capitolo6-1 - STORIA di FUCECCHIO FATTI, PERSONAGGI ED EVENTI - di Mario Catastini a cura di Giacomo Pierozzi

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CAPITOLI
VI  (parte 1-2)

FUCECCHIO COMUNE LUCCHESE
1187 - 1314


Fucecchio fece parte del distretto di Lucca dal 1187, anno in cui diventò Comune, fino al 1314, anno in cui fummo definitivamente staccati dalla città madre per effetto della conquista di Lucca da parte del ghibellino Uguccione della Faggiola, Signore di Pisa.
Mentre la nostra dipendenza politica, militare e giuridica da Lucca finì nel 1314, quella ecclesiastica dalle monache di Gattaiola della medesima città si protrasse invece fino al 1622, anno in cui venne istituita la diocesi di S. Miniato nella quale venne incorporato anche il comune di Fucecchio.
I rapporti tra Fucecchio furono regolati da una CONVENZIONE stilata e sottoscritta a Fucecchio nel 1278 nel refettorio del monastero vallombrosano di S. Salvatore sul Poggio Salamartano.
La CONVENZIONE stabiliva:
1- che gli uomini del Comune di Fucecchio avrebbero scelto un podestà lucchese il quale avrebbe giurato fedeltà agli STATUTI del nostro comune, mentre Lucca si impegnava a non inviare altri podestà nelle “ville” (comuni rurali) di Cappiano, Torre, Massarella, Galleno, Staffoli, Orentano e Canova sulle quali avrebbe esercitato il potere giudiziario il nostro comune;
2- che il podestà aveva il potere di inquisire e condannare secondo le norme del nostro STATUTO anche in deroga alle sentenze emesse per la medesima materia dal Vicario (giudice di grado superiore al podestà).
Nel 1289 la Convenzione andò a farsi friggere: il podestà non veniva più nominato da Fucecchio bensì da Lucca.
Da un documento del 6 luglio 1294 si ha notizia che in prossimità della Pieve di S. Giovanni (Collegiata) c’era il “Palazzo del Comune lucchese” dove esercitava la Giustizia un Vicario.
Ai primi del 1300, accanto al Vicario e al podestà, di nomina lucchese, troviamo anche una nuova figura: quella del CAPITANO di provincia, con compiti di polizia, particolarmente sgradito alla nostra amministrazione comunale che doveva farsi carico dell’onere finanziario derivante dal mantenimento sia del Capitano sia dei fanti al di lui servizio sia del notaio.
Nel 1308 Fucecchio venne innalzato a sede di Vicariato del Valdarno. Il Vicariato o Pretura copriva i seguenti comuni: Fucecchio, S. Croce sull’Arno, Castelfranco, Cappiano, Torre e Montefalconi.
I margini della nostra autonomia amministrativa erano veramente molto stretti. Soltanto in materia di politica fiscale il nostro comune rimase completamente autonomo: infatti riscuoteva i dazi ed amministrava le entrate senza risponderne alle autorità di Lucca.
La Giustizia era stata da sempre amministrata da Podestà, da vicari e da giudici lucchesi. E quando esplodevano delle vertenze o dei conflitti legali Lucca diventava arbitra dei nostri destini perché spettava a lei la soluzione delle vertenze e dei conflitti. Durante questo periodo comunale (1187-1314) non intercorsero buoni rapporti fra i comuni del Valdarno inferiore e i comuni della Valdinievole: i loro conflitti di interessi legati soprattutto all’uso delle acque in uscita dal Padule erano permanenti. E Lucca doveva dirimerli legalmente.
I Comuni della Valdinievole si rivolgevano continuamente e ripetutamente a Lucca affinché ponesse fine agli abusi dei comuni del Valdarno che non facevano defluire le acque in uscita dal Padule per far funzionare i mulini e le segherie ad acqua disseminate sull’Usciana.
Nel 1279 il giudice di Lucca fece demolire tutti i mulini e tutte le segherie che si trovavano lungo l’Usciana e anche gli sbarramenti. Queste demolizioni si rivelarono, però, dei semplici palliativi perché i Comuni del Valdarno inferiore ve li ricostruirono.
Anche nel 1288 Lucca fece abbattere di nuovo tutti gli sbarramenti che si trovavano sull’Usciana. Subito dopo vennero ricostruiti con la connivenza silenziosa di Lucca che si rivelò sempre un’arbitra scopertamente simpatizzante con i Comuni del Valdarno inferiore.

Durante questo periodo Fucecchio assunse l’assetto urbanistico ed edilizio che si è protratto fino ai nostri giorni:
- proliferarono i servizi ospitalieri;
- nacquero e si svilupparono nel territorio comunale una mezza dozzina di comuni rurali;
- si affacciarono sulla ribalta del nostro castello personaggi di notevole spessore storico;
- partirono i vallombrosani ed arrivarono i padri francescani conventuali;
- la vita ecclesiale venne regolata fino al 1622 dalle episcopesse di Lucca;
- non mancarono momenti di scontri bellici e fatti di pace;
- la vita quotidiana registrò episodi e presenze singolari e significative;
- il nostro castello si dotò di opere difensive di cui ci sono rimasti solo i toponimi;
- dopo una breve stagione di gloria i comuni rurali si trasformarono in frazioni del nostro comune.

