Fucecchio, come molti toponimi, resta un nome discusso.
Varie sono le idee sull’origine del nome. Una prima ipotesi
faceva derivare il nome dalle popolazioni greche focesi,
antiche colonizzatrici di questi luoghi. Altra ipotesi è
quella che vede derivato il nome dall’indicazione del luogo
“foce a cerchio”, che avrebbe indicato un remoto
congiungimento dell’Arno con i fiumi della Valdinievole.
Ma la terza ipotesi sembra la più probabile. Fucecchio
deriverebbe dalla parola Ficecchium che deriverebbe a sua
volta dalla parola Ficeclum, (oppure ficetulum),
indicatore della presenza di piante di fichi.
Nome a parte, le origini di Fucecchio sono strettamente
legate ai conti Cadolingi, potente casata di origine
pistoiese.
Spinti dalla crescente potenza del Vescovo di Pistoia a
cercare nuovi spazi per affermare un proprio autonomo
potere, essi trovarono nel “luogo detto Fucecchio”
condizioni ideali per costruire il centro di una signoria
equidistante dalle maggiori città (Pistoia, Lucca, Pisa e
Firenze) all’incrocio di importanti vie di terra (la
Francigena) e d’acqua (l’Arno e la Gusciana, emissario del
Padule di Fucecchio). Presso un guado sull’Arno esse
fecero erigere, intorno al Mille, il Castello di
Salamarzana.
Periodo Cadolingio
Nel 986, è documentata per la prima volta la chiesa di S.
Salvatore, fondata dal conte Cadolo in prossimità del
ponte sull’Arno e dell’adiacente porto. Qui, sul fiume,
era nato il secondo nucleo insediativo da cui si sarebbe
sviluppato il centro abitato di Fucecchio: Borgonuovo, il
villaggio cresciuto accanto all’Arno e vivacizzato dal
passaggio dei mercanti e dei pellegrini., che transitando
lungo la via Francigena, potevano sostare presso l’ospizio
annesso alla chiesa di S. Salvatore. Poco prima del Mille
il conte Lotario, figlio di Cadolo, affiancò alla chiesa
un monastero benedettino. La nuova istituzione,
beneficiando di numerose donazioni da parte delle famiglie
aristocratiche residenti fra Valdarno e Valdinievole,
divenne une a delle più prestigiose della regione ed
accumulò un vasto patrimonio fondiario. Intorno alla metà
dell’XI secolo passò all’ordine vallombrosano ed ebbe come
abate Pietro Igneo, esponente del partito favorevole alla
riforma della Chiesa a cui, dopo qualche esitazione,
avevano aderito anche gli stasi Cadolingi. Sotto il suo
abbaziato, nel 1086, il monastero fu dichiarato dal
pontefice Gregorio VII esente da qualsiasi autorità laica
o ecclesiastica e sottoposto direttamente alla Santa Sede.
Nei primi anni del XII secolo una paurosa alluvione
dell’Arno costrinse i monaci a ricostruire gli edifici in
luogo più sicuro, sull’altura vicina al Castello di
Salamarzana (oggi Poggio Salamartano). Da allora, fino ad
oggi, sia p’ure attraverso modifiche e ristrutturazioni,
l’abbazia e l’adiacente chiesa di San Giovanni, dotata di
fonte battesimale da Urbano IV nel 1089, costituirono il
polo ecclesiastico del paese. Estintasi nel 1113 la
dinastia dei Cadolingi, il castello attraversò un periodo
di decadenza, trovandosi al centro di conflitti tra le
città maggiori, Firenze, Lucca e Pisa, che cercavano di
occupare lo spazio lasciato libero dalla casata comitale.
Anche il Monastero perse l’antica dimensione regionale e
si avviò a divenire sempre più un’istituzione locale.
E’ in questo periodo, tuttavia, che maturò una classe
dirigente rappresentata essenzialmente da alcune famiglie
divenute potenti all’ombra dei conti Cadolingi, e che
formarono ben presto il ceto consolare del Comune,
costituitosi nel XII secolo.
Espansione del castello nel 1200
Seguirono, nel corso del 1200, anni di intensa crescita.
Il monastero, ormai in crisi, alienò le terre prima
accumulate, sulle quali furono costruire nuove abitazioni.
Specialmente dopo la metà del secolo, quando la crescita
demografica si fece sempre più intensa, i nuovi borghi si
espansero a ventaglio, oltre il “castello vecchio”
scendendo in direzione dell’ano, secondo 5 assi principali
che facevano capo alla più antica porta castellana
(situato presso l’attuale Piazza Vittorio Veneto).
Iniziando da Oriente essi furono:
la contrada di Porta Raimonda (via Pietro Martini);
Borghetto (Via Lamarmora);
il borgo di Gattavaia;
la contrada di dominus Bernardo (Via Donateschi);
la contrada di Sambuca, ossia l’area compresa fra le
attuali piazza Cavour e Poggio Alberighi.
Tale fu l’impulso della crescita che prima della fine del
Duecento si dovette procedere alla costruzione di una
nuoca cinta muraria con la quale si chiusero i nuovo
borghi a mezzogiorno, secondo un percorso che andava dalla
Porta Raimonda alla Porta Bernarda, lungo l’attuale Corso
Matteotti (dove si trovavano i fossati).
Così agli inizi del Trecento, l’impronta urbana del
castello di Fucecchio era definitivamente consolidata.
Intanto anche il distretto comunale si andava fissando
entro confini sempre più precisi, assorbendo le piccole
comunità rurali circostanti, tanto che nei primi anni del
Trecento il territorio comunale aveva ormai assunto la
forma che grosso modo è rimasta inalterata fino ad oggi.
