<16> I “SECCATOI” SONO
RESUSCITATI
Alle ore 14 in punto, Margherita, la giovane colf polacca,
venne a prelevarmi con la sua auto. Voleva vedere dove si
trovavano la via del Cassero dove io sono nato e Via
Cammullia, la via dove ho trascorso i primi trenta anni
della mia esistenza.
Con l’auto ci portammo in cima alla salita della Ferruzza
e parcheggiamo nella piazza di Via Franco Bracci.
Percorremmo a piedi tutta via Castruccio. Davanti alla
casa famiglia salutai Rita, la ragazza del Servizio Civile
che per un anno intero avevo veduto quotidianamente a Le
Vele dove prestava servizio. Senza tanti preamboli
presentai a Rita la giovane polacca che salutò con il
consueto “Ciao, ciao, ciao!”
- Dove state andando? – mi chiese Rita.
- Margherita desidera conoscere la via dove sono nato e
quella dove ho trascorso i primi trenta anni della mia
vita.
- Posso aggregarmi anch’io? – mi chiese Rita.
- Diamine. Ne siamo felicissimi. Margherita desidera tanto
trovare delle amiche o almeno delle compagne.
Tutti e tre finimmo di percorrere via Castruccio e ci
fermammo davanti alla rampa di scalini che scende nella
via della Greppa.
- Siamo quasi arrivati – le informai. Proseguii:
- Adesso scendiamo questa rampa di scalini.
- Mario, ti giuro che qui non c’ero mai stata. Anzi non mi
ero neppure accorta che esisteva questa viuccia – osservò
Rita che abita da qualche anno in via Castruccio.
-Si chiama via della Greppa, ma io dovrei chiamarla la via
del destino della mia famiglia. Scendemmo per un paio di
metri.
- Vedete? Qui al numero 4 abitò per un paio di anni mio
fratello subito dopo essersi sposato. Poi vi vennero ad
abitare la mia suocera con le due figliole. Ed io nel 1961
mi innamorai della figlia maggiore che nel giro di pochi
mesi diventò mia moglie. In questa casa ho festeggiato il
giorno del mio matrimonio. Davanti a questa porta c’è la
casa dove nacque mia sorella e dove sopravvisse per
effetto di un miracolo.
Volevo aggiungere altre informazioni, ma preferii scendere
lungo la Greppa. Fatti appena venti passi. Svoltammo sulla
destra ed imboccammo via Cammullia, che negli anni Trenta
era la via dei poveri.
- Questa è la via Cammullia dove ho trascorso i miei primi
trenta anni.
Mi fermai proprio all’imbocco e mostrai loro la fontana
che si trova sull’angolo.
- Qui venivo molte volte al giorno ad attingere l’acqua
per la mia famiglia. Soltanto quando diventai maestro,
nell’estate del 1951, ebbi la soddisfazione di vedere il
mio appartamento allacciato all’acquedotto pubblico.
Quante storie potrei narrarvi!
Procedemmo per via Cammullia. Avrei voluto parlar loro di
Bussino il segantino, di Pietro Lotti, il ritrattista, di
Tasconi, dei Toscani, dell’Orsa, della Nicchina, di Giotto
il calzolaio quasi cieco, della Pepa, delle Cicognine,
dello zoppo del Bianchini. Quando raggiungemmo l’ultima
porta recante il numero 1, sul nostro lato destro, mi
fermai.
- Questa era la porta da cui entravo per salire al mio
appartamento che era posto nella soffitta di questo
palazzo. Vorrei farvi vedere il Wc che doveva servire a
ben 4 famiglie. Era più piccolo di un metro quadrato. Non
c’erano né il vasone, né la vaschetta dell’acqua né la
carta igienica. Nella soffitta ci abitavano anche la
Mencherina con il fratello e successivamente Bicco e
Stella. Per le scale ci abitavano Bicciolo e Tarpina.
Questo portone restava aperto per 364 giorni all’anno. Lo
chiudevamo soltanto la sera del 31 dicembre.
- Perché? – mi chiese Rita, la giovanissima ragazza acqua
e sapone, capelli crespi castani e caudati che si era
aggregata a me e a Margherita.
- Cara Rita, i Fucecchiesi sono stati sempre un po’
spregiosi. Noi non sappiamo esibirci in scherzi leggeri.