Fucecchio cambia volto

Durante questo periodo (1187-1314) nei lotti di aree fabbricabili, dentro e fuori della prima cinta muraria del nostro Comune, si cominciarono a fabbricare case e casamenti (condomini) in laterizi. Soltanto nella campagna le famiglie contadine continuarono a vivere in capanne con pareti di argilla, pali di legno, tavole e tetti di ardesia.
Nel 1190, dopo le distruzioni belliche del 1121, 1136 Fucecchio venne ricostruito.
Si cominciarono a lastricare alcune vie e le si dotarono di fogne.
Numerose erano le botteghe artigiane e i piccoli negozi che animavano le vie delle contrade e dei borghi.
Vennero realizzate anche fornaci per mattoni e tegole. Di alcune fornaci era padrone e gestore il nostro Comune. La presenza di fornaci, di mulini dislocati lungo l’Arno, di frantoi e di segherie, di botteghe artigiane e di negozi determinarono l’arrivo di molti immigrati e quindi un notevole incremento demografico.
Nel 1293 le famiglie presenti nel nostro paese erano addirittura 534.

1200 - Oratorio delle Vedute

Nel 1200, in corrispondenza della località Le Vedute, fra Cappiano e Galleno, fu modificata la traiettoria della Via Francigena per renderla più agevole. Molti pellegrini diretti a Fucecchio e quindi a Roma, di fronte al bivio fra il ramo vecchio e quello nuovo della Francigena, sbagliavano, si smarrivano e qualche volta finivano delle mani di certi briganti.
Per ovviare a questo inconveniente il Comune fece costruire una marginetta (chiesino) con un’immagine della Madonna per consentire ai viandanti di non smarrirsi.
L’immagine della Madonna, così come ci è pervenuta a Fucecchio nel 1730, dovrebbe essere stata affrescata fra il 1400 e il 1500.

Nascita dei Comuni Rurali detti anche comunelli

E nelle campagne a confine col nostro paese che cosa stava succedendo in questo periodo storico? Nelle nostre campagne esistevano da alcuni secoli insediamenti umani organizzati come quelli di Cappiano e di Massa Piscatoria. Anche a Torre si era costituito nei primi secoli dopo il Mille un insediamento di contadini intorno all’antica Villa di S. Gregorio. Gli abitanti di questi villaggi, raggiunti anche da mercanti fucecchiesi, mostrarono grande interesse per i nuovi assetti amministrativi del Castello di Fucecchio e di altri Castelli (comuni).
Agli inizi del 1200 anche questi villaggi di campagna (Cappiano, Massarella, Galleno, Torre e Orentano) si dettero un assetto amministrativo proprio, svincolato da qualsiasi autorità feudale o comunale.
Questi villaggi, per non esporsi al rischio di essere incorporati dai comuni più grandi, si cinsero di mura con porte e torri, scavarono un fossato davanti alla cinta muraria e si dotarono di un ponte levatoio per controllare agilmente l’entrata e l’uscita delle persone dal loro villaggio che per effetto di quelle mura e di quel fossato venne chiamato più propriamente castello. All’interno del castello c’erano i pozzi, le viuzze, una piazza e la chiesa dove venivano fatte le riunioni delle magistrature, gli organi cioè che esercitavano il potere.
Di questi comuni rurali non conosciamo né gli Statuti né gli Ordinamenti. E non ci è pervenuto nessun documento perché il signore di Lucca, Castruccio Castracani, volutamente, ne distrusse la memoria storica radendoli al suolo a più riprese (1320 e 1328) e incendiandone tutto il materiale documentale.
Sulla base di analogie con i comuni rurali del senese di cui sono stati salvati i documenti è stato possibile tracciare un quadro abbastanza attendibile delle strutture amministrative tipiche dei comuni rurali: l’Assemblea del popolo o Parlamento; il Consiglio comunale; la magistratura esecutiva formata dal console, dal camerlengo, dal notaro
La giustizia veniva amministrata dal console se i reati erano lievi; i reati gravi, fino al 1309, vennero sempre giudicati a Fucecchio da un Vicario lucchese.

Ospedali fucecchiesi nel Medioevo

Gli ospedali - hospitali - erano edifici con stanzone, chiostro, portico ed annessa chiesetta. Essi erano destinati non all’assistenza sanitaria bensì al rifocillamento ed al pernottamento dei pellegrini, dei mercanti, dei viandanti e dei poveri. Erano degli hotel o addirittura dei motel in anteprima.
Nel centro abitato di Fucecchio c’erano questi ospedali od ospizi:
1- L’ospedale di S. Salvatore presso il ponte di Bonfiglio. A questo ospedale fece una bella donazione il conte Ugo, nel 1104, prima dell’alluvione dell’Arno del 1106.
2- L’ospedale di S. Maria posto sul Poggio Salamartano “ a servizio dei poveri e dei pellegrini “ come risulta da un documento del 1108. Era situato presso la Pieve di S. Giovanni Battista. Fu l’ospedale più amato dai fucecchiesi. Sotto il suo portico solevano riunirsi i consiglieri comunali. Molte persone benestanti lasciavano in eredità a quest’ospedale soldi e masserizie.
3- L’ospedale di Rosaia, presso i Seccatoi, in Via Burello. Questo ospedale venne fondato dal conte cadolingio Guglielmo il Bulgaro prima del 1060. Esso fu beneficiato di molte donazioni. Nel 1089 un parente dei Conti Cadolingi donò all’ospedale un pezzo di terra, presso la Torre, in favore dei pellegrini e dei viandanti allo scopo di rifocillarli per rimedio dell’anima. Col trascorrere degli anni, questo ospedale passò sotto l’amministrazione della Magione di Altopascio.
4- L’ospedale di S. Margherita martire, in via Donateschi e precisamente nel vicolo dello Spedalino.
5- L’ospedale di Ser Giunta Staffa da lui fondato, in via Lamarmora, nel 1310.

