capitolo14-2 - STORIA di FUCECCHIO FATTI, PERSONAGGI ED EVENTI - di Mario Catastini a cura di Giacomo Pierozzi

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CAPITOLI
XIV  (parte 2-4)

FUCECCHIO COMUNE DEL GRANDUCATO DI TOSCANA DEI LORENA
DAL 1737 AL 1799


1771 - La Pieve di S. Giovanni Battista elevata a Collegiata

Il 16 ottobre 1771 il vescovo di S. Miniato, a seguito di un benigno rescritto del granduca Leopoldo I, emise la Bolla con la quale la nostra Pieve veniva elevata al rango di Collegiata. Per effetto di questa promozione:
- il pievano diventò arciprete;
- i membri del Collegio che gestivano la parrocchia diventarono canonici;
- la Congregazione del SS. Nome di Gesù diventò il Capitolo della Collegiata.
Questa promozione, tanto desiderata specialmente dal canonico Giulio Taviani, non procurò nessun beneficio ai membri del Capitolo ai quali non venne accordato nemmeno il potere di eleggere l’arciprete.

1771 - Capitolo della Collegiata

Il Capitolo era un gruppo di sacerdoti insigniti del titolo di canonici ai quali erano demandate tre funzioni:
- l’elezione del parroco;
- l’amministrazione dei beni della parrocchia;
- l’officiatura delle chiese del piviere secondo i canoni della Liturgia.
Il Capitolo della Collegiata venne istituito il 16 ottobre 1771 quando il vescovo di S. Miniato insignì l’allora pievano della dignità di ARCIPRETE mentre i 10 sacerdoti della Congregazione del SS. Nome di Gesù vennero insigniti del titolo di CANONICI.
Al Capitolo di Fucecchio non venne conferito il potere di eleggere l’arciprete.
Fra gli obblighi liturgici era prevista la recita in coro del VESPRO, della COMPIETA e del MATTUTINO la vigilia delle grandi festività e delle feste dell’Immacolata Concezione, della Purificazione, dell’Annunciazione e della Natività della Madonna.
I 12 Canonici, e cioè i dieci titolari e le due riserve, dovevano assumere il titolo di un santo, preferibilmente di uno di quelli che venivano venerati a Fucecchio, come risulta dall’elenco dei canonici del 1803:
1- Giulio Taviani col titolo di S. Agnese
2- Tommaso Landini col titolo di S. Marco
3- Dionisio Conti col titolo di S. Francesco da Paola
4- Luigi Del Terra col titolo di S. Benedetto
5- Vincenzo col titolo dei SS. Audiface e Abacuc
6- Luca Lensi col titolo di S. Giovanni
7- Giuseppe Barni col titolo di S. Agata
8- Agostino Luigi col titolo di S. Candido
9- Anacleto Montanelli col titolo di S. Giovanni Napomiceno
10- Francesco Benvenuti col titolo dei SS. Clemente e Vitale
11- Tommaso Masini col titolo di S. Brunone
12- arciprete col titolo di S. Giovanni Battista

1771 - La Cresima

Il sacramento della Cresima veniva amministrato all’aperto e precisamente in piazza Vittorio Veneto che nel 1771 aveva le medesime dimensioni di quelle attuali anche si risultava sopraelevata di due gradini rispetto alla strada che segna la prosecuzione di Borgo Valori e che immette poi in via S. Giovanni.
Ai piedi dell’immagine di S. Cristoforo, quella ancor oggi esistente, veniva realizzato un recinto circolare di panche. In queste panche si sedevano i cresimandi in attesa del vescovo.
Il vescovo di S. Miniato con tutta la sua corte e tutto il clero locale partiva processionalmente dalla pieve di S. Giovanni la cui porta d’ingresso guardava S. Croce sull’Arno e scendeva in piazza Vittorio Veneto percorrendo o via S. Giovanni o la via del Poggio che costeggiava l’attuale scalinata sul lato sinistro per chi vi sale (all’epoca al posto della strada c’era un “ciglione”).
Raggiunta la piazza, il vescovo amministrava la Cresima secondo il rito cattolico.