Preferiamo lo scherzo pesante. La notte del 31 dicembre i
giovanotti perlustravano le strade e se trovavano un
portoncino aperto lo sfilavano dai cardini e lo
abbandonavano in aree non troppo vicine. Generalmente
venivano gettati nelle piagge del Poggio Salamartano.
- Te l’hanno mai tolto questo portoncino? – mi chiese Rita
abbozzando un mezzo sorrisetto.
- Nel 1950 mio padre, di ritorno dalla locanda dove
trascorreva le sue serate, si dimenticò di chiuderlo. Di
notte fu divelto . Finì in fondo alle Scarelle. Lo
recuperammo al mattino, poco prima di mezzogiorno, io e
mio fratello.
- Mario, Mario, dovevi salire molti scalini per entrare
nel tuo appartamento? – mi chiese la giovane polacca, fusò
neri e maglietta cerulea
- Dovevo superare quattro rampe di scalini. In tutto
quaranta gradini.
- E’ lontana la via del Cassero, quella dove tu sei nato?
- No,no! A circa cinquanta metri da qui.
Scendemmo per via S. Giovanni, costeggiammo l’edificio del
Liceo Scientifico in Piazza Vittorio Veneto ed entrammo in
via del Cassero.
- Questa è la via del Cassero, care ragazze. Io sono nato
laggiù in corrispondenza della penultima porta.
Mentre ci dirigevamo verso la penultima porta fummo colti
di sorpresa da una voce femminile che stornellava:
Cari antenati
I seccatoi son resuscitati
I seccatoi son resuscitati
anche se l’hanno un po’ troppo spostati.
Riconobbi dal timbro della voce la signora che stava
stornellando. Le due ragazze rimasero come allibite. Rita,
la ragazza dalla faccia superpulita, volse lo sguardo in
direzione di una finestra del primo piano di quelle case
che formavano una facciata unica: non vide nessuno.
Margherita, con la solita acconciatura alla Giovanna
d’Arco, mi chiese:
- Ma è vero che i seccatoi, si dice così, sono
resuscitati. Ma cosa sono i seccatoi?
E Rita, di seguito:
- E dove si trovano?
Non riuscii a reprimere un moto di stupore e risposi a
Rita:
- Si trovano accanto a Le Vele e tu ci sarai andata un
centinaio di volte ad acquistare le bottiglie di spuma per
Silvano Porciani.
- Mario, non ci capisco niente – ribadì Rita, ma senza
tradire nessuna espressione di mortificazione.
Avevamo ormai raggiunto il penultimo portoncino di via del
Cassero. Mi limitai a riferire che lì , in
quell’appartamento c’ero nato e che non vi ero rimasto
neppure un anno.
Decidemmo di andare ai Seccatoi
Senza ritornare indietro scendemmo la Greppa del Cassero,
attraversammo Via Mario Sbrilli e nel momento
dell’attraversamento mi limitai a dire:
- Qui, per tutto il medioevo c’è stata una torre sopra la
porta di accesso al paese e lì c’era la chiesa di S.
Giobbe con la stanza mortuaria.
Poi risalimmo la Greppa di Cammullia e senza pronunciare
una parola, con il respiro leggermente ansante, dopo aver
risalito la rampa di sette od otto scalini ci ritrovammo
all’inizio di via Castruccio.
- Ragazze, fatemi riprendere un po’ di fiato – dissi con
un filo di voce.
Rita approfittò di questa breve pausa per farsi dire alla
giovane polacca presso chi prestava servizio e da quanti
anni si trovava in Italia.
Ripreso fiato, mi rivolsi a Margherita e gli spiegai:
- I Seccatoi erano dei forni dove si mettevano le foglie
del tabacco ad essiccare. E nei Seccatoi di Fucecchio ci
venivano essiccate soltanto le foglie del tabacco
destinate a diventare degli ottimi sigari toscani.
Margherita riprese:
- Ma erano forni simili a quelli dove si cuoce il pane?
Rita, tagliò seccamente la conversazione e propose:
- Ma perché non andiamo nella zona dove erano i seccatoi
che sono resuscitati? Ci andiamo con la mia auto. Lì, sul
posto, potrai spiegarci meglio tutta la faccenda.