Fuori del centro abitato c’erano i seguenti ospedali:
6- L’ospedale di S. Nazario in località Querce. Vi passava una diramazione della Via Francigena.
7- L’ospedale di S. Trinità posto in Cerbaia e precisamente a Galleno. Fu amministrato dal vescovo di Lucca fino al 1251 e successivamente dal Maestro di Altopascio.
8- L’ospedale di Rosaiolo presso il ponte di Cappiano.
9- L’ospedale di Casore (1230) presso la Torre. Esso dipendeva da Altopascio.

1209 - S. Miniato diventò un Comune molto più importante di Fucecchio

Il 6 novembre 1209, proveniente da San Miniato, Ottone IV venne a Fucecchio e vi prese alloggio per qualche giorno. Durante le sue giornate di permanenza affluirono a Fucecchio i più autorevoli personaggi toscani di quel tempo.
L’imperatore ci gratificò elevando Fucecchio a sede di un Vicario Imperiale.
Ottone IV, nel frattempo, dovette fronteggiare la concorrenza di Federico II, diciassettenne aspirante alla corona imperiale e sotto la tutela del pontefice.
Il comune di Fucecchio si schierò dalla parte di Ottone IV; quello di S. Miniato si schierò, invece, dalla parte di Federico II. Siccome alla fine prevalse Federico II, Fucecchio, per punizione, venne declassato e perdette anche il ruolo di sede di Vicariato Imperiale.

1239 - Proliferazione di borghi attestata nel 1239 dall’erezione della chiesa di S. Andrea

Con la qualifica di BORGO venivano indicate nel medioevo le strade con abitazioni poste all’esterno della cinta muraria che circondava i paesi detti anche castelli.
La presenza del Borgo di S. Andrea - l’attuale Via Castruccio - è documentata in un contratto stipulato nel 1218.
Anche la chiesa di S. Andrea la cui esistenza è documentata in un contratto stipulato proprio nella chiesa nel 1239 si trovava fuori della cinta muraria.
Da un altro contratto rogato nel 1251 risulta che il Borgo di S. Andrea era diventato una Contrada. Le abitazioni e la chiesa di S. Andrea si trovarono finalmente all’interno della nuova cinta muraria.

1244 - I TAU a Fucecchio

TAU è il nome della lettera dell’alfabeto greco corrispondente alla nostra T e che simboleggia la croce su cui Gesù Cristo morì.
Questa lettera alfabetica era il distintivo degli ospitalieri che avevano la loro Magione (sede) ad Altopascio e che durante il medioevo si diffusero in Italia settentrionale e soprattutto in Francia.
Il corpo sociale degli ospitalieri del TAU era formato da tre gruppi:
1- I frati professi che giuravano di rispettare la Regola
2- I confratelli laici che promettevano di osservare la Regola
3- Gli armati a cavallo, detti impropriamente Cavalieri del TAU, che erano addetti alla difesa dei pellegrini.
La Regola era stata sottoscritta da papa Gregorio IX il 9 aprile 1294; ma già nel 1244 era stata assegnata agli ospitalieri del TAU di Altopascio la manutenzione del nostro ponte di Bonfiglio sul quale transitavano i pellegrini e i viandanti della Via Francigena.
Gli ospitalieri di Altopascio possedevano numerosi immobili sia dentro che fuori del castello di Fucecchio. La proprietà di questi immobili è attestata anche da un documento - un atto di permuta - del 1481.

1249 - L’imperatore Federico II a Fucecchio

L’imperatore Federico II (1194-1250), figlio di Enrico VI di Hohenstaufen e di Costanza d’Altavilla, re di Sicilia dal 1198, re di Germania dal 1212 e imperatore dal 1220 fu in lotta contro il Papato per non aver mantenuto la promessa fatta a papa Innocenzo III, suo tutore: quella di tenere divisi i suoi due regni in Italia e quella di condurre una Crociata per liberare la Terra Santa.
Nel 1227 Federico II venne addirittura scomunicato da papa Gregorio IX perché aveva ottenuto Gerusalemme con l’uso di trattative anziché con le armi.
La sua pretesa di governare l’Italia da sovrano assoluto spinse i comuni italiani a riunirsi in una seconda Lega, mentre il papa bandì contro Federico II una crociata e sciolse tutti i suoi sudditi dal giuramento di fedeltà.
Nel 1237 l’imperatore riuscì a sconfiggere la Lega a Cortenova.
Nel 1248 venne sconfitto a Parma.
Il 29 aprile 1249, un anno prima della sua morte, Federico II si trovava a Fucecchio con tutta la sua corte. Per ragioni scaramantiche aveva eletto il nostro paese a sua residenza in Toscana. I maghi gli avevano predetto di non recarsi mai a Firenze perché colà avrebbe trovato la morte.
Quel 29 aprile i fucecchiesi vissero una delle giornate più spettacolari di tutta la loro storia. A pochi chilometri di distanza, a Capraia, le truppe guelfe si erano arrese all’esercito ghibellino di Federico II.
L’imperatore ordinò che i prigionieri guelfi venissero condotti, incatenati, a Fucecchio. L’ordine venne eseguito.
Fra i prigionieri giunti a Fucecchio c’erano anche il conte Rodolfo di Capraia, suo fratello Anselmo e Ranieri Zingami Buondelmonti.
I fucecchiesi assistettero all’impiccagione di alcuni notabili guelfi e all’accecamento di altri.
Il macabro spettacolo si sarebbe protratto per altri giorni se Federico II non fosse stato raggiunto dalla notizia che suo figlio Enzo era caduto prigioniero e che era stato condotto a Bologna.
Immediatamente l’imperatore lasciò Fucecchio seguito da tutti i prigionieri incatenati. Quando il mesto corteo raggiunse la Puglia, tutti i prigionieri vennero accecati e poi gettati in mare. Soltanto il Buondelmonti ebbe salva la vita, ma dopo che gli erano stati bruciati gli occhi.
Federico II morì un anno dopo, il 3 dicembre 1250.

