capitolo20 - STORIA di FUCECCHIO FATTI, PERSONAGGI ED EVENTI - di Mario Catastini a cura di Giacomo Pierozzi

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CAPITOLI
XX

FUCECCHIO RIDIVENTA UN COMUNE DEL GRANDUCATO LORENESE
DAL 1815 AL 1859


Il 20 aprile 1815 la Toscana passò di nuovo sotto i Lorena.
Ferdinando III rientrò a Firenze il 17 settembre.
Fu anche questa un’ottima occasione per organizzare luminarie, fuochi d’artificio e festeggiamenti particolarmente solenni a Fucecchio.

Il Congresso di Vienna – 1815 – passò inosservato alla maggioranza dei fucecchiesi a tutt’altre faccende interessati.
Gli operai e i contadini del nostro comune, quasi tutti analfabeti, non furono nemmeno sfiorati dal vento del Risorgimento. I moti carbonari e quelli della Giovane Italia non suscitarono nemmeno l’interesse dei nostri concittadini. Soltanto gli intellettuali borghesi, che erano pochissime decine, aprirono il cuore e l’intelligenza al vento della Storia.

1816 - Lampioni

Da una gara di appalto del 1816 risulta che il paese di Fucecchio, di notte, era illuminato da 10 lampioni ad olio e che il Comune spendeva annualmente per ogni lampione 90 lire.
L’appaltatore aveva questi obblighi:
1- Nel mese di luglio doveva ritingere a proprie spese con buona tinta sia i lampioni che i ferri di sostegno;
2- Doveva usare olio di ottima qualità, tale da rendere la luce chiarissima;
3- I cristalli dei lampioni dovevano essere sempre ben puliti tanto internamente che esternamente. Pure pulite dovevano essere le superfici di riverbero della luce.

1817 - Tifo petecchiale

Nel 1817 anche Fucecchio fu colpito dall’epidemia di tifo petecchiale che a macchia d’olio si era diffuso, fin dal 1815, dalla Maremma.
Il tifo petecchiale era una malattia terrificante. Si presentava con delirio, con polso convulso,con sussulto nei tendini (contrazioni), affanno, vomito, meteorismo, diarrea, tosse secca e PETECCHIE (macchie) nere diffuse su tutta l’epidermide. Non esisteva un farmaco capace di debellare questo flagello.
Sembra che il portatore di questa malattia nel nostro paese sia stato Vaccini Pietro. Il Vaccini era stato in Maremma. Poi si era fermato a Siena, ma da questa città era stato espulso per il timore del contagio. Giunto a Fucecchio, si era coricato in una stalla. Si era sentito male ed aveva mandato a chiamare un medico. E il medico emise la terrificante diagnosi: tifo petecchiale. Fu una tragedia.
Con una rapidità imprevedibile la malattia si diffuse prima di tutto in quelle famiglie che vivevano ammassate in un’unica stanza piena di sporcizia.
Il medico Gaspare Periodi chiese di poter ridurre a lazzeretto (ospedale) un’ala del convento La Vergine. Il 2 marzo giunse il permesso e la relativa ordinanza dal Governo granducale, che consentivano la realizzazione del lazzeretto richiesto.
Quando gli ammalati crebbero di numero, l’aria delle celle divenne “grave, umida e non ventilata. E l’angustia delle celle colpiva più che guarire”. Ed infatti si moriva anche nel lazzeretto del Convento.

1821 - Carboneria

A Fucecchio la carboneria era inesistente.
Il granduca lorenese, però, allertava continuamente il proprio esecutivo a tenere gli occhi aperti su questo nuovo fenomeno inteso a minare la stabilità politica dei governanti.
Nel 1821 la vigilanza sulla possibile presenza di carbonari nel nostro territorio comunale venne affidata alle sei guardie urbane del nostro comune.
Per non rendere impari la lotta contro i carbonari, definiti senza mezzi termini “banditi”, venne ordinato il censimento delle armi in dotazione alle nostre guardie urbane.
Le nostre guardie disponevano di 6 fucili “miserabili” che erano custoditi nella casa del Capitano delle guardie Clemente Nelli. Le nostre guardie non disponevano quindi nemmeno di un’armeria.
In ossequio agli ordini ricevuti, le nostre guardie perlustravano quotidianamente le Cerbaie e le campagne; ma non trovavano mai nemmeno l’ombra di un carbonaro.
E il popolo come reagiva di fronte a questa nuova situazione di controllo ...politico??
La nostra popolazione, alleggerita dal timore di un possibile ritorno dei francesi e dei napoletani di Murat, si esercitava nel suo sport preferito: la maldicenza.
Erano presi di mira i ricchi e le autorità.
Venivano addirittura affissi dei biglietti-manifesti che prendevano quasi sempre di mira i ricchi. In uno di questi manifesti, archiviato, si legge:
AL PUBBLICO ADULTERO ED INCOMPARABILE FOTTENTE BUGHINO E’ NATA PROLE.
QUESTO E’ L’ OTTAVO BASTARDO CHE MANDA IMPUNEMENTE ALL’OSPEDALE (dei trovatelli) E POI SI DECLAMA CONTRO LA POVERA GENTE
Il fattore del Corsini, reo di avere sorpreso Eusebio Lotti a rubare i fichi in un podere del principe, veniva “assalito” dai rutti di Eusebio ogni volta che i due si incrociavano.

1824 - Scalinata grandiosa della Collegiata

Nel 1787, l’anno dell’inaugurazione della nuova Collegiata con la facciata rivolta verso piazza Vittorio Veneto, al posto dell’attuale scalinata grandiosa in pietra c’era un “ciglione” e sulla sinistra di questo vi era fin dal 1400 un’erta chiamata via del Poggio Salamartano.
Tre anni dopo l’inaugurazione della chiesa, nel 1790, al posto del “ciglione” venne costruita una scalinata provvisoria in mattoni.
Nel 1820 la scalinata provvisoria era già tutta sconnessa. La nostra amministrazione comunale, allora, decise di demolirla e di costruirne una “grandiosa” in pietra serena.
Per quattro anni consecutivi vennero bocciati numerosi progetti presentati dagli architetti locali e perfino quello dell’architetto ufficiale del granduca di Toscana.
Nel 1824 il nostro Gonfaloniere si rivolse all’allora ingegner Pietro Carraresi e gli chiese un progetto per la scalinata grandiosa della Collegiata. Il progetto del Carraresi venne approvato all’unanimità. La scalinata in pietra a due rampe venne realizzata proprio nel 1824.
La spesa, interamente sostenuta dal Comune, ammontò a 4.366 lire.
Quindici anni dopo, nel 1839, essendo stata ridotta l’inclinazione della pavimentazione della piazza, ai piedi della prima rampa della scalinata vennero aggiunti 3 gradini.

1825 - Nervosismo a Fucecchio

Nel 1825 Fucecchio fu scosso da molteplici tensioni che suscitarono un’ondata di nervosismo. Questo nervosismo coinvolse tutti i ceti sociali.
Erano nervosi i contadini perché il prezzo del grano era sceso da 20 a 12 lire per ogni sacco.
Erano nervosi i pochi intellettuali presenti in Fucecchio perché papa Leone XII, in occasione del Giubileo, aveva ripristinato l’INDICE.
Erano nervosi i canonici del Capitolo della Collegiata perché non volevano dare del “superiore” all’arciprete e perché non era stato ancora stabilito a chi spettava la benedizione delle salme in assenza dell’ arciprete.
Erano nervosi i paesani per i numerosi casi di disagio che essi stessi creavano per effetto della loro mania di attaccar sempre briga. Ne seppero qualcosa una certa Assunta ed una tale Mara che si beccarono una valanga di spiacevoli epiteti: buggerona, cornuta............
Erano nervosi i possidenti per colpa del “Bischeri”, al secolo Candido Galleni. Questo Galleni, godendo dell’impunità vicariale,poteva permettersi il lusso di entrare nei territori altrui e di devastarne il legname di qualsiasi qualità.