Accolsi la proposta e raggiungemmo la piazza Franco Bracci
dov’era parcheggiata la macchina di Rita. Salimmo sulla
sua vettura bleu e ci dirigemmo nella zona dove Rita
andava ad acquistare la spuma per Silvano Porciani un
ospite de Le Vele. Parcheggiammo l’auto nella Piazza dei
Seccatoi.
Margherita, trovatasi davanti al lunghissimo ed alto
edificio giallognolo non poté esimersi dall’esclamare:
- Com’erano grandi! Erano lunghi in questa maniera?
- Esattamente così – risposi.
E Rita:
- Faceva parte dei Seccatoi anche questo edificio staccato
dove si è inserita la Banca BCC Credito Valdinievole?
- Sì. Anzi ti devo precisare che questo edificio è stato
realizzato sulle fondamenta del vecchio edificio che
crollò definitivamente pochissimi anni fa, nel duemilatre.
Questo fabbricato non è stato spostato.
Finalmente tante informazioni sui “Seccatoi”
Margherita, intanto, cominciò a manifestare dei segnali di
impazienza. Senza esitazione trassi fuori dalla tasca
della mia giacca il cellulare magico, lo consegnai alla
giovane colf polacca e le dissi:
- Margherita, puoi rivolgerti direttamente ai “Seccatoi”
resuscitati che stanno davanti a noi .
Rita sbiancò in volto. Mi fissò con i suoi occhi celesti
sgranati, come non mai.
- Ma che vi state burlando di me?
Margherita neppure si accorse della reazione di Rita ed
imperterrita iniziò:
- Ciao, ciao, ciao, Seccatoi resuscitati.
- Ciao, Margherita. Che cosa desideri sapere – rispose col
viva voce del cellulare il fabbricato che era di fronte a
noi.
Il volto di Rita, riprese il suo colore. E prima ancora
che Rita aprisse bocca, lo spiker dei Seccatoi resuscitati
disse con tono veramente gentile:
- Cara Rita, anche tu, se vuoi, potrai rivolgermi delle
domande.
Margherita, la ragazza polacca, parve non accorgersi di
questo intermezzo e chiese:
- Puoi dirmi quando siete resuscitati?
- La prima metà di questo lungo fabbricato, quella alla
tua destra, fu resuscitata nel duemilaquattro. La parte
sinistra sta finendo di resuscitare proprio adesso. Cioè
nel 2012..
A questo punto intervenne Rita, ragazzina sanminiatese
trasferitasi a Fucecchio nel 2009:
- La stornellatrice di Via del Cassero affermava che siete
stati spostati un po’ troppo. E’ vero? Dove vi trovavate
con esattezza?
- E’ vero. Ci trovavamo lungo il lato destro della strada.
Eravamo proprio lungo la strada. Come potete vedere fra il
lato dove eravamo e la nostra attuale posizione c’è di
mezzo una piazza anche abbastanza grande.
E Margherita, di rimando:
- E quando foste costruiti lungo la strada. Chi vi fece
costruire?
- Cara Margherita, ci fece costruire il principe Corsini
all’inizio del 1900.
E Rita:
- Ma è vero che eravate un forno per essiccare le foglie
di tabacco?
- Sì, è vero, ma non è esatto.
- Puoi spiegarti meglio? – replicò Rita.
- Di forni ce n’erano una ventina.
- Erano uguali a quelli dove viene messo a cuocere il
pane? – intervenne Margherita, la polacca.
- Ma noo!
- Puoi descriverceli?
- Sentite, il vostro amico Mario conosce una persona che a
17 anni poté visitare questi forni. Questa persona abita a
circa duecento metri di distanza. Se lo chiamate, lui vi
raggiungerà subito con il suo vespino scuro. Ciao,ciao,
ciao, Margherita. Ciao, Rita. Io ti avevo già visto tante
volte, sai!
Margherita, dopo aver ricambiato il saluto, mi chiese:
- Come si fa a chiamare quel signore? Ci andiamo in
macchina, visto che è tanto vicino?
L’arrivo di Pietro Sollazzi
Mi rivolsi a Rita e la invitai a comporre con il suo
cellulare il numero 0571-26 15 48.
Appena l’ebbe combinato mi feci passare il cellulare.