1258 - Il Monastero di S. Salvatore ceduto alle monache di Gattaiola di Lucca

Nel 1250 nel monastero di S. Salvatore vi erano soltanto 5 monaci che conducevano una vita abbastanza dissoluta. Il monastero era diventato un vivaio di scandali.
Sotto la spinta di un abate senza scrupoli, i monaci vendevano, infeudavano e dilapidavano il patrimonio della ormai secolare Abbazia. Per effetto del privilegio del Nullius Diocesis nessun vescovo li poteva controllare e la Santa Sede non aveva alcuna intenzione di spedire a Fucecchio qualche suo Vicario.
Nella vicina città di Lucca, nel convento di Gattaiola, viveva una comunità di clarisse la cui miseria metteva ogni giorno in pericolo la loro sopravvivenza.
Nel 1250 il vescovo di Lucca, smanioso di recuperare alla propria diocesi l’ecclesia di Fucecchio sottrattagli nel 1085 in virtù del privilegio del Nullius Diocesis concesso all’Abbazia di S. Salvatore, convinse le monache di Gattaiola di rivolgersi al papa per chiedergli i beni e le entrate dell’Abbazia S. Salvatore di Fucecchio.
Nel 1255 le clarisse di Gattaiola di Lucca scrissero a papa Alessandro IV per informarlo sulla loro condizione di estrema povertà e per chiedergli la proprietà dei beni dell’Abbazia di S. Salvatore di Fucecchio. Scrissero presso a poco una lettera di questi tenore:
“ .......... noi suore di Gattaiola siamo tante e rischiamo di morire tutte di fame e di dover chiudere per questo motivo il nostro convento; i monaci di Fucecchio, invece, sono soltanto cinque, navigano nella ricchezza, sperperano in maniera scandalosa i loro beni e si comportano in maniera, a dir poco, sconveniente.
Per la salute della Chiesa sarebbe perciò opportuno rispedire i 5 monaci alla Casa Madre di Vallombrosa ed assegnare a noi che siamo poverissime l’Abbazia con tutti i suoi beni. Questa operazione ci consentirebbe di sopravvivere e di assicurare così alla Chiesa il conforto delle nostre preghiere e dei nostri sacrifici.”

Papa Alessandro IV incaricò un sacerdote delle nostre zone di controllare se quanto avevano affermato le clarisse di Lucca rispondeva a verità e, ricevutane conferma, in data 18 marzo 1258 emanò una decisione molto grave nei confronti dei 5 monaci vallombrosani di S. Salvatore di Fucecchio. Per effetto di questa decisione l’Abbazia di S. Salvatore e quella di Cappiano passarono in proprietà alle clarisse di Gattaiola unitamente alle altre chiese e pievi dipendenti con tutte le loro entrate e i loro beni stabili. I monaci se ne dovettero andare.
Inoltre la badessa di Gattaiola, pur rimanendo a Lucca per ragioni di clausura, surrogava l’abate di S. Salvatore ed otteneva perciò la facoltà di: nominare il pievano di Fucecchio; concedere benefici; inquisire; condannare e sospendere i sacerdoti; autorizzare i vescovi a cresimare in Fucecchio.
La badessa di Gattaiola, grazie a questa facoltà, diventò l’episcopessa di Fucecchio.

1261 - Assedio di Fucecchio

Durante il medioevo anche il nostro castello ( paese cinto di mura) subì numerosi assedi.
Dopo la vittoria dei ghibellini a Montaperti nel 1260, moltissimi guelfi si rifugiarono nel castello di Fucecchio.
Questi profughi, oltre a provocare gravi disagi alla nostra popolazione scatenarono la violenta reazione di Guido Novello, capo dei ghibellini e neo podestà di Firenze.
Guido Novello infatti organizzò una spedizione punitiva esemplare contro Fucecchio.
Prima di assediare il nostro castello, Guido Novello espugnò tutti i castelli vicini - S. Maria a Monte, Santa Croce, Castelfranco di Sotto, Montecalvoli, Pozzo - per impedir loro di portarci aiuto.
Espugnati questi castelli, Guido Novello, nel 1261, dette l’assalto a Fucecchio.
Le nostre truppe comandate da Lotto di Chiatri, da Bellomo Viviani e dal Baschiera, rimasto ferito ad un occhio, respinsero l’assalto.
Il Novello, allora, ci assediò. L’assedio durò 31 giorni.
Le baliste e le catapulte dei ghibellini vomitarono nel nostro castello migliaia di pietre. Ma resistemmo.
Fortunatamente ci venne in soccorso l’astrologo Guido Bonatti che consigliò al Novello di interrompere l’assedio e di ritirarsi per l’avvicinarsi di pericolosi piovaschi.
Guido Novello gli obbedì, ma non poté evitare i tremendi acquazzoni che si rovesciarono sul suo esercito mentre si allontanava da Fucecchio.
Fucecchio era salvo.
Pochi giorni dopo i profughi guelfi abbandonarono il nostro castello.

