<10> ANCHE IL BELLISSIMO
TEATRO PACINI È STATO SEPOLTO PER SEMPRE

Piazza
Montanelli e il teatro (1956)
La domenica dell’arrivo del nuovo parroco di S. Maria
delle Vedute, il 2 ottobre 2011, uscii di casa verso le
ore 15,30 e mi diressi in Piazza Montanelli dove sarebbe
stato accolto da un nutrito gruppo di parrocchiani.

Interno
del Teatro (primi del '900)
Davanti all’ingresso del nuovo teatro, o meglio del
mostro, era stato montato un palco dal quale il polacco ci
avrebbe concionato.
Proprio di fronte al vertice destro del palco individuai
fra i presenti la signora Laura ed accanto a lei l’amica
Margherita che osservava incredula i fedeli in attesa. Mi
avvicinai alle due e rivolto a Margherita la provocai:
-Adesso non ti sentirai più sola!! Quando tu lo
desidererai potrai conversare in lingua polacca con il
nostro nuovo parroco.
Margherita sorrise in una maniera speciale, quasi volesse
farmi intendere che a lei non sarebbe interessato parlare
con don Giorgio. Laura mi salutò con il calore di sempre e
dopo avermi chiesto come stavano i miei familiari, mi
domandò a bruciapelo:
- O Mario, ma quando l’aprono quel coso lì (alludeva al
nuovissimo edificio costruito al posto del defunto Teatro
Pacini)?
- Non lo so, Laura.
Margherita, curiosona, non si lasciò sfuggire questa
ghiotta occasione e chiese ad entrambi:
- Ma cosa c’era , prima, al posto di questo scatolone?
Laura mi prevenne:
- C’era il Teatro Pacini.
- E perché ora non c’è più?
- Perché è stato buttato giù – rispose Laura.
- Chi l’ha fatto demolire?
- Il Comune di Fucecchio – intervenni io.
-E perché ?– chiese ancora Margherita.
- Perché il teatro era suo e perciò poteva farne quello
che voleva.
- O Mario – interloquì Laura – ma che stai scherzando? Il
teatro era della famiglia Morelli. Il Comune non ci
rientra nulla.
- Senti Laura, questo non è il luogo adatto per fornirti
delle spiegazioni. Andiamo a sederci sulla panchina che
sta davanti all’edicola, lontani da queste persone.
Andammo a sederci sulla panchina da me indicata. Appena mi
fui seduto trassi dalla tasca sinistra della mia giacca il
cellulare magico e lo passai a Margherita.
La ragazza polacca, in preda ad un entusiasmo quasi
incontenibile, dopo aver premuto il tasto verde del
cellulare, così investi l’interlocutore:
- Buon pomeriggio , signor Teatro Pacini. Buon pomeriggio.
E’ proprio vero che il tuo padrone era il Comune?
- Sì, sì, sì, cara Margherita. Il Comune lo aveva
acquistato per circa ottocento milioni di lire dalla
famiglia Morelli. Il Comune fece un affarone.
- Tu, teatro, ne fosti contento?
- Io recitai immediatamente il de profundis.
- No ti capisco, teatro.
- Fattelo spiegare alla tua amica, la signora Laura. Lei
sicuramente ha capito.
Margherita guardò con i suoi occhi rotondi Laura che aveva
udito tutto perché nel cellulare funziona solo il viva
voce. Laura spiegò:
- Il teatro ha voluto dirti che dopo quell’acquisto lui
sentiva che di lì a poco sarebbe morto. Vero, signor
Teatro?
- Sì, Laura. E’ proprio così.
Margherita ritornò alla carica:
- Ma perché ti sentivi così sicuro di essere condannato a
morte?
- Perché il comune poteva soltanto operare due scelte: o
demolirmi per realizzare una piazza molto più grande o
demolirmi per costruirne un altro sulla mia area. Io
dovevo morire per forza. E come potete vedere sono morto e
seppellito. Io non esisto più.
- Ho capito chiaramente. Ti ringrazio e mi scuso se ti ho
importunato – precisò Margherita.
- Importunato? Tu, mia simpaticissima Margherita, mi hai
resuscitato per qualche minuto. Se avrai bisogno di me,
interpellami pure! Mi farai un grande piacere. Ciao,
Margherita? Ciao Laura. Ciao anche a te, Mario, anche se a
malincuore dato che anche tu volevi demolirmi per
realizzare una piazza libera e grande.