1825 - Pulpito nefasto della chiesa La Vergine

La chiesa La Vergine, così come noi la vediamo, venne inaugurata nel 1631. Essa fu dotata di un pulpito di legno fra il 1690 e il 1700. La scala di accesso al pulpito si trovava dentro la chiesa. Questa scala risultava molto ingombrante.
Nel 1825 furono apportate due modifiche strutturali all’interno della chiesa:
1- Il pulpito di legno venne sostituito con un pulpito in muratura addossato alla parete destra della chiesa;
2- La scala di accesso al pulpito fu sistemata all’esterno della chiesa e cioè nel chiostro.
Per consentire al predicatore di entrare nel pulpito dal chiostro si dovette aprire una porticina nel muro della chiesa. La porticina venne aperta nel corpo della lunetta N. 22, quella in cui era stata affrescata da padre Alberico Carlini, nel 1738, la stigmatizzazione di S. Francesco.
Nel 1926 la scala esterna, quella del chiostro, venne tolta e venne pure tamponata la porticina aperta nel corpo della lunetta N. 22. La lunetta della stigmatizzazione venne rintonacata e imbiancata e veniva perciò indicata come lunetta cieca.
Nell’estate del 1994 la restauratrice turca Ayse Durmaz, trentacinquenne, ha recuperato la parte di affresco della lunetta 22 che non era stata scalpellata quando nel 1825 vi era stata aperta la porticina che immetteva nel pulpito della chiesa.

1829 - Orologio della Collegiata

Quando nel 1787 venne inaugurata la nuova Collegiata, l’orologio con la sua campana si trovavano sulla parte più alta della torre civica o ex campanile della chiesa di S. Salvatore. E’ presumibile che un quadrante dell’orologio si trovasse su tutte e quattro le facciate della torre per consentire a tutte le persone del paese di vederlo.
L’orologio sarebbe sicuramente rimasto sulla torre civica se nel 1824 il Comune non avesse concesso al sig. Banti l’autorizzazione a costruire sul lato sinistro della scalinata grandiosa della Collegiata il palazzo di cui sono attualmente proprietari i fratelli Barnini.
Nel 1826 il palazzo era finito. L’orologio della torre civica non era più visibile da piazza Vittorio Veneto. Per tre anni gli amministratori comunali vennero investiti dalle lagnanze e dai mugugni degli insuesi che non mancarono di “produrre” la consueta raccolta di firme.
Pressato dalle proteste e dalle firme, il Comune deliberò di trasferire l’orologio e la sua campana sulla facciata della Collegiata.
L’operazione di trasferimento venne portata a termine il 5 marzo 1829.
Molto complicati furono i lavori per realizzare la scalinata interna alla Collegiata per raggiungere la cella dell’orologio.
La campana dell’orologio, pesante 885 libbre, reca le seguenti iscrizioni:
SANCTUS DEUS -SANCTUS FORTIS - SANCTUS IMMORTALIS - MISERERE NOBIS - REFUNDERE FECERUNT HOMINES COMUNITATIS A.D. 1712

(O Dio Santo - Santo e forte - Santo e immortale - abbi pietà di noi. Gli uomini del Comune la fecero rifondere nell’anno del Signore 1712)

Dividendo la superficie della campana in quattro spicchi, vi si osservano questi altorilievi:
- la Santissima Concezione;
- il Santissimo crocifisso;
- S. Candido protettore della terra di Fucecchio;
- l’iscrizione Augustinus et Joannes de Pezzinis (fonditori).

1830 - Miracolo della storpia in S. Maria delle Vedute

Il signor Antonio Montanelli, il 5 marzo 1830, rilasciò sotto giuramento questa testimonianza:

“... il mio zio Giuseppe Montanelli fu Valentino, morto 18 anni fa all’età di 84 anni, dichiarò di avere veduto alla sua età giovanile una fanciulla di circa 10 anni, forestiera, introdursi un giorno nell’annua festa che si celebra nell’Oratorio della Madonna delle Vedute, a pregare caldamente assieme ai suoi genitori davanti all’altare dove detta immagine esiste per essere liberata dalla STORPIEZZA di un piede che l’affliggeva fino dalla sua nascita, e che fu liberata a segno che lasciò la sua cruccia nella medesima chiesa e se ne andò libera e sana con stupore di tutti gli astanti. Questo difetto di piede era così notabile che col calcagno si offendeva il fianco.

1830 - Incoronazione della Madonna delle Vedute

Il 20 maggio 1830, in occasione del primo centenario della traslazione in Fucecchio della Madonna delle Vedute, ne venne effettuata l’incoronazione.
I festeggiamenti durarono 4 giorni - dal giovedì alla domenica - e furono affidati alla sapiente regia dei tre Operai della chiesa: il canonico Antonio Pieri, Filippo Landini e il dott. Francesco Panicacci.
Quasi sicuramente è stata una delle più belle feste organizzate a Fucecchio.
La chiesa era stata abbellita all’interno con drappi e tendaggi; all’esterno era stata ampliata con la realizzazione di un anfiteatro davanti alla facciata che venne illuminata con lumini ad olio.
A Roma erano state fatte coniare 5.500 medaglie di ottone, 65 di argento e 220 inargentate.
Tutte queste medaglie erano state benedette da papa Pio VIII.
Il giornale LA GAZZETTA mandò un inviato speciale che rimase a Fucecchio per tutta la durata dei festeggiamenti.
Il granduca Leopoldo II inviò a Fucecchio 100 granatieri della Piazza di Firenze e 100 RR Cacciatori per il servizio d’ordine.
La cerimonia dell’incoronazione , svoltasi giovedì 20 maggio, iniziò alle ore 8 e si concluse alle ore 13.
A tale cerimonia presenziarono tutti i rappresentanti dell’Amministrazione comunale in abito da cerimonia.
Durante il solenne Pontificale prestò servizio la Scuola di Musica di Lucca con coristi ed orchestrali.
Quando il vescovo monsignor Brunone Fazzi pose la corona d’oro sulla testa della Madonna, la folla proruppe in una grande ed interminabile ovazione, l’orchestra intonò una marcia trionfale, tutte le campane del paese suonarono a festa e i 100 Granatieri del granduca spararono ripetute salve di fucileria.
I festeggiamenti religiosi furono integrati con altre manifestazioni eccezionali:
- l’innalzamento di un pallone aerostatico;
- gare popolari di corse con palio;
- due serate di fuochi artificiali;
- illuminazione ad olio della facciata della chiesa, dell’anfiteatro e della piazza Montanelli.
Durante i 4 giorni di festeggiamenti la chiesa costituì la mèta di molti pellegrinaggi a cui presero parte le confraternite di S. Pierino, Cappiano, Torre, Gavena, Ripoli, Cerreto Guidi, Corliano e Stabbia.
Le Entrate della festa assommarono a £ 9.734; le uscite a £ 12.856.
Il disavanzo di £ 3.094 fu coperto interamente dal Comune.

