quarta generazione e morí
vecchio e pieno di giorni"
Molti secoli dopo la morte di Giobbe avvenne ad Hus, il
suo paese natale, un fatto prodigioso.
Un monaco si presentò al vescovo di Hus, oggi Carnea, e
gli fece questa rivelazione:
- Ho avuto una visione. Colui che mi è apparso mi ha detto
di scavare in un certo luogo.
Il vescovo gli credette e fece effettuare lo scavo. Venne
trovata una tomba. Sulla lapide era inciso il nome di
GIOBBE.
Ed in quel luogo venne eretta una chiesa cristiana
dedicata a S. Giobbe.
Margherita, dopo aver letto il volantino, scosse la testa
e disse a se stessa:
- Peccato! La chiesina aveva ragione!
*
Il 23 luglio 1789 il Comune dovette ricorrere a certe
restrizioni e a certe vendite per estinguere i debiti
contratti per la costruzione della Collegiata, per lo
studio dei progetti di bonifica del Padule e per la
restituzione dei 1000 scudi ai Monti di Pietà entro il
febbraio 1790.
Il Comune pertanto deliberò:
1- di ridurre lo stipendio dei Magistrati da 10 a 5 scudi
e quello dei membri del Consiglio Generale da 17 a 7
scudi;
2- di ridurre i seguenti salari annui a partire dal 1°
marzo 1790:
quello del medico da 135 a 120 scudi quello del cerusico
da 50 a 45 scudi
quello dei maestri da 100 a 70 scudi quello dei becchini
da 86 a 80 scudi
quello dell’orologiaio da 14 a 12 scudi quello del
donzello da 30 a 25 scudi.
3- di vendere i seguenti immobili:
le due stanze della cancelleria che servono da stalle
il fabbricato della medioevale scuola nella Piazza
(Vittorio Veneto)
la chiesa di S. Giobbe con stanza mortuaria ( in fondo a
Via Mario Sbrilli - lato destro)
le due grosse campane che si trovavano nella cancelleria.
La chiesa di S. Giobbe fu acquistata dal Banti per 150
scudi. Le stalle della cancelleria furono comprate dal
Vannucci per 132 scudi. Il fabbricato della scuola non fu
venduto.
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