1261 - Ponte di pietra

Alla Magione di Altopascio era stata affidata la gestione e la manutenzione del Ponte di Fucecchio.
Poiché i ponti in legno o quelli di barche venivano abbattuti ogni volta che L’Arno andava in piena, i frati della Magione avevano deliberato di costruire a Fucecchio un ponte in pietra. Un siffatto ponte avrebbe resistito alle piene ed avrebbe richiamato un numero maggiore di clienti per la sicurezza che avrebbe offerto.
Nel 1261 i lavori per la muratura del PONTE non erano ancora finiti per mancanza di soldi. I frati si rivolsero a Papa Urbano IV. Il papa invitò caldamente i fedeli ad essere larghi di elemosine verso la Magione che non aveva soldi sufficienti per condurre a termine la costruzione del ponte in pietra a Fucecchio.
Soltanto un documento del 1550, la Carta dei Capitani, attesta che la costruzione del ponte venne portata a termine. Purtroppo le piene ce la fecero a distruggere la parte carrabile del ponte. Le pigne, invece, resistettero e sopravvissero per secoli.

1258-1265 - Altre due puntate della storia del Monastero S. Salvatore

Le monache di Gattaiola, nel 1258, erano diventate proprietarie del Monastero di S. Salvatore di Fucecchio.
Poiché erano monache di clausura non potevano venire a controllare i loro “affari” a Fucecchio. Esse dovevano affidarsi ad un Vicario di loro fiducia.
Il vescovo di Lucca, desideroso di reincorporare nella propria diocesi la Ecclesia di Fucecchio, passata sotto la giurisdizione degli abati di S. Salvatore nel 1085 per effetto del privilegio del Nullius Diocesis, propose alle clarisse lucchesi una permuta in questi termini:
- Voi mi cedete l’Abbazia di Fucecchio con tutte le sue proprietà e con la sua giurisdizione ed io vi cedo la chiesa di S. Pietro in Lucca con tutte le sue proprietà. Per voi sarà molto più agevole il controllo dei vostri nuovi beni.
Le monache si lasciarono convincere e nel 1261 sottoscrissero l’atto di permuta.
Il vescovo di Lucca toccò il cielo con un dito: Fucecchio era ritornato nell’ovile della diocesi di Lucca!
Il Comune di Lucca, però, geloso dell’accresciuto potere ecclesiale e finanziario del suo vescovo, riuscì a convincere le monache di Gattaiola che quella permuta risultava oltremodo svantaggiosa per le loro esangui casse.
Le monache abboccarono, scrissero di nuovo al Papa ed ottennero in data 25 febbraio 1265 l’annullamento dell’atto di permuta.
L’annullamento dell’atto di permuta segnò la capitolazione definitiva del vescovo di Lucca sullo “affaire Fucecchio”.
E di nuovo il nostro paese passò sotto l’autorità ecclesiale delle Episcopesse di Gattaiola.

1266 - Ritorno dei monaci vallombrosani

Nel 1266 Guido Novello, comandante dell’esercito fiorentino e nemico giurato di Fucecchio, reinsediò i monaci vallombrosani nel Monastero di S. Salvatore di Fucecchio.
Le monache di Gattaiola, anche se sostenute dal pontefice, non riuscirono ad estromettere i monaci vallombrosani dal Monastero di S. Salvatore.

1266-1284 - Fucecchio comune ghibellino

Papa Clemente IV, caposaldo dei Guelfi, succeduto a papa Urbano IV nel 1264, chiamò in Italia il re di Francia Carlo d’Angiò per fargli spazzar via il partito dei ghibellini che stavano dalla parte dell’imperatore.
Siccome l’imperatore non poteva scendere in Italia a dar manforte ai ghibellini, i comuni ghibellini della Toscana formarono una Lega capeggiata da Pisa.
La Lega ghibellina della Toscana, oltre ad approntare un piano di difesa contro Carlo d’Angiò, programmò anche una serie di scorrerie mensili da effettuarsi nei comuni guelfi come quelli di Fucecchio, S. Croce e Castelfranco.
Non potendo contare sull’aiuto immediato di Carlo d’Angiò e per scongiurare il pericolo di probabili devastazioni, i comuni di Castelfranco, di S. Croce e di Fucecchio nel 1266 si offrirono alla Repubblica Pisana.
Con questa sottomissione vennero evitate non solo le devastazioni ma anche le rappresaglie a carico dei nobili guelfi presenti in Fucecchio.
La Repubblica di Pisa mandò a Fucecchio, in sua rappresentanza, Giovanni Peci.
Il Peci ricevette il nostro giuramento di fedeltà e assunse il comando delle milizie pisane inviate a presidiare il castello di Fucecchio.
Diciotto anni dopo questo evento, la Repubblica ghibellina di Pisa venne sconfitta alla Meloria.
Il guelfo Ugolino della Gherardesca, con il consenso dei Fiorentini, si fece proclamare Signore assoluto di Pisa.
Ugolino, come primo atto della sua Signoria, espulse dalla città di Pisa i ghibellini più pericolosi.
Successivamente Ugolino cedette a Firenze i castelli di S. Croce, Castelfranco e Fucecchio.
Fu così che noi fucecchiesi recuperammo la qualifica di comune guelfo.