1830 - Chiesa S. Maria delle Vedute

Nell’area dove ora si innalza la chiesa-santuario di S. Maria delle Vedute, fin dal 1527 c’era l’Oratorio di S. Rocco extra muros.
Nel 1730 vi venne traslata l’immagine, affrescata, della Madonna che si trovava in un piccolo Oratorio in località Le Vedute, a circa 4 chilometri di distanza da Fucecchio.
Nel 1732 l’ex Oratorio di S. Rocco extra muros venne rialzato con i mattoni ricavati dalla torre rovinata che si trovava accanto al Palazzo Baschieri.
Nel 1734 l’ex Oratorio venne allungato fino ad assumere le dimensioni dell’attuale navata centrale grazie ai 600 scudi donati dalle 412 famiglie povere di Fucecchio a cui erano annualmente destinati dagli esecutori testamentari dell’eredità Bonistalli.
Nel 1737 venne costruita la cupola del tutto simile, anche se in proporzioni ridotte, a quella del duomo di Firenze. Essa venne affrescata dal SALVETTI nel 1741. Il dipinto rappresenta nella parte alta l’Empireo con le tre persone della SS. Trinità che accolgono la SS. Vergine e nella parte bassa le figure di Profeti del Vecchio Testamento, del Re David, di S. Giuseppe, sposo della Madonna, e di S. Giovanni Battista.
Nel 1739 vennero applicati gli stucchi nel coro, nel tamburo della cupola e sopra gli archi della navata ad opera di Giovanni Bianchi e Domenico Benvenuti.
Nel 1740 venne eretto l’Altar Maggiore grazie alla devoluzione, da parte dei poveri, della eredità assegnata a loro favore dal medico fucecchiese Francesco Bonistalli. Dietro il dossale dell’altare fu sistemato il bianco blocco marmoreo scolpito che contiene il tabernacolo della Madonna. La figura della Madonna non si presenta come originariamente venne dipinta nella Cappellina delle Cerbaie nel 1500 a causa dei frequenti ritocchi operati da mani non sempre esperte.
Nel 1743 fu eseguito dai fiorentini Giovan Battista Dolci e Donato Malavisti il soffitto ad intaglio della navata che venne dorato a oro zecchino da Gaspero Masini. In mezzo all’intarsio del soffitto spicca un grande dipinto con cornice di stile barocco, eseguito nel 1745 dal pittore fiorentino Vincenzo Meucci. Esso rappresenta la Vergine portata in Cielo dagli angeli, mentre S. Rocco, genuflesso, contempla la mirabile scena. Nell’intarsio vi è anche lo stemma del nostro Comune che ne attesta la proprietà e il giuspatronato.
Nel 1744 venne eretto dalla Compagnia dei Coronati Scalzi, a sinistra dell’Altar Maggiore, l’altare della Passione. Sul dossale è posta una tavola che rappresenta Gesù sotto il peso della croce sulla via dolorosa del Calvario, attorniato da soldati e persecutori, e la Veronica che tende le braccia verso di lui con un panno fra le mani per detergergli il volto insanguinato.
Nel 1749 il pittore Giuseppe Parenti affrescò la tribuna del coro. Il dipinto rappresenta il sepolcro della Vergine, aperto, mentre ella è assunta in Cielo, e attorno gli apostoli che osservano il sepolcro vuoto.
Il Parenti dipinse anche i quattro evangelisti che si vedono alla base della cupola.
Nel coro è stato installato nel 1976 un nuovo grande organo.
Nel 1749-1750 venne ultimato il presbiterio.
Nel 1751 venne costruita la Stanza dei Coronati Scalzi.
Nel 1755 fu eretto l’altare di S. Luigi Gonzaga. Sulla nicchia sovrastante fu collocata la tela ad olio di G. D. Ferretti, del secolo XVIII, rappresentante appunto S. Luigi Gonzaga. Nella nicchia venne poi collocato un grosso crocifisso di legno. (La tela di S. Luigi fa parte delle opere d’arte raccolte nel Museo civico fucecchiese ).
Negli anni ‘80 , al posto del crocifisso, è stata collocata la pala della Cena di Emmaus dipinta dal pittore fucecchiese Antonio Cino.
Nel 1756 fu edificata la sagrestia.
Nel 1762 venne lastricato il sagrato con le lastre tolte da Via Donateschi.
Il 30 marzo 1827 il Consiglio Comunale autorizzò l’Opera delle Vedute a costruire la navata sinistra nella quale venne eretto l’altare di S. Giovacchino sul quale fa spicco la suggestiva tavola che rappresenta Maria bambina in compagnia della madre S. Anna e del padre S. Giovacchino.
Il 4 maggio 1828 fu autorizzata la costruzione della navata destra nella quale venne eretto, nel 1833, l’altare di S. Agata martire sovrastato da una tavola che rappresenta la martire catanese assieme ad una veneranda figura di vecchio.
Nel 1829, con la sistemazione definitiva dell’Altar Maggiore, si concludeva la trasformazione del primitivo Oratorio di S. Rocco extra muros in chiesa-santuario.
La chiesa venne consacrata il 27 giugno 1830.

LAVORI AGGIUNTIVI

Nel 1911 vennero realizzate la facciata e la cancellata a recinzione del sagrato.
Nel 1945 venne montata la balaustrata in marmo davanti al presbiterio. Le spese furono coperte dal sig. Ademollo, titolare della Fonderia posta in via Dante all’altezza del Chiesino.
Nel 1946 venne realizzata la canonica sopra lo stanzone dei Coronati Scalzi.
Nel 1970, a seguito dei lavori di restauro, vennero tolte le tavole della mensa dagli altari di S. Giovacchino, di S. Agata e della Passione. Ai piedi dell’Altare della Passione è stato collocato il nuovo fonte battesimale, formato da una vasca che fa corpo con la base di due gradini semicircolari, il tutto in marmo bianco.
Il tabernacolo dell’Altare Maggiore è stato sistemato sull’ex altare di S. Luigi Gonzaga.
Nel 1997 sono stati restaurati il tetto, la cupola, il soffitto ad intaglio e la tela dell’Assunta che si trova al centro del soffitto medesimo.

1833 - Malcostume

Il caporale di polizia di Fucecchio doveva redigere quotidianamente molti verbali che avevano per oggetto episodi di malcostume e di disordine pubblico.
La prostituzione, in fatto di malcostume, occupava il primo posto.
E al secondo posto troviamo la pornografia, sì, proprio la pornografia. Durante il mercato settimanale, in Piazza Maggiore, si spacciavano tabacchiere (scatoline per il tabacco in polvere destinato ad essere annusato o sniffato) con miniature pornografiche.
Una menzione particolare merita il facoltoso e vedovo Felice Montanelli. Egli disponeva di un vero e proprio Harem di concubine. Quando usciva di casa e si intratteneva in conversazione con qualche conoscente si deliziava nell’uso di parole e di espressioni oscene che scandalizzavano i passanti e mettevano in croce il nostro caporale di polizia.
L’Ordine Pubblico, quell’anno, il 1833, fece registrare al nostro caporale anche i dispetti di Antonio Giusti e di Andrea del Frate. Questi due tizi si divertivano a tirare dalla finestra i pomodori sui passanti.

