Mini-Storia - STORIA di FUCECCHIO FATTI, PERSONAGGI ED EVENTI - di Mario Catastini a cura di Giacomo Pierozzi

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MINI-STORIA

Mini-storia di Fucecchio
 
 
Fucecchio, come molti toponimi, resta un nome discusso. Varie sono le idee sull’origine del nome. Una prima ipotesi faceva derivare il nome dalle popolazioni greche focesi, antiche colonizzatrici di questi luoghi. Altra ipotesi è quella che vede derivato il nome dall’indicazione del luogo “foce a cerchio”, che avrebbe indicato un remoto congiungimento dell’Arno con i fiumi della Valdinievole. Ma la terza ipotesi sembra la più probabile. Fucecchio deriverebbe dalla parola Ficecchium che deriverebbe a sua volta dalla parola Ficeclum, (oppure ficetulum), indicatore della presenza di piante di fichi.
Nome a parte, le origini di Fucecchio sono strettamente legate ai conti Cadolingi, potente casata di origine pistoiese.
Spinti dalla crescente potenza del Vescovo di Pistoia a cercare nuovi spazi per affermare un proprio autonomo potere, essi trovarono nel “luogo detto Fucecchio” condizioni ideali per costruire il centro di una signoria equidistante dalle maggiori città (Pistoia, Lucca, Pisa e Firenze) all’incrocio di importanti vie di terra (la Francigena) e d’acqua (l’Arno e la Gusciana, emissario del Padule di Fucecchio). Presso un guado sull’Arno esse fecero erigere, intorno al Mille, il Castello di Salamarzana.
 
 Periodo Cadolingio
 
Nel 986, è documentata per la prima volta la chiesa di S. Salvatore, fondata dal conte Cadolo in prossimità del ponte sull’Arno e dell’adiacente porto. Qui, sul fiume, era nato il secondo nucleo insediativo da cui si sarebbe sviluppato il centro abitato di Fucecchio: Borgonuovo, il villaggio cresciuto accanto all’Arno e vivacizzato dal passaggio dei mercanti e dei pellegrini., che transitando lungo la via Francigena, potevano sostare presso l’ospizio annesso alla chiesa di S. Salvatore. Poco prima del Mille il conte Lotario, figlio di Cadolo, affiancò alla chiesa un monastero benedettino. La nuova istituzione, beneficiando di numerose donazioni da parte delle famiglie aristocratiche residenti fra Valdarno e Valdinievole, divenne une a delle più prestigiose della regione ed accumulò un vasto patrimonio fondiario. Intorno alla metà dell’XI secolo passò all’ordine vallombrosano ed ebbe come abate Pietro Igneo, esponente del partito favorevole alla riforma della Chiesa a cui, dopo qualche esitazione, avevano aderito anche gli stasi Cadolingi. Sotto il suo abbaziato, nel 1086, il monastero fu dichiarato dal pontefice Gregorio VII esente da qualsiasi autorità laica o ecclesiastica e sottoposto direttamente alla Santa Sede.
Nei primi anni del XII secolo una paurosa alluvione dell’Arno costrinse i monaci a ricostruire gli edifici in luogo più sicuro, sull’altura vicina al Castello di Salamarzana (oggi Poggio Salamartano). Da allora, fino ad oggi, sia p’ure attraverso modifiche e ristrutturazioni, l’abbazia e l’adiacente chiesa di San Giovanni, dotata di fonte battesimale da Urbano IV nel 1089, costituirono il polo ecclesiastico del paese. Estintasi nel 1113 la dinastia dei Cadolingi, il castello attraversò un periodo di decadenza, trovandosi al centro di conflitti tra le città maggiori, Firenze, Lucca e Pisa, che cercavano di occupare lo spazio lasciato libero dalla casata comitale. Anche il Monastero perse l’antica dimensione regionale e si avviò a divenire sempre più un’istituzione locale.
E’ in questo periodo, tuttavia, che maturò una classe dirigente rappresentata essenzialmente da alcune famiglie divenute potenti all’ombra dei conti Cadolingi, e che formarono ben presto il ceto consolare del Comune, costituitosi nel XII secolo.
 
 
 Espansione del castello nel 1200
 
Seguirono, nel corso del 1200, anni di intensa crescita. Il monastero, ormai in crisi, alienò le terre prima accumulate, sulle quali furono costruire nuove abitazioni. Specialmente dopo la metà del secolo, quando la crescita demografica si fece sempre più intensa, i nuovi borghi si espansero a ventaglio, oltre il “castello vecchio” scendendo in direzione dell’ano, secondo 5 assi principali che facevano capo alla più antica porta castellana (situato presso l’attuale Piazza Vittorio Veneto). Iniziando da Oriente essi furono:
la contrada di Porta Raimonda (via Pietro Martini);
Borghetto (Via Lamarmora); 
il borgo di Gattavaia;
la contrada di dominus Bernardo (Via Donateschi);
la contrada di Sambuca, ossia l’area compresa fra le attuali piazza Cavour e Poggio Alberighi.
Tale fu l’impulso della crescita che prima della fine del Duecento si dovette procedere alla costruzione di una nuoca cinta muraria con la quale si chiusero i nuovo borghi a mezzogiorno, secondo un percorso che andava dalla Porta Raimonda alla Porta Bernarda, lungo l’attuale Corso Matteotti (dove si trovavano i fossati).
Così agli inizi del Trecento, l’impronta urbana del castello di Fucecchio era definitivamente consolidata.
Intanto anche il distretto comunale si andava fissando entro confini sempre più precisi, assorbendo le piccole comunità rurali circostanti, tanto che nei primi anni del Trecento il territorio comunale aveva ormai assunto la forma che grosso modo è rimasta inalterata fino ad oggi.
 