1273 - Enrico da Fucecchio vescovo-conte di Luni

Il 4 aprile 1273 papa Gregorio X, da Orvieto, emise una Bolla per la elezione di Enrico da Fucecchio a vescovo di Luni, città toscana morta perché completamente distrutta nel 1019 dall’arabo Mugaid. Quando Enrico venne eletto vescovo-conte ricopriva la carica di canonico della chiesa di S. Audomasti della diocesi di Boulogne, in Francia.
Enrico da Fucecchio onorò la carica di vescovo- conte e di vicario imperiale sia con l’azione sia con lo studio. La spada e la penna furono le sue armi predilette.
Elevato alla carica vescovile in un momento di gravi difficoltà per la Chiesa di Luni, depredata nei suoi DIRITTI e nei suoi BENI dai vassalli e dai Comuni vicini, seppe dimostrare di possedere spiccate doti di diplomatico e di condottiero.
Visto che le entrate della sua ecclesia si erano volatilizzate, prima le reinventariò e poi, con azione energica, le recuperò.
Dopo aver riscattato gli antichi DIRITTI della Chiesa di Luni e dopo aver restaurato le finanze, impiegò la sua energia al ristabilimento del POTERE TEMPORALE derivantegli dalla sua carica di vescovo-conte.
Con tenace ricerca riordinò tutti gli antichi DIPLOMI, cioè i documenti relativi ai diritti del suo episcopio come gli atti di investitura, i lodi, le sentenze, i giuramenti di fedeltà, i contratti, i privilegi. Fece trascrivere il tutto su di un libro, il famoso CODICE PALLAVICINO, un vero e proprio monumento del Diritto Medioevale.
Gli strumenti usati da Enrico da Fucecchio per ripristinare i DIRITTI del vescovado di Luni furono: la trattativa; gli acquisti di terre vicine ai concorrenti per isolarli ed indurli all’abbandono; la guerra.
Valga per tutti l’esempio della conquista dei castelli di Bolano e della Brina che gli vennero contestati dai Malaspina. Quando costoro inviarono tre ambasciatori per protestare, il nostro Enrico fece loro tagliare la testa.
Il nostro compaesano vinse poi la vertenza contro i Malaspina con il LODO di Orvieto dell’8 aprile 1281.
Non ebbe la stessa fortuna con Genova e Lucca, confinanti rapaci e forti.
Compiuta l’opera di recupero dei BENI, si adoperò per conservarli facendo fabbricare torri e fortilizi nei punti nevralgici della sua diocesi per fermare sia i feudatari confinanti sia i corsari sia l’esercito genovese. Organizzò, a sue spese, una milizia permanente reclutata fra gli uomini del suo contado e collocata a presidio delle torri e dei fortilizi.
Nel 1285 ottenne dall’imperatore Rodolfo il diritto di battere moneta in virtù di un antico privilegio caduto in disuso.
Il crollo di Pisa, i cui interessi coincidevano con quelli dei vescovi-conti, e l’accrescimento della potenza dei Comuni determinarono un processo di decadenza che investì anche il vescovado di Luni. Se ne compiacquero Genova, Lucca, i Fieschi, i Malaspina, i feudatari minori ed i Comuni vicini.
Il nostro Enrico da Fucecchio morì nel 1297.

1281 - Guerra vittoriosa contro S. Croce e Castelfranco

Nel 1250 il Comune di Lucca per meglio tutelarsi sul versante del Valdarno aveva fatto costruire i castelli di S. Croce, di Castelfranco e la rocca di S. Maria a Monte.
S. Croce e Castelfranco, fra il 1270 e il 1280, avevano tentato a più riprese di impadronirsi di una fetta del territorio fucecchiese e dei relativi tributi che vi gravavano. La zona appetita dai due comuni era quella adiacente all’attuale via Fucecchiello.
Il Comune di S. Croce, contravvenendo a precise diffide del comune di Fucecchio, aveva costruito sulla Gusciana (Usciana) un ponte fortificato in località Rosaiolo e una strada che congiungeva S. Croce al lebbrosario della Querce. Questa strada veniva considerata dannosissima perché metteva in secondo piano la via Francigena a cui erano legate molte delle nostre risorse economiche.
S. Croce e Castelfranco, infine, volevano attribuirsi la piena ed autonoma giurisdizione civile e criminale che spettava invece al Vicario che aveva il proprio “banco” di Giustizia a Fucecchio.
Fucecchio reagì a queste prevaricazioni dichiarando guerra a S. Croce e a Castelfranco. La battaglia decisiva si svolse presso Aguzzano (S. Pierino) nell’ultima decade del mese di maggio del 1281. Qui si scontrarono due veri e propri eserciti formati da truppe locali e da mercenari arruolati nel Valdarno e nella Valdinievole. La battaglia, e quindi la guerra, fu vinta, come già era stato pronosticato da S. Cristiana, dall’esercito fucecchiese.
Soltanto il 2 settembre 1287 il Podestà e il Capitano del Popolo di Lucca emisero un arbitrato per ricomporre i dissidi sorti fra Fucecchio e gli altri due comuni del Valdarno.