- Pronto, Pietro. Sono Mario. Mi trovo qui in piazza dei
Seccatoi con due ragazze che vorrebbero sapere tante cose
sui Seccatoi e forse anche sulle piante di tabacco. Puoi
raggiungerci?
- Vengo subito.
Non erano trascorsi 3 minuti che comparve davanti a noi
con il suo vespino Pietro Sollazzi. Pietro scese
disinvoltamente dal vespino, si tolse il casco e con il
consueto volto sorridente, rivolto alle due ragazze, disse
loro:
-Sono a vostra disposizione.
Intervenni:
- Permettimi, prima, caro Pietro di presentarti alle due
ragazze.
Rivolto a Rita e Margherita precisai:
- Si chiama Pietro Sollazzi. Ed ora non stupitevi. Ha 92
anni. E’ stato il sindaco di Fucecchio dal 1960 al 1965.
Attualmente fa il contadino. Il podere, però, non è suo.
E’ vedovo. Ha tre figli: due femmine ed un maschio. Ed ha
due nipoti già laureate in lettere. Ora potete assalirlo
con le vostre domande.
Cominciò subito Rita:
- E’ vero che lei visitò per la prima volta i forni dei
seccatoi a 17 anni? E perché proprio a 17 anni?
- Sì, è proprio vero. Ora vi spiegherò perché li visitai
proprio a diciassette anni. Anche la mia famiglia
coltivava il tabacco. Dopo la raccolta e l’ammazzettatura
delle foglie lo portavamo con un carro trainato dalle
vacche, verso la fine di settembre, agli essiccatoi. Io ci
venivo sempre con il mio babbo. Noi consegnavamo le foglie
da essiccare a due guardie di finanza che registravano su
di un grosso quadernone la nostra consegna e ci
rilasciavano una ricevuta. Nel 1937 avevo già assunto la
fisionomia di un adulto e perciò decisi di affrontare le
due guardie di finanze per ottenere da loro qualche
informazione. In quel lontano 1937, dopo aver scaricato le
foglie e ritirata la ricevuta dissi a mio padre di
avviarsi perché “volevo togliermi” qualche curiosità.
Appena mio padre se ne fu andato, ritornai dalle guardie
di finanza e senza esitazione chiesi loro:
- Con questo tabacco si possono fare le sigarette?
La guardia dall’aspetto più maturo sorrise e precisò:
- Con queste foglie si possono fare soltanto i sigari.
Ripresi:
- Allora se io arrotolassi una foglia già seccata nei
forni potrei farmi un bel sigaro?
- Se vuoi provarci, ti autorizzo a prendere una foglia
essiccata e a farci un sigaro. Anzi, se riuscirai a
fumarlo ti regalerò mille lire – replicò la medesima
guardia dai capelli biondicci.
- E perché queste foglie essiccate non sono adatte a farci
i sigari?
Rispose la guardia più giovane:
- Perché prima devono essere sottoposte ad altre tre
lavorazioni: alla fermentazione; alla conciatura e alla
stagionatura. Soltanto dopo la stagionatura con una foglia
arrotolata potresti farci uno o due sigari.
- E allora, adesso, dove vengono mandate queste foglie
quando saranno già essiccate?
Rispose la prima guardia:
-Vanno in altri stabilimenti dove le fanno fermentare ,
dove le conciano e dove le stagionano. Dopo la
stagionatura vengono mandate nella fabbrica dei sigari.
Proseguii:
-Qui allora vengono soltanto essiccate? Ma è vero che le
mettono in forno?
Margherita e Rita si guardarono compiaciute. Anche Pietro,
diciassettenne era stato animato dalla medesima curiosità.
La guardia più giovane mi rispose:
- E’ vero per modo di dire. I forni per il tabacco non
sono altro che stanzoni. Ma che non l’hai mai visti i
forni?
- No. Non mi hanno mai dato il permesso di vederli.
- E allora vieni con me. Te ne faccio vedere uno. I fornai
a quest’ora hanno già smontato
La guardia si accordò con il collega e poi mi disse:
- Seguimi.
Entrammo nel magazzino delle spedizioni. Da qui,
attraverso una porta, salimmo due brevissime rampe di
scalini che immettevano in un corridoio. La guardia aprì
con lentezza una porta e mi disse:
- Osserva bene. E’ questo uno dei tanti forni.