L’arrivo di don Giorgio
Nel frattempo era giunto, a bordo di un’auto nera, don
Giorgio il nuovo parroco delle Vedute accolto da un lungo
applauso. Sul palco salirono il sindaco, il vescovo,
l’arciprete e il cappellano della Collegiata e, buon
ultimo, don Giorgio.
Margherita lo osservava con intensità. Forse ci parlava
mentalmente. Che bello essere in due quando si è lontani
dalla nostra Patria!
Lo osservai anch’io. Mi piacque. Era uno come noi. Si
vedeva che in quel vestito da prete ci stava male. Don
Giorgio non voleva distinguersi da noi. Anche il suo
eloquio lasciò tradire questa sua intenzione. “Scelto fra
gli uomini al servizio degli uomini”. Lo avrei abbracciato
per quella tonaca dal color nero sbiadito e per quei
capelli scarruffati. Lui senza pronunciar parole ci
ripeteva : sono come voi, sono uno di voi. Desidero solo
servirvi ed aiutarvi ad essere felici e, se me lo
permettete, a salvarvi.
Al termine del discorso, lo spiker, e cioè il cappellano
della Collegiata, ci invitò ad andare in chiesa dove ci
sarebbe stata l’investitura ufficiale di don Giorgio a
parroco.
Dissi alle due donne:
- Io vado a casa.
E Laura:
- Anche noi dobbiamo rientrare. Perciò, Mario, possiamo
fare un bel tratto di strada insieme.
Il Teatro ci raccontò la sua storia
Margherita, appena usciti dalla Piazza Montanelli, si
rivolse a me e mi confessò:
- Mi piacerebbe tanto conoscere la storia del Teatro
Pacini. Ce la puoi raccontare, Mario?
- E perché non ti rivolgi direttamente a lui, al Teatro
Pacini?
- Hai ragione. Mi ero perfino dimenticata di restituirti
il cellulare magico.
- Mi interesserebbe anche a me conoscere la storia del
Teatro Pacini. Telefonagli, Margherita – aggiunse Laura.
E Margherita:
- Ciao, Teatro Pacini.
- Ciao, brava Margherita. Che cosa desideri?
- Vorrei che tu ci raccontassi la tua storia.
- Ti accontento subito. Io nacqui in questa piazza nel
1800 per volontà del fucecchiese Panicacci. Di fuori
sembravo un capannone, ma dentro ero molto bello anche se
diventai stupendo soltanto dopo 128 anni. Il palco e la
platea erano contornati da tre ordini di palchetti ed in
ogni ordine ce n’erano 13. Il Panicacci dopo qualche anno
mi vendette ad un livornese, un certo signor Conti.
Purtroppo la maggior parte dei fucecchiesi erano
poverissimi e perciò non potevano assistere agli
spettacoli perché non avevano i soldi per pagarsi il
biglietto d’ingresso. La platea era sempre semivuota e di
palchetti ne venivano occupati pochissimi. Fortunatamente
il Conti, deluso, mi rivendette ad una associazione di
intellettuali fucecchiesi benestanti. Questa Associazione
si chiamava Accademia dei Fecondi ravvivati. Non mi
chiedere, Margherita, perché si chiamavano così, perché
altrimenti la storia non finisce più.
Laura, che aveva seguito col fiato quasi sospeso questo
inizio di narrazione, volle sapere:
- Ma con i nuovi padroni aumentarono gli spettatori?
- Sì, Laura. Di operai e contadini ce ne venivano pochi,
ma quasi tutti i benestanti cominciarono a frequentare gli
spettacoli. I Fecondi ravvivati erano persone all’altezza
della situazione: sapevano scegliere gli spettacoli che
piacevano ai fucecchiesi. Inoltre avevano realizzato negli
spazi vuoti un Circolo con bar e biliardo e, nel
sottotetto, un appartamento che dettero in affitto ad un
sarto bravissimo. Quando nel 1920 si accorsero che i
fucecchiesi meno abbienti avevano cominciato a frequentare
numerosi la sala del cinema del Mechetti in via Roma,
corsero subito ai ripari.
L’incontro con la mamma di Laura
Stavamo percorrendo viale Buozzi. All’altezza della Casa
del Fanciullo incrociammo Maria, la madre di Laura che,
dopo averci salutati, spiegò alla figlia:
- Ero venuta a cercarti perché sono venuti a farci visita
certi nostri parenti.
- Stiamo venendo a casa, mamma. Ora ti prego di una cosa:
Mantieni il silenzio. Un signore ci sta raccontando la
storia del Teatro Pacini.
Maria non fiatò.