1284 - Orentano, comune rurale, si sottomette a Fucecchio

Intorno al 1200 anche Orentano si proclamò Comune Rurale e si dotò di Magistrature proprie per l’esercizio dell’autogoverno e cioè dei tre poteri canonici: il legislativo, l’esecutivo e il giudiziario.
I Comuni Rurali sarebbero sopravvissuti se non avessero suscitato, a causa della loro debolezza, gli appetiti dei Comuni più grandi e più forti smaniosi di espansione territoriale.
Il Comune Rurale di Orentano non disponeva di un proprio esercito né di capitali sufficienti per potersene mantenere uno.
Che fare? Meglio sottomettersi ad un Comune vicino più forte e più grande.
Sottomettersi non significava rinunciare all’esercizio dei tre poteri canonici: significava semplicemente accettare la difesa militare del Comune più grande sottoscrivendo alcuni impegni, per lo più di natura finanziaria.
L’8 ottobre 1284, Rustichello del Bascetto in rappresentanza del Comune Rurale e degli uomini di Orentano chiese al rappresentante del Comune di Fucecchio che gli Orentanesi venissero dichiarati veri e legittimi castellani di Fucecchio. Promise di fare e di subire tutti i pesi reali e personali del Comune di Fucecchio sottoponendo se stessi e tutti i loro beni in perpetuo al medesimo e promettendo di non eleggere nessun Podestà (giudice) senza licenza del Comune di Fucecchio, non intendendo, però, pagare i debiti contratti dal Comune di Fucecchio fino al presente giorno né di essere costretti a riattare alcuna strada, pozzo o muro.
A questo punto, Rustichello attese il responso del rappresentante del Comune di Fucecchio, certo Anfidio. Questi si alzò, prese per mano Rustichello e gli permise di attraversare il LIMEN ROSSO, una fettuccia rossa stesa sul pavimento.
Questo attraversamento sanzionava che Fucecchio ammetteva Orentano e i suoi abitanti per veri castellani di Fucecchio e si impegnava a difendere le loro persone e i loro beni.
Dopo l’attraversamento del Limen Rosso vennero sottoscritti gli impegni e fu prevista una multa di 500 denari in caso di inadempienze dell’una o dell’altra parte.

1292 - La Martinella

La martinella non era soltanto la campanella posta sul Carroccio usato dalla Lega Lombarda.
A Fucecchio la Martinella era la campana posta sulla torre del Palazzo Comunale o Cancelleria che veniva suonata in caso di pericolo per radunare gli “homini d’harme” e i “popoli circonvicini”.
La Martinella di Fucecchio pesava trecento libbre ed era stata fatta nel 1292.
Quando non ci fu più bisogno di questo segnale di allarme venne utilizzata a Fucecchio come campana dell’orologio pubblico.
Nel 1600 il palazzo comunale o Cancelleria con la relativa torre “dell’oriuolo” (orologio) si trovavano al centro dell’attuale piazza Vittorio Veneto con la facciata rivolta verso il palazzo Pretorio.

1293 - Pace di Fucecchio

Negli ultimi decenni del XIII secolo anche in Toscana, divisa in guelfi e ghibellini, ci si sbranava nel senso letterale della parola.
Pisa era la città che più di ogni altra eccitava all’odio e alla vendetta. L’Arcivescovo Ruggeri di Pisa, ad esempio, aveva fatto morire di fame, in una torre, il conte Ugolino e i due nipotini. Questo delitto aveva scosso tutta la Toscana.
Il genero del conte Ugolino, Nino Visconti, riuscì a coalizzare contro Pisa non solo Lucca, Firenze e Genova, ma anche tutti i fuorusciti guelfi.
Scoppiò così una ennesima guerra. Le sorti di questa guerra furono inizialmente favorevoli alla coalizione di Nino Visconti e successivamente a Pisa che aveva affidato il comando del suo esercito a Guido da Montefeltro.
Esauste, entrambe le parti accolsero favorevolmente la proposta di trattative per stipulare una PACE.
Il 12 luglio 1293 tutti gli ambasciatori delle città e delle terre partecipanti alla guerra sottoscrissero la PACE DI FUCECCHIO. Il trattato fu stipulato e giurato solennemente sui Vangeli nella Pieve di S. Giovanni di Fucecchio. Questi sono alcuni punti salienti del trattato: i pisani dovevano licenziare subito il capo del loro esercito, Guido da Montefeltro; I guelfi dovevano tornare nel pieno godimento dei loro beni; I lucchesi e i fiorentini dovevano essere esentati dal pagamento di tasse nelle attività mercantili con Pisa.
Allo scopo di perpetuare la memoria di questo eccezionale avvenimento, il nostro Comune deliberò di far affrescare sulla facciata del futuro palazzo comunale l’immagine di S. Cristoforo quale simbolo perenne di pace. Deliberò inoltre che gli atti più importanti della nostra vita pubblica dovevano essere sottoscritti o giurati sotto quella immagine.

1294 - I monaci vallombrosani cacciati da S. Salvatore

Nel 1258 i monaci vallombrosani, su ingiunzione del pontefice, erano stati costretti ad abbandonare il Monastero di S. Salvatore che era stato concesso con tutti i suoi beni alle monache clarisse di Gattaiola di Lucca.
Nel 1266 i monaci vallombrosani erano rientrati alla chetichella nell’Abbazia di S. Salvatore grazie alla protezione di Guido Novello, podestà di Firenze e nemico giurato di Lucca e anche di Fucecchio (sotto Lucca), l’unico castello che Guido non era riuscito ad espugnare.
I monaci vallombrosani rientrati nel monastero erano intenzionati a rimanervi per sempre; ma di questo avviso non furono le monache di Gattaiola.
Quando la badessa di Gattaiola di Lucca si rese conto che i buoni uffici, gli inviti e le minacce non risortivano alcun effetto, si rivolse al lucchese Ser DINO, un uomo di pochi scrupoli, e lo autorizzò ad estromettere, sia pure con l’uso della violenza, i Vallombrosani dall’Abbazia di S. Salvatore di Fucecchio.
I monaci lo seppero e fecero venire a Fucecchio in loro aiuto l’Abate Maggiore di Vallombrosa, il monaco Valentino.
Il 16 settembre 1294 il Monastero di S. Salvatore venne circondato da una moltitudine di Lucchesi capeggiati da Ser DINO.
Dentro al Monastero vi era anche padre Valentino, l’abate maggiore di Vallombrosa.
Purtroppo la presenza del Superiore dell’Ordine Vallombrosano ed il suo intervento verbale contro Ser Dino non risortirono alcun effetto. Ser Dino, privo di scrupoli, usò violenza sia contro l’abate Iacopo sia contro l’abate superiore Valentino. E fu così che quel giorno vennero cacciati dal monastero i due abati, i pochi monaci, conversi e chierici, e i familiari dei medesimi. Inutilmente il popolo si schierò dalla parte dei monaci.
Questa cacciata all’insegna della violenza segnò la fine ingloriosa della presenza dei monaci nel nostro paese. I Vallombrosani si trovavano a Fucecchio dal 1068, l’anno in cui erano subentrati ai benedettini.