1833 - Accademia dei Fecondi Ravvivati

L’Accademia dei Fecondi (1752-1780) si era sciolta in segno di protesta, nel 1780, quando venne fatto demolire il suo Teatro nuovo di zecca per far posto alle celle del Carcere Vicariale.
Nel 1800 esisteva di nuovo, ricostruito da un privato, un Teatro in muratura nell’attuale Piazza Montanelli. Il Teatro era stato inaugurato nel 1795.
Le contingenze politiche e belliche dell’epoca e l’inesperienza dei proprietari del locale provocarono una crisi irreversibile del nuovo Teatro.
Per ovviare a questa crisi e ridare vitalità al Teatro, 26 notabili fucecchiesi, nel 1833, memori dell’Accademia del secolo passato, ne fondarono un’altra: l’Accademia dei Fecondi Ravvivati.
Lo stemma della rinata Accademia fu un sole nascente.
L’Accademia diventò operativa soltanto dopo il 17 dicembre 1833, giorno in cui il granduca lorenese Leopoldo II ne approvò le COSTITUZIONI formate da 15 TITOLI (sezioni). Ogni TITOLO comprendeva una ventina di articoli.
Scopo fondamentale dell’Accademia fu quello di “ procurare alla Patria un onesto ed istruttivo divertimento col mezzo di Rappresentanze Teatrali e Pubbliche Feste “
Come primo atto, l’Accademia acquistò il Teatro di Piazza Montanelli.
All’interno del Teatro venne realizzato anche un Circolo Ricreativo.
Le COSTITUZIONI approvate dal granduca avrebbero garantito una lunga vita ed una disciplinata amministrazione del Teatro.
Il Corpo Deliberante (Consiglio di amministrazione) era formato da questi sei membri che duravano in carica per tre anni e che venivano eletti dall’Assemblea dei 40 Accademici:
- il Presidente
- il Vicepresidente
- 4 Consiglieri
Il Corpo Deliberante era coadiuvato da un Provveditore, da un Cassiere, da un Segretario da un Consiglio di Direzione e da 12 Deputati d’Ispezione eletti dal Consiglio di amministrazione.
Un TITOLO delle Costituzioni proibiva il GIOCO D’AZZARDO e permetteva i giochi del biliardo, del trucco, della tavola reale, della dama, degli scacchi e di tutti quei giochi detti volgarmente di DATA. Questi giochi sarebbero serviti all’onesto divertimento e passatempo e non al depauperamento e alla rovina dei giocatori.
L’Accademia dei Fecondi Ravvivati si sciolse nel 1941, l’anno in cui il Teatro venne venduto alla famiglia Morelli. L’atto venne registrato dall’avvocato locale Egisto Lotti, ultimo segretario dell’Accademia.

1837 - Grilli distruttori

Il grano, in quel lontano 1837, biondeggiava nei campi.
I contadini, soddisfatti, già stavano programmando la mietitura.
Il giorno del fattaccio il cielo era intensamente azzurro ed il sole splendeva in tutto il suo fulgore. Ad un tratto, provenienti dalla parte di Pontedera, comparvero in quel bel cielo azzurro inspiegabili nuvoloni grigi.
Qualche minuto dopo i nuvoloni si schiantarono sulle nostre campagne. E fu un disastro.
Quelli non erano nuvoloni di pioggia bensì di grilli e saltarelli.
Erano milioni.
Divorarono tutto il grano.
L’intervento dei contadini e dei paesani per allontanare questi animaletti si rivelò inutile.
La battaglia ingaggiata dagli uomini si concluse con una sonora sconfitta.
I raccolti andarono perduti. E questo significò ancora una volta CARESTIA.

1838 - Pozzi in Fucecchio

Nel 1838 non esistevano ancora, a Fucecchio, le fontane pubbliche. Le famiglie non benestanti del capoluogo dovevano andare ad attingere l’acqua ai pozzi pubblici. Di pozzi pubblici ce ne erano soltanto cinque: in via Castruccio, in via Lamarmora, in Corso Matteotti, in Piazza Montanelli e in via Manzoni o Gattavaia.

Per i poveri c’era anche la sorgente della Fontina e la cisterna di piazza Vittorio Veneto.
Le famiglie benestanti disponevano tutte quante di un pozzo privato.

1839 - Parrocchia di S. Maria delle Vedute istituzione

Fin dal 1795 era stata avanzata l’idea di erigere anche nel paese basso una parrocchia. L’idea, però, era rimasta, come si suol dire, sulla carta.
Nel 1838 l’idea della parrocchia si concretizzò in progetto e poi in richiesta ufficiale che venne rivolta:
- al Consiglio Comunale;
- al granduca di Toscana;
- al Capitolo della Collegiata;
- al vescovo di S. Miniato monsignor Torello Pierazzi.

Il Comune di Fucecchio concesse il suo benestare il 13 marzo 1838.
Il granduca approvò la richiesta con rescritto del 12 aprile 1839.
Il Capitolo della Collegiata decretò il proprio assenso il 30 aprile 1839.
Il 6 maggio 1839 il vescovo di S. Miniato mons. Torello Pierazzi istituì la Parrocchia di S. Maria delle Vedute.
Nell’atto di erezione vennero elencate le linee perimetrali della parrocchia:
- Largo piazza Montanelli
- lato destro delle vie Nazario Sauro, Roma e Gramsci;
- sponda destra dell’Arno a partire dal ponte ( che ancora non c’era);
- confine con S. Croce sull’Arno;
- confine con la parrocchia di Ponte a Cappiano;
- lato sinistro della via delle Calle per chi guarda verso Cappiano;
- lato sinistro di Via Landini Marchiani e di Viale Buozzi per chi guarda dalla chiesa di S. Maria delle Vedute verso la Ferruzza.
Alla parrocchia vennero assegnati due titolari: Maria Santissima e S. Rocco. La Madonna è la titolare principale.
La Festa della titolare venne fissata per il 15 agosto, giorno dell’Assunzione di Maria in Cielo.
Per S. Rocco non fu prevista nessuna festa particolare.
Poiché la festa della parrocchia delle Vedute era concomitante con quella dell’Oratorio della Ferruzza, la data dei festeggiamenti venne anticipata al 20 maggio, festa dell’Ascensione di Gesù al cielo ed anniversario della traslazione della Madonna delle Cerbaie a Fucecchio (1730).

1839 - Parroci di S. Maria delle Vedute

La parrocchia di S. Maria delle Vedute e S. Rocco venne istituita il 6 maggio 1839.

PRIORI DELLA PARROCCHIA DI S. MARIA DELLE VEDUTE (dal 1389 al 2012) (vedi Appendice)

