La sorella di Napoleone, prima Regina del Regno di Etruria, poi reggente imperiale diventò, a partire dal 1809 granduchessa della Toscana a pieno titolo francese.
1809 - Soppressioni francesi
La Toscana fu governata dalla Francia napoleonica dal 1801 al 1814.
In precedenza, dal 1796 al 1799, il nostro granducato aveva dovuto sopportare la presenza dell’esercito napoleonico impegnato nella conquista dell’Italia centrale. In quel periodo la nostra neutralità non ci risparmiò i disagi della dominazione militare che non fu affatto addolcita dalla propaganda e dalla simbologia populista della rivoluzione francese.
Nel 1809, e precisamente il 13 ottobre, quando eravamo governati da Elisa Baiocchi, sorella di Napoleone, venne soppressa la comunità francescana del convento La Vergine di Fucecchio.
I nostri frati zoccolanti, per ordine di S.M.R. dovettero ritornare al loro paese d’origine dietro compenso di una piccola pensione annua.
Il Prefetto del Dipartimento dovette occuparsi anche delle monache clarisse di S. Andrea che il Granduca Leopoldo I aveva fatto trasferire nel monastero di S. Salvatore, sul Poggio Salamartano, nel 1785.
Anche la comunità delle clarisse era stata soppressa nel 1808, ma le monache non se ne erano andate. Le autorità francesi, allora, non volendo infierire su delle monache, tentarono di indurle a lasciare volontariamente il monastero indispettendole con 3 provvedimenti ..sgradevoli:
1- La Collegiata fu dichiarata legittima proprietaria del monastero di S. Salvatore;
2- La Collegiata venne esonerata dal pagamento delle 130 lire annue alle clarisse a copertura delle loro spese di manutenzione della chiesa di S. Salvatore;
3- Il 16 aprile 1809 il maire (sindaco) di Fucecchio assegnò la proprietà della chiesa di S. Salvatore al Capitolo della Collegiata.
Le clarisse, per quanto molto irritate, non abboccarono e non se ne andarono. Erano presenti nel Monastero di S. Salvatore 21 monache corali e 14 servigiali (addette ai servizi o semplicemente serve). L’età media delle corali era di 43 anni; quella delle servigiali era di 48 anni.
Fra le 21 corali vi erano 7 fucecchiesi; fra le 14 servigiali ve ne erano ben 8. La presenza di monache fucecchiesi nel Monastero sfiorava il 43%. Anche la badessa, suor Maria Aleotti, era fucecchiese.
1810 - Foresteria dell’ex Monastero di S. Salvatore
La foresteria è un fabbricato annesso ad un monastero o ad un convento dove vengono alloggiati i forestieri per uno o più giorni.
La foresteria assicura quindi al Monastero o al Convento una voce di entrata.
Nel 1810 le clarisse del Monastero di S. Salvatore acquistarono il fabbricato, sito sul lato sinistro della loro chiesa, che era appartenuto dal 1300 al 1783 alla Compagnia della Madonna della Croce.
Esse ridussero il piano terra, già chiesa della Madonna della Croce, a Tinaia e i due soprastanti piani a Foresteria.
Nel 1867, per effetto della Legge dell’incameramento dei beni ecclesiastici del 7 luglio 1866, tutto il fabbricato acquistato dalle clarisse nel 1810 diventò una proprietà del Demanio dello Stato.
Il Demanio dello Stato regalò il piano terra del fabbricato al nostro Comune. Il Comune lo donò alla Confraternita della Misericordia che vi realizzò la propria chiesa e lo spogliatoio per i numerosi confratelli.
Il 28 dicembre 1899 il Consiglio Generale della Misericordia deliberò l’acquisto dell’ex Foresteria di S. Salvatore costituita dai due piani soprastanti la loro chiesa.
Il primo piano sarebbe stato adibito a sede della Confraternita; il secondo ad abitazione del guardiano della Misericordia.
Nei primi giorni del mese di gennaio del 1900 venne rogato l’atto di acquisto.
Il Demanio ricavò duemila lire dalla vendita della ex foresteria delle clarisse di S. Salvatore.
1810 - Bottaia di S. Salvatore
La bottaia o tinaia è lo stanzone dove vengono collocati le botti e i tini destinati a contenere il vino e altri liquidi.
Nel 1783 venne soppressa la Compagnia della Madonna della Croce che aveva la sua sede nell’attuale fabbricato contiguo al lato sinistro della facciata della chiesa di San Salvatore.
Il fabbricato rimase chiuso dal 1783 al 1810.