1294 - L’arcivescovo Ruffino fonda l’Oratorio e l’ospedale S. Margherita Martire

Il 31 ottobre 1295 papa Bonifacio VIII emanò un Bolla con la quale il frate domenicano fucecchiese, Ruffino, arcidiacono della chiesa di Reims in Francia, veniva elevato al rango di Arcivescovo di Milano.
Purtroppo il nostro concittadino non prese mai possesso della diocesi della città milanese.
Il 31 marzo 1296, mentre si trovava a Roma in attesa di essere consacrato vescovo dal papa, Ruffino morì.
Per volontà testamentaria fu seppellito a Roma in un convento domenicano. Il testamento era stato rogato a Lucca dal notaio Caldevillano del fù Pagano, nel monastero di S. Romano, il 22 settembre 1294. Il testamento mette in luce le enormi ricchezze di Ruffino.
Il nostro frate domenicano era nato a Fucecchio. Suo padre si chiamava Lotario. Aveva di sicuro una sorella di nome Margherita e questo spiega come mai la chiesa dello spedalino fondato da Ruffino fosse stata intitolata a S. Margherita martire. Aveva anche un fratello, Dino, che nel 1294 doveva essere già morto.
Il 22 settembre 1294, il fucecchiese Ruffino Lettieri aveva dettato a Lucca, nel monastero di S. Romano, il testamento rogato dal notaio Caldevillano del fu Pagano. Sia nel testamento che nel suo codicillo, il futuro arcivescovo Ruffino aveva destinato cospicui fondi per il mantenimento dell’ospedale. Le dotazioni, che avrebbero dovuto garantire una durata plurisecolare a questo ospedale, furono ragguardevoli: il palazzo di Ruffino; 200 fiorini d’oro; il castello di Nischieta (Castellare) con tutti i suoi appezzamenti di terreno agricolo; le case grandi e piccole che possedeva in Fucecchio; una parte dei beni che si trovavano in Toscana.

Il Maestro della Casa ed il Priore dei frati predicatori di Lucca furono incaricati di designare gli ospitalieri e i cappellani che si sarebbero alternati nella cura dell’ospedale. Il Maestro ed il Priore avrebbero dovuto ascoltare anche il parere di Enrico da Fucecchio.
Dell’ospedale od ospizio, formato da due camere, una grande con 16 letti riservati ai poveri ed una piccola con 4 letti riservati ai frati predicatori di Lucca, non è rimasta che l’intitolazione di un vicolo sulla destra della chiesa-oratorio di S. Margherita: Vicolo dello Spedalino.
La pia intenzione dell’arcivescovo Ruffino non venne però rispettata. Invece di un ospedale a sollievo dei sofferenti, nel fabbricato indicato da Ruffino furono aperte una locanda e una osteria. In prossimità del palazzo di Ruffino vennero eretti soltanto la chiesina di S. Margherita martire e uno spedalino, cioè un ospizio riservato a 4-6 vecchie che vivevano mendicando.
Chi mandò a monte le volontà testamentarie dell’Arcivescovo Ruffino?
Furono le monache di Gattaiola di Lucca. Con un compromesso rogato il 6 aprile 1301 riuscirono ad entrare in possesso sia del fabbricato che era stato destinato a diventare ospedale sia del terreno ad esso adiacente.
Nel 1448 il Vescovo di Lucca affidò i beni di Ruffino a Giovanni Capponi, Maestro della Magione di Altopascio, essendo l’ospedale in rovina e i suoi beni dilapidati.
Nel 1644 la Fondazione Ruffiniana passò ai marchesi Corsini. I Corsini, consapevoli dei vincoli morali legati a quella parte del patrimonio che veniva dall’eredità di Ruffino, instaurarono la tradizione di distribuire 12 staia di grano ai poveri ogni anno, il 20 luglio, per la ricorrenza di S. Margherita martire.
Della chiesa di S. Margherita è rimasto, invece, il fabbricato posto sulla biforcazione di via Machiavelli e via Donateschi. Questa chiesa è stata officiata fino agli inizi del 1900.
Prima che fosse ridotta, verso il 1910, a negozio di drogheria e ferramenta, la chiesa assolse ad un’altra pietosa funzione: d’estate diventava la stanza mortuaria per gli affogati nelle acque dell’Arno: da qui la nuova intitolazione di Chiesa degli affogati. In questo ultimo decennio il fabbricato dell’antica chiesa di S. Margherita martire ha ospitato un negozio di antiquariato e successivamente una Enoteca (oggi, 2012, libreria Eden).


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