1840 - Perché la Misericordia non è proprietaria del Cimitero Vecchio
Il primo cimitero civico, il Cimitero Vecchio, venne inaugurato nel 1788, un anno dopo l’inaugurazione della Collegiata.
Il secondo cimitero civico, quello attuale che noi chiamiamo Cimitero Nuovo, venne aperto il 1° gennaio 1885.
Il primo cimitero era stato chiuso d’autorità perché era stato dichiarato inagibile da una Commissione speciale inviata da Firenze.
Il nostro Consiglio Comunale prima di chiuderlo deliberò che nessuno per qualsivoglia ragione sarebbe potuto entrarne in possesso.
La manutenzione del primo cimitero era spettata al Comune dal 1788 al 1840.
Dal 1840 al 1867 la manutenzione del cimitero venne affidata d’autorità al Capitolo della Collegiata per ordine del Granduca.
Nell’Atto di consegna del cimitero al Capitolo, rogato il 10 dicembre 1840, viene precisato a chiare note che il proprietario del cimitero era e sarebbe rimasto sempre il Comune.
Nel 1867 il Capitolo fu soppresso e ne vennero incamerati i beni. Fra questi beni non poteva comparire il cimitero di cui era rimasto proprietario il Comune al quale ne spettò di nuovo la manutenzione fino al 1885.
Nonostante l’inoppugnabilità circa l’inagibilità e circa la proprietà del Cimitero Vecchio, la Misericordia, a partire dal 1885 e poi nel 1905 ed infine nel 1919 chiese di poter ridurre il Cimitero Vecchio a camposanto per i confratelli di Fucecchio.
Il Comune non prese mai in considerazione le due richieste.
La Misericordia, allora, si rivolse al Fondo per il Culto (Demanio di Stato) e gli chiese la cessione gratuita del primo cimitero civico.
La Misericordia corredò la domanda, datata 29 luglio 1921, di una Memoria storica falsificata con la connivenza, forse, dell’allora segretario comunale o con quella molto più autorevole del Commissario Prefettizio che dal 2 aprile 1921 aveva surrogato l’amministrazione socialista.
Con l’ausilio di questa memoria storica falsificata la Misericordia provò che il vero proprietario del primo cimitero civico non era il Comune bensì il Capitolo che, guarda caso, aveva dovuto provvedere soltanto alla manutenzione del cimitero dal 1840 al 1867.
Siccome i beni del Capitolo erano stati incamerati dal Fondo per il Culto - anche se il cimitero non vi compariva - , la Misericordia poteva chiederne la concessione gratuita per uso di pubblica utilità.
Il Fondo per il Culto, forse su pressione di qualche gerarca fascista, concesse il cimitero alla Misericordia senza preoccuparsi di vedere se il cimitero rientrava nell’elenco dei beni tolti al Capitolo della Collegiata.
Il 29 luglio 1932 la Misericordia ottenne anche l’autorizzazione a realizzare la necropoli della Misericordia nell’ex cimitero civico di Fucecchio.
L’autorizzazione venne però invalidata prima dagli intralci burocratici della Prefettura e poi dall’opposizione di Mario Nieri (6/02/01936) che non consentiva il ripristino di un cimitero così vicino alla sua villa.
La pratica è stata rispolverata nel 1958 e nel 1977.
La Misericordia, in quelle due occasioni esibì il certificato storico attestante la sua proprietà del Cimitero Vecchio.
Il Comune, ignorando la storia del cimitero, si dichiarò disposto ad acquistare il cimitero dalla Misericordia.
Fortunatamente le acque si sono calmate e del progetto di riduzione del primo cimitero civico a cimitero privato non se ne parla più.

1840 - Scuola elementare maschile in Sant’Andrea

Nel 1783 la chiesa e il monastero di S. Andrea vennero soppressi.
Il provvedimento diventò esecutivo nel 1785 quando le 43 monache clarisse vennero trasferite nel Monastero di S. Salvatore sul Poggio Salamartano.
Nel 1786 la chiesa e il monastero di S. Andrea vennero acquistati da un privato che li ridusse a magazzini.
Il 30 settembre 1840 il proprietario dei due fabbricati li cedette in affitto al Comune che li ridusse a Scuola Elementare Maschile.
Anche la Misericordia, quando dopo il 1857 acquistò la ex chiesa e l’ex monastero di S. Andrea, rinnovò al Comune la concessione dell’affitto dei due immobili.
Nel 1860 la vetustà dell’ex monastero di S. Andrea (1334) cominciò a lanciare qualche segnale di decadimento: minacciava cioè di rovinare.
Il Comune, allora, nel 1872 rescisse il contratto di affitto e dovette cercare un altro fabbricato per installarvi le classi della Scuola Elementare Maschile.

1840 - Cappiano parrocchia

Risale all’anno 766 la prima notizia sulla presenza di una chiesa, dedicata a S. Pietro, che nel volgere di pochissimi anni diventò una pieve, chiesa parrocchiale con fonte battesimale e cimitero.
Questa pieve serviva 31 ville, agglomerati di case rurali, che si trovavano disseminate nella fascia di territorio che va da S. Maria a Monte a Torre.
Nell’area di Cappiano è documentata, fra il IX e il XII secolo, la presenza di altre piccole chiese e di Oratori:
- l’antichissima chiesa di S. Savino donata successivamente alla chiesa pievana;
- la chiesina di S. Matteo;
- la chiesa di S. Bartolomeo, annessa all’omonimo monastero, donati entrambi nel 1110 al Monastero di S. Salvatore. Chiesa e monastero sopravvissero fino al 1794, l’anno in cui morì il Fei, l’ultimo abate residente a Roma che aveva usufruito della rendita dell’unico podere rimasto in dotazione al monastero.
Nel 1220 la pieve di S. Pietro, per effetto della sua misera rendita annua di 220 lire, cominciò a denunciare il suo stato di decadenza. Questa decadenza diventò irreversibile.
Nel 1427 la pieve non esisteva più. Infatti, non viene annoverata nel catasto della diocesi di Lucca, da cui dipendeva, risalente appunto all’anno 1427.
Nel 1770, e cioè 148 anni dopo l’erezione della diocesi di S. Miniato, la popolazione di Cappiano, fattasi più numerosa, chiese ripetutamente al vescovo della nostra diocesi, monsignor Poltri, l’ istituzione di una parrocchia nella terra di Cappiano
Il 7 marzo 1782 il granduca lorenese Leopoldo I autorizzò l’erezione della parrocchia di Cappiano..
Anche il vescovo di S. Miniato, il 4 Maggio 1782, emise la bolla di erezione della parrocchia di Cappiano, ma ne affidò la cura delle anime ad un cappellano alle dipendenze dell’arciprete delle Collegiata di Fucecchio. Eppure nel 1795 abitavano a Cappiano 452 persone!
La mancanza di una chiesa capiente procrastinò di un’altra quarantina di anni la esecutività della bolla di erezione del 1782.
Infatti, l’Oratorio o chiesa di S. Bartolomeo non poteva essere ridotto a chiesa parrocchiale perché alcuni locali erano stati venduti, mentre quelli invenduti erano talmente trasandati che le spese di ripristino sarebbero state superiori a quelle necessarie per la edificazione di una chiesa nuova.
L’Oratorio granducale di S. Maria Assunta era molto angusto e l’area insufficiente per erigervi una canonica.
L’ingegner Manetti fu incaricato allora di identificare un’area su cui costruire la chiesa parrocchiale. E l’ingegnere suggerì proprio quella dove poi fu edificata la chiesa parrocchiale ancor oggi esistente.
Soltanto nel 1840 le 842 anime di Ponte a Cappiano ebbero una propria parrocchia intitolata a S. Bartolomeo.

1840 - La CRISI delle attività manifatturiere nel decennio 1840-1850

Fucecchio era stato un paese ricco finché durò la lavorazione della paglia (cappelli e borse) e del lino (stoffa).
A partire dal 1830 la concorrenza delle manifatture estere inferse un durissimo colpo al locale apparato produttivo.
Il buon prezzo delle tele forestiere induce i titolari delle piccole imprese di vergato a non far filare il lino. Questo produsse la disoccupazione dei linaioli delle filandaie e delle tessandole. Purtroppo gli imprenditori locali, anziché affrontare la concorrenza con investimenti per l’acquisizione delle nuove tecnologie, preferirono ritirarsi. Eppure sarebbe bastato dotare i telai di motori a vapore (macchine) e di radunarli in capannoni.
La crisi è resa quantificabile dal censimento del 1841.
La parrocchia di S. Giovanni contava 4993 abitanti.
Il 58% dei lavoratori maschi del lino viene classificata come indigente; anche il 30% dei calzolai risulta tale come così pure il 10% degli operanti di campagna.
La decadenza delle principali attività manifatturiere fini per riflettersi negativamente anche sui comparti dell’edilizia, del cuoio, del legno, dei metalli, del vetro e della ceramica.
Nel 1850 Fucecchio assunse la fisionomia economica di un paese del profondo Sud per la sua diffusa miseria: i mendicanti gremivano le strade, le abitazioni erano fatiscenti,malsane e prive di latrine; vi era l’assenza totale delle più elementari strutture igieniche e sanitarie. Questa l’impressionante descrizione apparsa sulla rivista “L’eco del Mandamento” del 26 luglio 1885.
“Dal di fuori non si può capire nulla, bisogna avere l’ingresso libero in tutti i tuguri: Là non si nasce che per morire, non si vive che per soffrire. Non c’è aria, non c’è luce, non c’è spazio; d’inverno il freddo di Siberia, d’estate il caldo del forno; sono cinque, dieci persone che stanno frammiste nella stessa stanza, che dormono nel medesimo letto; spesso ci è anche il fuoco, il telaio, il monte del fieno. Si può nascere e vivere robusti nella barca del pescatore sulla riva del mare, nella capanna del carbonaio, sulla vetta delle Alpi, NON in molte chiamate case a Fucecchio”
La Farmacia del Ciardini, aperta nel 1839 venne affiancata da quella di Ranieri Montanelli soltanto nel 1873. L’ospedale S. Pietro Igneo venne aperto soltanto nel 1855.