Io mi accapai e mi trovai dinanzi uno stanzone. Dal
soffitto non troppo alto pendevano appese le calocchie
(lunghe e robuste mazze) cariche di mazzetti di foglie
ancora verdi. Sul pavimento c’era la terra al posto dei
mattoni o delle mattonelle. Sembrava una strada sterrata.
C’era calduccio, ma…
- E il fuoco dov’è? –chiesi tradendo un certo imbarazzo.
- Se osservi bene, negli angoli dello stanzone ci vedrai
della cenere. È lì che i fornai, ogni due o tre ore, danno
fuoco a qualche fascina di ramaglie e di legname. Appena
le fascine sono bruciate, i fornai spargono nella
vicinanza delle fascine bruciate le braci ancora accese.
Il fumo ed il calore di quei focherelli fanno essiccare
piano piano le foglie di tabacco che anche tu e tuo padre
avete portate. Tutto qui.
Con un movimento del viso mostrai di aver capito La
guardia richiuse la porta ed entrambi ritornammo
all’aperto.
Margherita partì subito all’attacco:
- Quanti giorni ci impiegavano i forni per essiccare le
foglie?
- Al massimo una decina di giorni.
E Rita:
- Come mai li hanno abbattuti?
- Non vennero abbattuti. Vennero chiusi perché il Principe
Corsini non riusciva a realizzarci guadagni consistenti.
Preferì chiuderli ed affittare quegli stanzoni negli anni
Cinquanta , cioè negli anni successivi al passaggio della
guerra da Fucecchio. Purtroppo, proprio nell’edificio dove
ora funziona la Banca BCC perdettero la vita, la notte del
primo cannoneggiamento americano subito da Fucecchio,il 18
luglio 1944, Duilio Caverni di 21 anni e Alfredo Maltinti
di 48 anni.
-A chi vennero affittati tutti gli stanzoni adibiti a
forni ed i magazzini?- chiese Rita.
- Vi vennero impiantati dei calzaturifici e delle botteghe
artigiane di meccanici, fabbri e falegnami. Ma dieci anni
dopo i calzaturieri, i fabbri, i meccanici ed i falegnami
preferirono costruirsi dei capannoni in luoghi più
confacenti. A questo punto i Seccatoi vennero chiusi in
attesa del loro crollo che avrebbe permesso l’utilizzo
della loro area per fabbricarvi degli immobili da
destinarsi ad uso abitativo o ad uffici. Scusatemi, ma
bisogna che io vi lasci. Piacere di avervi conosciuto.
- Ciao, ciao, ciao, signor Pietro – disse Margherita
agitando la mano destra in segno di saluto.
- Arrivederci, signor sindaco. Spero di rivederla presto -
disse Rita accennando ad un sorriso compiacente.
Il sostituto del cellulare magico soddisfa le ultime
curiosità delle due ragazze
- Vogliamo andare , ragazze? – proposi.
- No, no, Mario. Io desidero sapere in quale anno
cominciarono a costruire la parte sinistra dei Seccatoi
che sta resuscitando proprio adesso – mi chiese
Margherita, la giovanissima colf polacca.
- A me, invece, piacerebbe sapere quando crollò il
fabbricato che ora ospita la banca BCC - incalzò Rita, la
ragazza acqua e sapone…….
La costruzione della parte sinistra dei Seccatoi
resuscitati venne iniziata verso la fine dell’anno 2010 ed
è ormai finita dal mese di febbraio di questo 2012.
- Mario, non dimenticarti della mia domanda – intervenne
Rita.
- Ti rispondo subito, Rita. Il fabbricato resuscitato che
attualmente ospita la Banca, crollò nel 2003. Subito dopo
il crollo del tetto, tutto l’edificio venne demolito e
poco dopo ne venne iniziata la ricostruzione che venne
completata nel 2005. Nel 2011 il fabbricato è stato
arredato di porte e di finestre e ceduto alla Banca.
Squillò il campanellino del mio cellulare.
-Ragazze, mi ha chiamato mia moglie. Devo andare a casa.
Vi saluto.
-Ti riportiamo noi con la macchina.
- Non importa. Una camminata di soli cinque minuti mi farà
soltanto bene. Arrivederci ragazze.
- Grazie, Mario.
- Ciao, ciao, ciao, Mario.
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