Nel 1810 tutto il fabbricato venne acquistato dalle ex clarisse del monastero di S. Andrea che nel 1785 erano state trasferite nel Monastero di S. Salvatore sul Poggio Salamartano.
Le clarisse ridussero la cappella della Madonna della Croce, oggi auditorium della Casa del Poggio, a bottaia e realizzarono nei locali del primo e del secondo piano la Foresteria del Monastero di S. Salvatore (alloggi per forestieri e parenti).
Il 7 luglio 1866 il monastero con tutti i suoi beni venne incamerato dal Regno d’Italia.
Monastero, bottaia e foresteria passarono in proprietà al Demanio dello Stato.
Nel 1873, dopo formale e motivata richiesta, il nostro comune diventò proprietario del monastero, della chiesa e della bottaia di S. Salvatore: la foresteria rimase in proprietà al Demanio dello Stato.
Un anno dopo, e precisamente il 3 dicembre 1874, con atto pubblico rogato dal notaio Angiolo Bonfiglioli, venne conclusa un’operazione di permuta fra il Comune e l’Arciconfraternita della Misericordia del nostro paese:
- la Misericordia cedette al Comune i fabbricati in rovina della ex chiesa e dell’ex convento di S. Andrea e condonò al medesimo Comune un debito di £ 1517,18;
- il Comune cedette alla Misericordia la bottaia e la chiesa di S. Salvatore e la statua della Madonna di Piazza detta anche della peste.
La Misericordia ridusse la Bottaia a Cappella della Misericordia intitolata alla Madonna di Piazza o della peste.
Tale Cappella venne inaugurata il 24 gennaio 1876.
Nel 1945 la Misericordia affittò la Cappella alla parrocchia della Collegiata che la ridusse a sala parrocchiale dotata di palcoscenico e di schermo per la proiezione di film.
Nel 1969 la ex bottaia venne affittata al Comune che la ridusse a Museo Civico.
Nel 1990 la Misericordia ha venduto tutto il fabbricato alla parrocchia della Collegiata.
La ex bottaia, già cappella della Misericordia, già Sala Parrocchiale e poi Museo Civico, è stata ridotta ad Auditorium della Casa del Poggio detta anche Scuola di catechismo.
1813 - Cimitero civico di Torre
Il 18 ottobre 1809 ( nel periodo della dominazione napoleonica che va dal 1799 al 1814) venne notificata al parroco di Torre, Giuseppe Spadoni, l’ordinanza napoleonica che vietava la sepoltura nelle chiese e nell’abitato cittadino ed imponeva la costruzione di cimiteri extraurbani e la istituzione di una Commissione incaricata di vigilare i testi delle epigrafi funebri a tutela della verità e del decoro.
Il Comune di Fucecchio, nell’arco di 4 anni, dotò la frazione di Torre di un cimitero civico extraurbano.
A memoria dei posteri, sul muro di cinta del cimitero, venne posta una lapide su cui fu scritto, in latino, il testo che qui riportiamo in lingua italiana.
PER ORDINE E PROVVEDIMENTO DI NAPOLEONE IMPERATORE AUGUSTO
QUESTO CIMITERO GIUSEPPE MARCHIANI
POSTO A CAPO DELLA COMUNITA’ DI FUCECCHIO
NELL’ANNO 1813
PROVVIDE CHE SI PONESSE FUORI DELLE MURA DEL TEMPIO
PER PRESERVARE LA SALUTE PUBBLICA E
PER MANTENERE L’ANTICA RIVERENZA DELLA CASA DEL SIGNORE
CHIUNQUE TU SIA CHE (DESTINATO A MORIRE) ENTRI IN QUESTO LUOGO
INVOCA LA PACE PER QUESTI LE CUI SPOGLIE MORTALI
RIPOSANO QUI ASPETTANDO LA SECONDA ETERNA VITA.
1813 - Murat Gioacchino
Gioacchino Murat (1767-1815) fu aiutante di campo di Napoleone nella Campagna d’Italia del 1796.
Nel 1800 il Murat sposò una sorella di Napoleone, Carolina.
Nominato Maresciallo di Francia, diventò Re del Regno di Napoli nel 1808.
Partecipò come comandante della cavalleria alla Campagna di Russia nel 1812.
Dopo la sconfitta subita a Lipsia (ottobre 1813) dal cognato Napoleone, Gioacchino Murat strinse un trattato con l’Austria che gli accordò il permesso di conquistare l’ex Regno Italico di Napoleone.
La Toscana venne occupata dall’esercito napoletano di Murat senza colpo ferire.
Fucecchio cambiò di nuovo padrone.
Nel 1813 nacque a Fucecchio il più illustre concittadino: Giuseppe Montanelli.