 
 La sottomissione a Firenze
 
Nel 1314 il comune di Fucecchio si staccò dall’antica città dominante, Lucca, accostandosi progressivamente a Firenze a cui si sottomise, come altre terre del Valdarno Inferiore, nel 1330. 
In quegli anni il castello aveva ormai raggiunto la massima espansione demografica, avvicinandosi, con tutta probabilità, a circa 3.000 anime.
Poco dopo, però, Fucecchio e gli altri centri vicini furono colpiti dalla grave pestilenza che imperversò in tutta l’Europa intorno alla metà del Trecento. A quella epidemia ne seguirono altre che, sommando agli effetti nefasti delle persistenti guerre fra Pisa e Firenze, decimarono la popolazione locale, provocando, tra l’altro, lo spopolamento pressoché completo dei villaggi delle Cerbaie e l’inselvaticamento delle campagne. 
Nei primi del Quattrocento il comune di Fucecchio contava ormai appena un migliaio di abitanti.
 
 
 La rinascita a partire dal ‘500
 
La ripresa fu lenta e coincise con il graduale ripopolamento delle campagne, avvenuto soprattutto a partire dal Cinquecento, sia su impulso del Comune, che cedette a basso costo i propri terreni a coloro che che erano intenzionati a ripristinarvi le colture, sia in seguito agli acquisti sempre più massicci da parte di proprietari fiorentini. Tra questi si distinsero i Medici, i quali, accumulando latifondi soprattutto intorno al bacino del Padule di Fucecchio, vi costituirono col tempo alcune grandi fattorie. La rinascita e l’espansione delle colture richiamò nuove braccia e diede impulso ad una nuova crescita demografica che si manifestò più intensamente nel corso del XVII secolo, a dispetto delle ricorrenti epidemie, che non sembra abbiano influito molto sul deciso e continuo aumento della popolazione, passata dai 1958 abitanti del 1551 ai 4245 del 1634.
Di questa crescita sono segni evidenti, tra il XV ed il XVII secolo, l’ampliamento di antichi edifici ecclesiastici o ancor più la costruzione di nuove chiese, come l’Oratorio della Vergine della Ferruzza, quelli di S. Rocco dentro e fuori le mura, o il convento francescano della Vergine. D’altro canto anche l’edilizia civile sembra rinnovarsi proprio in questi anni dando luogo ai maggiori palazzi patrizi locali, in parte risultato di accorpamenti e ristrutturazione di precedenti edifici medioevali, in parte frutto di completi rifacimenti, ma sempre assecondando l’originaria impronta urbana medioevale rimasta sostanzialmente inalterata.
 
 
 La riforma del granduca
 
Dalla metà del Settecento la crescita demografica, qui come in altri centri toscani, diventò ancor più rapida e impetuosa, mentre, nel frattempo, maturavano importanti novità nelle circostanti campagne. Negli ultimi trenta anni del XVIII secolo si sviluppò, infatti, la riforma voluta dal granduca Pietro Leopoldo I, che investì profondamente le strutture economiche, civili ed ecclesiastiche del paese. Con la vendita a privati del patrimonio comunale delle Cerbaie e dei poderi che costituivano la fattoria granducale di Ponte a Cappiano, circa un terzo del territorio del Comune uscì da un secolare immobilismo entrando in circolazione e fondando o allargando ricchi patrimoni familiari.
Dopo il 1780 anche il tanto atteso prosciugamento del “Lago” di Fucecchio, ricondotto dopo oltre tre secoli all’originaria condizione di palude, contribuì senz’altro al recupero di terre inutilizzate. Tuttavia questi mutamenti provocarono le proteste degli strati più miseri della popolazione, la cui sopravvivenza era legata allo sfruttamento delle risorse marginale del Padule e delle Cerbaie (pesca, raccolta di erbe, legname e sottoprodotti dei boschi).
 
 
 XIX secolo: le prime manifatture
 
Nell’Ottocento Fucecchio è un paese popoloso (alla fine del secolo il Comune supera gli undicimila abitanti) in cui prevalgono le attività artigianali legate alla manifattura del lino (già in crisi, tuttavia, prima della metà del secolo), la tessitura, le botteghe dei tintori, i calzolai, le fornaci di mattoni, il commercio al minuto, mentre mancano vere e proprie industrie. Notevole il traffico dei navicelli lungo l’Arno, almeno fino a quando la nuova ferrovia Leopolda non rese superfluo il trasporto delle merci lungo il fiume; ma è anche un centro scosso da frequenti crisi, in cui una povertà diffusa alimenta lo strato dei miserabili e della popolazione marginale. Solo tra la fine dell’Ottocento e gli inizi de secolo seguente si sviluppano i primi nuclei produttivi a dimensione industriale come la fabbrica di fiammiferi Taddei, poi acquisita dalla SAFFA, che arrivò a contare 600 operai, molti dei quali donne.
 
 
 Il dopoguerra e la “rivoluzione industriale”
 
La vera “rivoluzione industriale cominciò per Fucecchio nel secondo dopoguerra, con lo sviluppo dei settori conciario e calzaturiero che moltiplicarono l’occupazione richiamando una consistente immigrazione dal Sud e facendo superare alla popolazione il tetto dei 20.000 abitanti.
Il paese subì gravi ferite durante la seconda guerra mondiale, tra cui la perdita della trecentesca torre di Castruccio ed i pesanti danni inferti al coevo complesso della rocca, ora restaurato. Insanabile, invece, la perdita dei 175 uomini, donne e bambini trucidati in Padule dall’esercito tedesco in ritirata, nell’agosto del 1944.

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