L’emergenza economica (miseria), sociale e sanitaria costituiva un terreno di incubazione di diverse malattie: la pellagra, le febbri tifoidee, le affezioni polmonari (TBC), le febbri malariche.
Nel 1855, quando anche Fucecchio venne colpito dal colera ben 351 persone ne rimasero contagiate: 128 morirono.

1841 - Montanelli Giuseppe: Il suo pensiero politico

- Il nostro concittadino credeva fermamente nella DEMOCRAZIA. Era fermamente convinto che l’esercizio del POTERE è un diritto di tutti. “Il POPOLO è la voce del Diritto ed è la fonte dell’Autorità.”
Egli intendeva realizzare questo progetto di DEMOCRAZIA con la stesura di una COSTITUENTE.
La COSTITUENTE infatti affida al POPOLO e non ai vertici dei partiti il Diritto di scegliersi le proprie forme istituzionali e le forme di autogoverno.
- Giuseppe Montanelli era un convinto assertore del FEDERALISMO e deplorava apertamente il Centralismo Amministrativo e le insufficienze e le inefficienze dello Stato Centrale.
- Il nostro concittadino credeva nel SOCIALISMO libertario e democratico che non aveva niente in comune con il Socialismo Marxista.
- Giuseppe Montanelli sognava un’Europa delle Nazioni anziché un’Europa degli Stati.

1841 - Censimento delle case, delle famiglie delle persone

Questo censimento riguarda esclusivamente la parrocchia della Collegiata. Esso venne ultimato dall’arciprete Francesco Benvenuti il 17 maggio 1841. Il censimento gli era stato prescritto dal granduca lorenese Leopoldo II.
Questo censimento non comprende né la parrocchia di S. Maria delle Vedute né quella di Cappiano.

In PAESE vi erano: 390 case; 784 famiglie e 3.465 persone ( 4,4 per ogni famiglia)
In CAMPAGNA: 193 case; 260 famiglie e 1.525 persone (5,8 per ogni famiglia)

1842 - Locande, osterie e bettole

Nel 1842 non mancavano i luoghi di ritrovo nel nostro paese. A Fucecchio, considerati i tempi, vi era perfino una locanda cioè un alberghetto.
Vi erano inoltre 5 osterie e 68 bettole che potremmo, per analogia, paragonare ai bar odierni.

1846 - Terremoto

Il 14 agosto 1846, al tempo del granduca Leopoldo II, due anni prima che scoppiasse la Prima Guerra di Indipendenza, una violenta scossa di terremoto fece tremare il nostro Valdarno. Tutto il Circondario di Fucecchio ne fu sconvolto. Ben 18 furono le parrocchie colpite nella nostra diocesi.
A Fucecchio risultarono lesionate molte case. Il più disastrato fu il campanile della Collegiata.
“ La gravità del danno fu tale da richiedere la demolizione del tetto, del pilastro e la rimozione delle campane.”
Le campane, però, non furono rimosse perché le scosse telluriche non si ripeterono.
Pianto e lutto si sparsero in tutta la pianura del Valdarno Inferiore.
Il Vicario Generale della diocesi di S. Miniato trasmise a tutti i parroci una lettera per invitarli a raccogliere, fra i benestanti, elemosine a favore dei disastrati.

1846 - Grazie concesse dalla Madonna delle Vedute

Moltissimi fedeli fucecchiesi erano fermamente convinti che la Madonna delle Vedute, traslata nella ex chiesa di S. Rocco fuori le mura nel 1730, fosse miracolosa.
A riprova di questa loro convinzione, narravano quattro fatti prodigiosi accaduti nel 1846:

1- Ad agosto, un gruppo di fedeli vide entrare improvvisamente in chiesa una bestia inferocita scappata dalla stalla. I presenti si rivolsero alla Madonna e la bestia uscì subito di chiesa;
2- Un certo Valentino raccontò che, essendo moribondo, venne visitato per l’Estrema Unzione da un sacerdote. Appena questi gli appose le bende sacre, ritornò a vivere;
3- Anna Maria Pescini, assalita da una malattia, provò tutte le medicine possibili ma senza successo. Anzi, per effetto dei farmaci “le si chiusero tutti i canali e diventò gonfia come un pallone, tanto da attendere solo la morte.”
Ad un certo momento sentì suonare le campane per lo scoprimento della Vergine delle Vedute e “fu guarita”;
4- Annunziata Melai, incinta, affetta da “male acuto e di petto” stava per morire. I medici aspettavano la sua morte per estrarre il figlio, quando qualcuno portò in camera l’immagine della Vergine delle Vedute, per cui “prese subito miglioramento e guarì.”

1846 - Unzioni religiose notturne proibite

Nel settembre del 1845 l’arciprete e i canonici furono autorizzati ad indossare indumenti speciali:
L’arciprete poteva indossare la mozzetta rossa (mantello di seta con cappuccio) e il collare paonazzo; i canonici del Capitolo potevano indossare una mozzetta paonazza ed il rocchetto (cotta più lunga della normale con maniche strette e lunghe).
Con questo abbigliamento le processioni sarebbero diventate più..solenni.
Arciprete e canonici gongolarono.
Per assicurarsi un numero maggiore di partecipanti alle processioni e alle funzioni (riti religiosi) il Capitolo e l’arciprete scelsero le ore notturne.
Il vescovo di S. Miniato allibì.
Uomo austero ma anche esperto delle umane debolezze, immaginava tutto quello che poteva succedere durante le processioni e le funzioni notturne col favore delle tenebre: uomini e donne potevano intrallazzare, amoreggiare, compiere atti libidinosi.
E così, mentre i nostri canonici pensavano esclusivamente a pavoneggiarsi con i rocchetti e le mozzette, il vescovo si struggeva in cuor suo immaginando i peccati che potevano essere innescati dalle “tenebre”.
Nel 1846 il vescovo proibì severamente sia le processioni sia le funzioni notturne.
Soltanto la funzione del Natale poteva svolgersi di notte a condizione che i sacerdoti vigilassero opportunamente affinché una Notte di santa allegrezza non si tramutasse in una “notte di peccato”.

1847 - Ferrovia

Il 21 luglio 1847 venne inaugurato il tratto ferroviario Pontedera-Empoli. E Fucecchio era nel mezzo. La ferrovia era distante dal nostro paese soltanto un paio di chilometri.
Nessuno, però, era contento: né i contadini, né i barrocciai, né i vetturali.
Tutte le settimane le Gendarmeria doveva registrare dei danni non lievi a carico dei binari.
Vetturali, barrocciai, navicellai e contadini fecero causa comune con gli avversari del granduca lorenese Leopoldo II ed incendiarono addirittura la stazione ferroviaria di Empoli.
I contadini erano arciconvinti che la vaporiera danneggiasse pesantemente i raccolti. Quel mostro di ferro che sbuffava fumo e vapore veniva considerata come una strega, anzi una fattucchiera.
Anche i fucecchiesi della “lastra” non lesinarono le loro rimostranze contro questo evento eccezionale.
Si racconta che Leopoldo II durante una battuta di caccia in Padule abbia chiesto ad alcuni fucecchiesi che lo accompagnavano:
- Preferite la Fiera dei cavalli o la ferrovia sulla destra dell’Arno?
- La Fiera dei cavalli - risposero all’unisono i fucecchiesi.
Ecco, dunque, come venne salutata a Fucecchio la inaugurazione della ferrovia.