1813 - Montanelli Giuseppe professore e statista
Giuseppe Montanelli nacque a Fucecchio, in via Donateschi N. 21, il 5 gennaio 1813 (morto nel 1862).
Sulla facciata del fabbricato in cui nacque è stata collocata una lapide dove si legge:
IN QUESTA CASA
AI DI V DI GENNAIO MDCCCXIII
NACQUE
GIUSEPPE MONTANELLI
LA LIRA LA PENNA LA SPADA
SACRO’ ALL’ITALIA
FUCECCHIO
NEI FASTI DEL PATRIO RISORGIMENTO
PER LO IMMORTALE CITTADINO
NON DIMENTICATO
AD ONORANZA AD ESEMPIO
Q. M. P.
Giuseppe era figlio di Luisa Pratesi e di Alessandro Montanelli, commerciante ed affarista molto abile.
L’attività del padre permise al giovane Montanelli di frequentare le scuole superiori e poi l’Università di Pisa dove si laureò in lettere e filosofia.
A 23 anni pubblicò un volumetto di poesie.
Poco tempo dopo vinse la cattedra universitaria di Diritto Civile a Pisa.
L’attività universitaria non lo distrasse mai dai problemi sociali e politici del suo tempo.
Guardò con favore al socialismo del francese Saint Simon e si adoprò per promuovere e migliorare le condizioni civili ed economiche della classe operaia.
Non aderì a nessuna Società segreta né alla Giovane Italia, ma studiò attentamente tutti i movimenti politici che via via emergevano sul territorio nazionale.
1814 - Sommosse popolari fucecchiesi contro Gioacchino Murat
Nel 1814 i fucecchiesi erano ormai arcistufi della dominazione francese che durava da ben 13 anni consecutivi e non vedevano nemmeno di buon occhio i napoletani di Gioacchino Murat, cognato di Napoleone. Cosa non avrebbero fatto per scrollarseli dalla propria pelle, francesi e napoletani, e per riabbracciare il granduca lorenese Ferdinando III.
Il 6 febbraio 1814 venne affisso un Proclama di Murat nel quale si dava notizia che la Toscana era stata occupata dalle truppe napoletane.
Il POPOLO, allora, con armi e bastoni, si radunò in Piazza Maggiore. Gli stemmi francesi furono dati alle fiamme.
L’arciprete Montanelli, prevedendo il peggio, con abile pretesto riuscì a dirottare tutta la folla nelle chiese della Collegiata e delle Vedute.
Il 10 marzo 1814, alle ore 20, alcuni vetturali fucecchiesi provenienti da Livorno portarono la notizia che 5.000 inglesi erano sbarcati a Livorno per conquistare la Toscana.
A questa notizia, uomini, donne e ragazzi stanchi della dominazione francese si riversarono nelle strade e nelle piazze gridando: Bruciate e ammazzate i Giacobini (i fucecchiesi filo-francesi)!!
Qualcuno salì sul campanile della Collegiata e cominciò a suonare a festa le campane. Per tre giorni consecutivi e senza interruzione squillarono le campane.
Il popolo, la sera del 10 marzo, nonostante la pioggia scrosciante, si portò davanti alla canonica della Collegiata (quella attuale) e chiese all’arciprete che si portasse subito in chiesa per cantare il Te Deum Laudamus di ringraziamento per la liberazione dalla dominazione francese.
L’indomani un altro folto gruppo di fucecchiesi, guidato da un ex frate francescano, si portò alle carceri del Palazzo Pretorio e fece liberare i detenuti politici, gli antifrancesi.
Dopo aver liberato i detenuti politici, i popolani si recarono in piazza La Vergine, aprirono la chiesa che era stata chiusa al culto dai Francesi, ritornarono dall’arciprete della Collegiata e si fecero consegnare i quadri del Ritiro che lo stesso arciprete era riuscito a salvare dalla vendita all’incanto operata dai Francesi.
Il popolo prese i quadri e li riportò nella chiesa dei frati senza dimostrare né rispetto né devozione per quanto stavano facendo.
Anche l’arciprete Valentino Montanelli si portò nella chiesa La vergine e, con l’intento di riportare un po’ d’ordine, riuscì a convincere il popolo a cantare con lui le lodi della Madonna e di S. Francesco.
Il 12 marzo 1814 il Comando militare napoletano di stanza a Pisa, fece affiggere anche a Fucecchio un proclama.
I fucecchiesi, subito dopo l’affissione, lo strapparono. Nessuno li punì. Imbaldanziti da questo successo, trascorsero la giornata nel chiasso e nel disordine. Le campane del campanile della Collegiata sembravano impazzite.