La sottomissione a Firenze
Nel 1314 il comune di Fucecchio si staccò dall’antica
città dominante, Lucca, accostandosi progressivamente a
Firenze a cui si sottomise, come altre terre del Valdarno
Inferiore, nel 1330.
In quegli anni il castello aveva ormai raggiunto la
massima espansione demografica, avvicinandosi, con tutta
probabilità, a circa 3.000 anime.
Poco dopo, però, Fucecchio e gli altri centri vicini
furono colpiti dalla grave pestilenza che imperversò in
tutta l’Europa intorno alla metà del Trecento. A quella
epidemia ne seguirono altre che, sommando agli effetti
nefasti delle persistenti guerre fra Pisa e Firenze,
decimarono la popolazione locale, provocando, tra l’altro,
lo spopolamento pressoché completo dei villaggi delle
Cerbaie e l’inselvaticamento delle campagne.
Nei primi del Quattrocento il comune di Fucecchio contava
ormai appena un migliaio di abitanti.
La rinascita a partire dal ‘500
La ripresa fu lenta e coincise con il graduale
ripopolamento delle campagne, avvenuto soprattutto a
partire dal Cinquecento, sia su impulso del Comune, che
cedette a basso costo i propri terreni a coloro che che
erano intenzionati a ripristinarvi le colture, sia in
seguito agli acquisti sempre più massicci da parte di
proprietari fiorentini. Tra questi si distinsero i Medici,
i quali, accumulando latifondi soprattutto intorno al
bacino del Padule di Fucecchio, vi costituirono col tempo
alcune grandi fattorie. La rinascita e l’espansione delle
colture richiamò nuove braccia e diede impulso ad una
nuova crescita demografica che si manifestò più
intensamente nel corso del XVII secolo, a dispetto delle
ricorrenti epidemie, che non sembra abbiano influito molto
sul deciso e continuo aumento della popolazione, passata
dai 1958 abitanti del 1551 ai 4245 del 1634.
Di questa crescita sono segni evidenti, tra il XV ed il
XVII secolo, l’ampliamento di antichi edifici
ecclesiastici o ancor più la costruzione di nuove chiese,
come l’Oratorio della Vergine della Ferruzza, quelli di S.
Rocco dentro e fuori le mura, o il convento francescano
della Vergine. D’altro canto anche l’edilizia civile
sembra rinnovarsi proprio in questi anni dando luogo ai
maggiori palazzi patrizi locali, in parte risultato di
accorpamenti e ristrutturazione di precedenti edifici
medioevali, in parte frutto di completi rifacimenti, ma
sempre assecondando l’originaria impronta urbana
medioevale rimasta sostanzialmente inalterata.
La riforma del granduca
Dalla metà del Settecento la crescita demografica, qui
come in altri centri toscani, diventò ancor più rapida e
impetuosa, mentre, nel frattempo, maturavano importanti
novità nelle circostanti campagne. Negli ultimi trenta
anni del XVIII secolo si sviluppò, infatti, la riforma
voluta dal granduca Pietro Leopoldo I, che investì
profondamente le strutture economiche, civili ed
ecclesiastiche del paese. Con la vendita a privati del
patrimonio comunale delle Cerbaie e dei poderi che
costituivano la fattoria granducale di Ponte a Cappiano,
circa un terzo del territorio del Comune uscì da un
secolare immobilismo entrando in circolazione e fondando o
allargando ricchi patrimoni familiari.
Dopo il 1780 anche il tanto atteso prosciugamento del
“Lago” di Fucecchio, ricondotto dopo oltre tre secoli
all’originaria condizione di palude, contribuì senz’altro
al recupero di terre inutilizzate. Tuttavia questi
mutamenti provocarono le proteste degli strati più miseri
della popolazione, la cui sopravvivenza era legata allo
sfruttamento delle risorse marginale del Padule e delle
Cerbaie (pesca, raccolta di erbe, legname e sottoprodotti
dei boschi).
XIX secolo: le prime manifatture
Nell’Ottocento Fucecchio è un paese popoloso (alla fine
del secolo il Comune supera gli undicimila abitanti) in
cui prevalgono le attività artigianali legate alla
manifattura del lino (già in crisi, tuttavia, prima della
metà del secolo), la tessitura, le botteghe dei tintori, i
calzolai, le fornaci di mattoni, il commercio al minuto,
mentre mancano vere e proprie industrie. Notevole il
traffico dei navicelli lungo l’Arno, almeno fino a quando
la nuova ferrovia Leopolda non rese superfluo il trasporto
delle merci lungo il fiume; ma è anche un centro scosso da
frequenti crisi, in cui una povertà diffusa alimenta lo
strato dei miserabili e della popolazione marginale. Solo
tra la fine dell’Ottocento e gli inizi de secolo seguente
si sviluppano i primi nuclei produttivi a dimensione
industriale come la fabbrica di fiammiferi Taddei, poi
acquisita dalla SAFFA, che arrivò a contare 600 operai,
molti dei quali donne.
Il dopoguerra e la “rivoluzione industriale”
La vera “rivoluzione industriale cominciò per Fucecchio
nel secondo dopoguerra, con lo sviluppo dei settori
conciario e calzaturiero che moltiplicarono l’occupazione
richiamando una consistente immigrazione dal Sud e facendo
superare alla popolazione il tetto dei 20.000 abitanti.
Il paese subì gravi ferite durante la seconda guerra
mondiale, tra cui la perdita della trecentesca torre di
Castruccio ed i pesanti danni inferti al coevo complesso
della rocca, ora restaurato. Insanabile, invece, la
perdita dei 175 uomini, donne e bambini trucidati in
Padule dall’esercito tedesco in ritirata, nell’agosto del
1944.