1847 - Stazione ferroviaria

Si chiamava Stazione Ferroviaria Leopolda di S. Pierino. Il 25 ottobre 1847 vi transitò il primo treno. In quella occasione venne coniato uno stornello che diceva:
Se tu sapessi, nonno,
hanno fatto un treno
che trenta vagoni si accatena attorno
che da Firenze in due ore va a Livorno.

Da Livorno, ogni giorno, partivano due treni diretti a Firenze che si fermavano alla stazione di S. Pierino:
- Uno partiva alle ore 8 e si fermava a S. Pierino alle ore 10;
- l’altro partiva da Livorno alle ore 15 e si fermava a S. Pierino alle ore 17.
Le stazioni intermedie fra Livorno e Firenze erano: Pisa, Navacchio, Cascina, Pontedera, La Rotta, S. Romano, S. Pierino, Empoli.
Fucecchio era collegato alla stazione ferroviaria per mezzo di una diligenza tirata da uno o più cavalli. Siccome non c’era ancora il ponte, la diligenza attraversava l’Arno a bordo del traghetto dei fratelli Sordi di San Pierino.
Dieci anni dopo la sua inaugurazione, la mattina del 20 agosto 1857, proveniente da Firenze, sostò alla nostra stazione un treno speciale dal quale scesero papa Pio IX, il granduca Leopoldo II e il piccolo principe ereditario. Ad accoglierli c’erano 15.000 persone festanti e 3 bande (quelle di S. Miniato, Fucecchio e S. Croce sull’Arno). Prima di ripartire, il papa, commosso, impartì ai presenti la sua apostolica benedizione.
Nel 1869 venne inaugurato il ponte di Fucecchio mentre la stazione aveva assunto la denominazione Stazione di S. Miniato. I fucecchiesi ne erano irritatissimi.
Nel 1897 i nostri amministratori chiesero ed ottennero dalla Prefettura di Firenze che la stazione fosse denominata S. Miniato- Fucecchio.
Il 7 aprile 1944, alle ore 17, la nostra stazione ferroviaria venne bombardata e centrata da alcuni aerei alleati. Vi perdettero la vita Pietro Chiavarelli, gestore della stazione, la moglie Matilede, la figlia Piera e la signora Rosa Ulivieri vedova Serafini.

Il vento della storia prese il suo avvio da Roma grazie alle Riforme concesse da Papa Pio IX.
Questo vento attraversò anche la nostra Toscana. Soltanto quando il concittadino Giuseppe Montanelli salì sul proscenio della storia, il popolo fucecchiese cominciò a seguire con passione i numerosi eventi storici che con ritmo vertiginoso si succedettero nel biennio 1948-1949. Ognuno di questi fatti ebbe per protagonista il nostro concittadino, il più illustre di tutti i tempi. Furono queste le pagine di storia risorgimentale le più seguite dai Fucecchiesi di ogni ceto sociale.

1847 - Le riforme di Leopoldo II (1847-1848)

Il 1847 fu per i Toscani l’anno per eccellenza dei grandi cambiamenti.
Il 6 maggio Leopoldo II, dietro l’esempio dello Stato Pontificio, concesse la libertà di stampa.
Il 30 maggio il granduca annunciò una parziale riforma delle amministrazioni comunali.
Il 31 maggio Canapone (soprannome del granduca) varò la riforma della Regia Consulta che entrò in vigore il 24 agosto.
Il 5 settembre venne istituita la tanto bramata GUARDIA CIVICA. Questa istituzione piacque tanto a tutti i fucecchiesi perché videro finalmente coronato il sogno di veder affidata la tutela dell’ordine pubblico a persone di casa propria.
La Guardia Civica piacque molto meno ai canonici del Capitolo della Collegiata perché chiamati a contribuire alle spese di copertura di questo servizio. Prima di dare una risposta in proposito vollero vedere cosa avrebbero fatto tutti gli altri Luoghi pii. Quando constatarono che le Confraternite e i parroci delle altre chiese avevano dato il loro contributo, i canonici si riunirono e deliberarono di erogare annualmente a favore della Guardia Civica, a puro titolo di oblazione, la somma di 200 lire.
L’11 febbraio 1848 il granduca ci concesse la Costituzione. Molti fucecchiesi non si resero affatto conto della trasformazione che essa poteva operare nella vita di ognuno di loro.

1847 - Bussola della Collegiata

La nuova Collegiata, quella attuale, venne inaugurata nel 1787.
L’ingresso principale era ed è costituito dal portone che guarda in Piazza.
Nella stagione invernale le ventate fredde che spifferavano nella chiesa provocavano in molti fedeli raffreddori, bronchiti e, certe volte, delle polmoniti che significavano condanna a morte.
Per evitare tutti questi malanni sarebbe bastato installare dietro il portone una bussola o retroporta.
Il Capitolo, l’insieme dei dodici canonici che amministravano la Collegiata, per non spendere i soldi fingeva di ignorare il problema.
Erano ormai trascorsi 53 anni dall’inaugurazione della chiesa, quando in data 31 gennaio 1840 il Consiglio Comunale, recependo le lagnanze decennali dei fedeli, ingiunse al Capitolo della Collegiata la costruzione di una “bussola sul retro del portone”.
Il Capitolo finse di prendere in seria considerazione l’ingiunzione comunale. Infatti, commissionò numerosi progetti di BUSSOLA, esaminò i vari disegni, ma non operò nessuna scelta.
Per tacitare le proteste dei fedeli il Capitolo indisse una riunione straordinaria per la bussola in data 9/7/1841, ma non prese nessuna decisione.
Il Comune di Fucecchio, allora, sollecitò il vescovo di San Miniato affinché desse una bella strigliata al Capitolo della Collegiata .
Il vescovo si limitò alle solite raccomandazioni di rito.
Anche questa volta il Capitolo “fece orecchie da mercante”.
Soltanto nel 1847, dopo un’attesa durata 6O anni, il portone venne corredato di bussola.

1848 - Giornali: ITALIA di Giuseppe Montanelli

Il 4 gennaio 1848, il nostro illustre concittadino Giuseppe Montanelli diede il via al suo periodico, prima settimanale e poi trisettimanale, titolato ITALIA.
Il titolo era già di per sé illuminante se si pensa che nel 1848 nel nostro territorio nazionale c’erano una decina di Stati.
Il periodico aveva anche il sottotitolo RIFORMA E NAZIONALITA’
Questo sottotitolo stava ad indicare due traiettorie rivoluzionarie:
- un’Italia destinata a trasformare il suo assetto istituzionale (o monarchia o repubblica; o federazione o confederazione) e a garantirsi l’esercizio del diritto alla libertà;
- un’Italia che, per poter ricostruire la proprie identità nazionale, avrebbe dovuto cacciar via dal suo territorio gli stranieri.