L’indomani mattina, un ufficiale della Gendarmeria Napoletana si presentò all’arciprete della Collegiata e gli comandò di far cessare il suono delle campane.
I fucecchiesi non vollero obbedire nemmeno quando, dopo circa un’oretta, arrivarono altri 6 gendarmi. Per tutta la mattina il popolo li guardò con ira. Poi, insoddisfatti, i fucecchiesi disarmarono i 6 gendarmi e li cacciarono dal paese a “furia di pietre”.
L’arciprete, per placare gli animi, organizzò in fretta e furia una processione. La gente seguì con devozione il Santissimo e fortunatamente si dimenticò di andare a saccheggiare le case di alcuni facoltosi filo-francesi.
Due giorni dopo, il Governo Napoletano mandò a Fucecchio una colonna di militari con l’intento di punire i rivoltosi e di ristabilire l’ordine.
L’arciprete Montanelli interpose i suoi buoni uffici con i militari napoletani e riuscì a risparmiarci la paventata operazione di repressione.
1815 - Murat Gioacchino 19 giorni di incubo
Nel 1815, non appena il cognato Napoleone, fuggito dall’isola d’Elba, riprese il potere, sia pure per 100 giorni, il Murat iniziò la conquista dell’Italia con l’intento di diventarne il re.
Subito dopo il Proclama di Rimini del 30 marzo 1815, l’esercito napoletano di Murat occupò lo Stato Pontificio ed invase il Granducato di Toscana.
Il granduca di Toscana, Ferdinando III, fece di nuovo fagotto e si ritirò a Pisa, pronto ad imbarcarsi per fuggire.
Le truppe napoletane introdussero per la prima volta nelle storia la GUERRIGLIA: prendevano di mira un obiettivo,colpivano e subito si ritiravano negli Appennini evitando sempre lo scontro diretto.
L’esercito napoletano spuntava da tutte le parti.
I comuni del Valdarno e della Valdinievole allertarono una rete di informatori per segnalare gli spostamenti dei soldati napoletani.
Fucecchio piombò in un clima di paura.
Da Galleno, da Cerreto, da Empoli giungevano continuamente segnalazioni di spostamenti, di avvistamenti, di avvicinamenti.
L’incubo della rappresaglia ci tormentava continuamente.
Finalmente, il 18 aprile 1815 le truppe di Marat accettarono lo scontro diretto con l’esercito granducale a Campi Bisenzio e furono sonoramente sconfitte. I napoletani lasciarono la Toscana. L’incubo dei fucecchiesi ebbe fine. Il granduca poté ritornare a Firenze.
Le sconfitte di Carpi e di Tolentino indussero il Murat ad abdicare.
Nell’ottobre del 1815 il Murat sbarcò a Pizzo di Calabria nel tentativo di riconquistare il Regno di Napoli. Il tentativo fallì.
Il Murat venne catturato dai borboni e fucilato.
I fucecchiesi, quando lo seppero, tirarono un sospiro di sollievo.
1815 - Fine della dominazione francese
L’incubo per la nostra popolazione finì il 18 aprile 1815, il giorno in cui il granduca Ferdinando III rientrò a Firenze dopo la vittoria riportata sui napoletani a Campi Bisenzio.
La partenza definitiva di Gioacchino Murat dalla Toscana e l’uscita definitiva di Napoleone dalla scena mondiale, dopo che fu confinato nel giugno 1815 nell’isola di S. Elena, riaprirono il cuore dei fucecchiesi alla speranza in un avvenire migliore.
Venne subito riaperta la chiesa La Vergine e fu ripristinato il Ritiro francescano istituito da S. Teofilo da Corte nel 1736. Rientrarono 8 padri e 6 fratelli laici.
L’arciprete Montanelli, notoriamente filo-francese, venne richiamato a Fucecchio, dal suo esilio sanminiatese, dal Vicario Regio.
Il Montanelli, per recuperare la fiducia dei fucecchiesi, so recò a Roma per impetrare presso il papa Pio III il riconoscimento e le prerogative della vecchia Collegiata. Il papa accolse la richiesta.
Verso la fine del 1815 a Fucecchio si ricominciò a vivere tranquillamente anche se era elevato il numero dei mendicanti. I salari dei braccianti agricoli erano “miserevoli”. Pochissime erano le persone facoltose. E i settanta scudi elargiti annualmente dal Capitolo della Collegiata non erano sufficienti per alleviare le indigenze degli infermi.
Per una popolazione di 6.000 unità, come quella fucecchiese, sarebbe stato indispensabile un ospedale; ma i fucecchiesi erano sordi a questa esigenza.