Il Teatro riprese:
- I Fecondi non stettero a guardare. Immediatamente
decisero di adattare il teatro anche a sala cinema.
Piazzarono uno schermo mobile sul palco, realizzarono per
i più poveri la galleria demolendo il terzo ordine di
palchetti. Realizzarono la cabina per il proiettore nel
palchetto centrale del secondo ordine e per non far
rimpiangere il terzo ordine di palchetti laccarono le
parti il legno dei palchetti e li foderarono con il
velluto rosso. Quando nel 1928 inaugurarono il nuovo
Teatro- Cinema i fucecchiesi ne rimasero letteralmente
sbalorditi. Io ero veramente stupendo. Quando la guerra,
nell’estate del 1944, passò anche da Fucecchio, i cannoni
e gli aerei ebbero pietà di me: non mi ferirono neppure.
Io non venni ucciso dalle cannonate, bensì dal cinema.
E Laura:
- Potresti spiegarti un po’ meglio. O come fece il cinema
ad ucciderti?
- Cara Laura, Mario te lo potrebbe spiegare meglio di me.
Lui era un mio cliente. Era un amante del cinema. La
domenica si riempivano di spettatori la platea, i due
ordini di palchetti e la galleria. Purtroppo molti
dovevano rimanere fuori. Non c’era posto per tutti.
Intanto i Fecondi si erano ritirati perché nel 1941
avevano venduto il teatro Pacini alla famiglia Morelli
Guido di Fucecchio. Mentre i Fecondi si contentavano di
far pari, i nuovi gestori volevano guadagnare e tanto. E
lo sapete cosa fecero nel 1950? Decisero che dovevano
raddoppiare i posti dentro il teatro. Ma come? Ingrandendo
la platea e realizzando una grande galleria sospesa per
metà sopra la platea. Nel 1952 venne inaugurato il nuovo
teatro, pardon, la nuova sala cinematografica. Erano
spariti tutti palchetti ed anche la vecchia piccionaia:
così veniva chiamata la galleria dai fucecchiesi. Il
numero dei posti era raddoppiato. I Morelli non pensarono
mai ad offrire spettacoli teatrali ai cittadini. Sapevano
benissimo che i fucecchiesi del mondo operaio non avevano
mai amato il teatro, fatta eccezione per le opere liriche
e queste avevano dei costi proibitivi. La domenica il
nuovo teatro cinema si gremiva di spettatori. Anzi,
cominciarono a rivelarsi insufficienti anche i 350 posti.
Il cinema andava “forte”. I Morelli, a tavola, ripetevano
continuamente che sarebbe stata necessaria una sala cinema
con almeno mille posti.
- E allora? – intervenne Margherita.
- Riuscirono ad ottenere il permesso di costruire un
teatro-cinema, l’Excelsior, con 950 posti, in Via Cesare
Battisti. Questo edificio gigantesco venne inaugurato nel
1978. I primi anni tennero aperto anche il Cinema Pacini.
Purtroppo i Morelli non avevano fatto bene i conti con la
televisione. Gli spettatori con l’affermarsi e la
diffusione della televisione cominciarono a scarseggiare.
Io nel 1985 venni chiuso definitivamente , ma venti anni
dopo i Morelli chiusero anche l’Excelsior, che io
considero un mio nipote. E, come spero di avervi gia
detto, nel 2003 io venni demolito completamente.
Soddisfatte?
Mentre la comitiva stava per svoltare in via Renato
Fucini, chiesi a bruciapelo al nostro buonissimo
interlocutore:
- Vuoi spiegare a queste tre donne come mai fosti chiamato
Pacini?
- Volentieri.
Ci fermammo. Il teatro riprese a parlare.
- Nel 1836 il compositore pesciatino Giovanni Pacini
scelse il teatro di Fucecchio per eseguire la prima della
sua opera lirica intitolata SAFFO. Per noi fucecchiesi fu
un grande onore essere stati scelti per la prima di
un’opera che diventò famosa. E i Fecondi, in segno di
gratitudine gli intitolarono il loro teatro. Vi abbraccio
tutti e vi saluto con tutto l’affetto di cui è capace il
mio cuore. In gamba, Margherita, eh! Salutatemi tutti i
vostri familiari. Ciao.
- Grazie – pronunciammo all’unisono agitando le braccia
verso l’alto come se volessimo salutarlo.
“Meno male che muoiono soltanto i mattoni mentre anche
l’anima delle cose sopravvive. Evviva!”

la nuova
struttura costruita nello spazio occupato prima dal teatro
Pacini
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