1848 - Costituzione del granduca di Toscana Leopoldo II

L’11 febbraio 1848, il nostro granduca Leopoldo II, sull’esempio del Re di Napoli, concesse al popolo toscano la Costituzione.
La notizia giunse a Fucecchio il 12 febbraio.
I fucecchiesi esultarono specialmente quando seppero che il concittadino Giuseppe Montanelli, contagiato dall’entusiasmo dei fiorentini, era salito sul monumento dedicato al Savonarola, in piazza S. Marco a Firenze, ed aveva parlato di libertà e di indipendenza.
Dopo questo episodio, che fece passare in secondo piano la concessione della Costituzione di cui solo pochissimi comprendevano la portata storica, i fucecchiesi ebbero finalmente un campione per il quale potevano “tifare”: Giuseppe Montanelli.
Il nostro illustre concittadino venne subissato di lettere di ammirazione, di incoraggiamento e di richieste.
Un certo signor Giulio Bartoli di S. Maria a Monte chiese al nostro Montanelli di “smerciargli” un grosso quadro dedicato a S. Martino.
E questo la dice lunga sulla nostra incolpevole immaturità politica e civica.
1848 - Arti e mestieri a Fucecchio

Il secolo XIX (1800-1900) segnò la fine di due attività produttive che avevano dato lavoro a 700 persone: la produzione delle stoviglie e la tessitura del fustagno, tessuto grosso di cotone e lino.
Il 22 aprile 1848, mentre era in pieno svolgimento la Prima Guerra di Indipendenza, il gonfaloniere (sindaco) di Fucecchio Comparino Comparini stilò una lista delle arti e dei mestieri praticati in quell’epoca nel nostro paese: una fornace da vasellai per la produzione di piatti; 5 fornaci per la produzione di mattoni per uso locale; 20 botteghe di fustagno; 7 tintorie; 2 osterie; 1 locanda; 3 farmacie; 10 botteghe di chincaglieria e merceria; 6 caffè (bar); 1 sala da biliardo in Piazza dei Ferri o Sambuca; 7 ombrellai; 2 macellai; 2 sellai; 3 cappellai e 50 fra bettolieri, vinai, tavernai, pizzicagnoli, salumai e venditori di commestibili (generi alimentari).
Nel 1724 l’arte delle stoviglie contava 24 fornaci e dava lavoro a 400 persone. Proprio in quell’anno si era costituita la Compagnia dei Vasellai sotto l’invocazione di S. Caterina.
All’inizio del 1800 vi erano 40 botteghe di fustagno che davano lavoro a 300 persone.

1848 - Montanelli Giuseppe: Gli anni di gloria

L’11 febbraio 1848 il Granduca Leopoldo II concesse la COSTITUZIONE ai toscani.
Giuseppe Montanelli, trascinato dall’esultanza dei fiorentini, celebrò con un solenne discorso, sul monumento di Fra’ Gerolamo Savonarola, in Piazza S. Marco, la concessione della Costituzione da parte del granduca. In questa occasione egli parlò di indipendenza e di libertà in mezzo a quel popolo festante. Nei giorni successivi il nostro Montanelli fu letteralmente seppellito da una valanga di lettere che venivano da ogni parte d’Italia.
Il 23 marzo 1848 Carlo Alberto, re del Piemonte, dichiarò guerra all’Austria.
Da Pisa partirono due colonne di studenti a cui si aggregarono anche Giuseppe Montanelli e altri 10 fucecchiesi.
I 3.000 studenti affiancati dai 2.000 soldati del granduca di Toscana si accamparono nei casali di Curtatone e Montanara
Il 25 maggio 1848 avvenne lo scontro con gli Austriaci, forti di 30.000 unità.
Nello scontro perdette la vita il giovanissimo Parra, il figliastro di Montanelli.
Giuseppe Montanelli in quell’impari scontro, venne ferito alla spalla sinistra, fu fatto prigioniero ed inviato ad Insbruch.
Tutti lo credettero morto. A Fucecchio vennero celebrati addirittura i funerali a suffragio della sua anima.
A settembre, dopo l’armistizio di Salasco, Giuseppe Montanelli rientrò in Patria.
Il nostro concittadino venne ricevuto in udienza dal granduca Leopoldo II che gli offrì la vicepresidenza delle Camere: Montanelli la rifiutò perché preferiva lottare dal suo banco di deputato anziché rimanere imbalsamato in uno scranno.
All’inizio di ottobre i livornesi erano insorti contro l’Autorità governativa. Il Governo Capponi mandò a Livorno un contingente di militari i quali, però, non riuscirono a sedare la rivolta.
Di fronte all’Assemblea Generale riunitasi a Firenze, il Montanelli fece rilevare in maniera convincente l’inopportunità di affidare alle truppe il compito di sedare la rivolta.
Il granduca colse la palla al volo e gli offrì, seduta stante, il Governatorato di Livorno. Montanelli accettò ed il giorno dopo andò subito in quella città.
Dal balcone del Palazzo del Governo pronunciò un discorso che infiammò a tal punto i livornesi da renderli addirittura euforici.
Montanelli affermò che la sua fede politica era democratica, nazionale e cristiana. Toccò poi il tasto dell’indipendenza e della doppia necessità della guerra per conseguirla (l’indipendenza) e della Costituzione per salvaguardarla.
Montanelli fu applaudito a lungo e venne invitato a parlare ancora. Il nostro concittadino rifiutò l’invito dichiarandosi molto stanco.
I tumulti, a Livorno, cessarono come d’incanto.
I fucecchiesi, imbaldanziti dal successo del loro concittadino festeggiarono l’evento.
Il testo del discorso, pronunciato l’8 ottobre 1848 viene religiosamente custodito nel nostro Archivio Storico.
Il 22 ottobre 1848, dopo la caduta del Governo Capponi, il granduca Leopoldo II affidò a Giuseppe Montanelli l’incarico di formare il nuovo Governo. Giuseppe Montanelli accettò l’incarico, stilò la lista dei Ministri , illustrò il suo programma al Consiglio Generale e al Senato e ne ottenne l’approvazione.
Il 27 ottobre 1848 il nuovo Ministero, con decreto granducale, diventò operativo.
Il 3 novembre 1848 vennero sciolti Camera e Senato.
Il 20 novembre vennero indette nuove elezioni ed ebbe subito inizio la campagna elettorale.
A Natale il nostro Montanelli, eroe di Curtatone e Montanara e Presidente del Consiglio del Granducato di Toscana, tornò a Fucecchio per “passare il ceppo” con i suoi familiari. Aveva fatto di tutto per tenere celato il suo arrivo, ma il popolo ne venne subito a conoscenza.
In un attimo la popolazione si riunì e si portò per la via d’Empoli incontro al suo illustre concittadino. Tutte le finestre delle case vennero addobbate con tappeti e coperte, mentre festoni di lauro incorniciavano le porte.”Di quando in quando c’erano anche ghirlande attaccate ai muri dove facevano spicco le scritte W LA COSTITUZIONE ITALIANA, W IL MINISTRO DEMOCRATICO.
Montanelli giunse alla sua casa, in piazza Garibaldi, fra gli applausi del popolo che chiedeva a viva forza di ascoltare un suo discorso. Il nostro, pur essendo stanco, non poté fare a meno di dire qualcosa.
Nel pomeriggio, ossequiato dalle autorità comunali e dall’arciprete della Collegiata, il Primo Ministro si recò a S. Croce sull’Arno accompagnato dalla Guardia Civica, dalla Banda e dalla popolazione benché piovesse a dirotto.
A S. Croce venne ricevuto dal Gonfaloniere e da tutta la popolazione festante.
Montanelli tenne un discorso e si commosse vedendo le due popolazioni unite nel suo nome come una sola famiglia, cosa che non era mai avvenuta e che forse non si ripeterà più.


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