1772 - Festa di Pentecoste

Il 7 giugno 1772, nel giorno di Pentecoste, ci furono fuochi d’artificio e una solenne processione.
La gente fece ressa sia per l’una che per l’altra manifestazione e tanto fu il calore con cui si prese parte alle funzioni da spingere qualcuno e poi molti ad affermare di avere veduto una vaga illuminazione intorno all’immagine di Maria Santissima di Montenero che si trovava dipinta nella cantonata che guarda la piazzetta della casa dei Bonistalli.
Si aggiunse poi a questa euforia la corsa del Palio con la lancia. Ma fu una corsa talmente deludente che la gente andò via arrabbiata per la grossolana imperizia di quelli che correvano dai quali non poté mai infilarsi l’anello due volte.
canonico Giulio Taviani

1772 - La seconda visita del granduca Leopoldo I

La mattina del 13 ottobre 1772, alle ore 10,30, proveniente da Empoli, entrò in Fucecchio il granduca lorenese Leopoldo I insieme alla consorte e ad una parte della Corte. Percorse in carrozza via del Corso (Matteotti) e scese nella piazza della Madonna delle Vedute. Qui si incontrò con il canonico Giulio Taviani che si improvvisò insuperabile cicerone.
Il Taviani condusse il granduca sul Poggio Salamartano e gli fece visitare l’indecente chiesa Collegiata e S. Salvatore. E naturalmente approfittò di questa occasione per mettere in cattiva luce i frati neri di S. Salvatore e per perorare la causa della costruzione di una Collegiata nuova.
Intanto le campane di S. Salvatore, della Collegiata e delle altre chiese cominciarono a suonare a festa.
Il popolo nell’udire quel suono si portò sul Poggio Salamartano.
Quando il granduca uscì dalla chiesa di S. Salvatore “ bisognò che i servitori facessero la strada per passare a forza di urti. Facevano Corte al granduca il principe Lorenzo Corsini, il conte Thurn, il marchese Albiz, la contessa Suarez Pecori e la marchesa Corsi. “
Mentre andava alla carrozza, il granduca non ragionò che della Collegiata da restaurarsi.
Mentre entrava in carrozza “disse ancora che gli insegnassero un luogo per fare lo Spedale degli ammalati e ciò lo ripeté più volte a tutti.

1772 - Ospedale suggerito

Il 13 ottobre 1772 il granduca lorenese Leopoldo I aveva visitato Fucecchio. Il granduca era rimasto colpito dall’indecenza della pieve di S. Giovanni (Collegiata), dalla mancanza di un ospedale e dalla vicinanza delle chiese di S. Giovanni e di S. Salvatore. Si era reso anche conto che non correva buon sangue tra i frati neri conventuali che si trovavano in S. Salvatore da 1299 e i canonici del Capitolo istituito da un anno.
Il granduca avrebbe voluto ridurre il monastero di S. Salvatore ad ospedale. I frati neri se ne sarebbero andati ed avrebbero posto fine alla lite secolare con il clero della Collegiata; i fucecchiesi avrebbero potuto disporre di un servizio fondamentale quale è quello di un ospedale.
Quando i frati neri vennero a conoscenza del progetto del granduca corsero subito ai ripari: scrissero tre suppliche: una al granduca; una al Gonfaloniere di Fucecchio; una al loro Provinciale OFM.
Il Gonfaloniere di Fucecchio non si lasciò impietosire dalla supplica; anzi, contrappose ad essa una raccolta di firme per dimostrare che i fucecchiesi preferivano l’ospedale al Convento (e fu l’unica volta).
Poi tutto finì in una bolla di sapone.

1773 - Organista

Fra i compiti del Capitolo della Collegiata, istituito nel 1771 in sostituzione della Congregazione del SS Nome di Gesù, c’era anche quello di corrispondere lo stipendio annuale ad un organista.
Nel 1773, visto che da qualche mese l’organo della Collegiata rimaneva silenzioso, i parrocchiani se la presero con l’arciprete.
L’arciprete spiegò più volte che l’obbligo del mantenimento dell’organista competeva al Capitolo. I fedeli capivano, però volevano che fosse l’arciprete ad imporsi sul Capitolo. L’arciprete declinò anche questo invito.
I parrocchiani, allora, irritati, minacciarono di denunciare i canonici alle autorità competenti.
Le minacce fecero breccia sul Capitolo.
I 12 canonici del Capitolo indissero subito un concorso fra gli organisti presenti nel paese e fecero loro sapere che al vincitore sarebbe stato corrisposto un compenso annuo di 12 lire. Lo stipendio era davvero misero.
Al concorso si presentò un solo concorrente: il prete don Francesco Cicci.
Il Cicci resistette per tre anni, ma poi preferì abbandonare l’attività di organista data l’esiguità della somma annua che gli veniva corrisposta.

1773 - Funerali

I funerali hanno sempre costituito un notevole appannaggio per il clero.
A Fucecchio, quasi tutti i funerali venivano commissionati o ai frati zoccolanti del Ritiro La Vergine o ai frati conventuali di S. Salvatore.
L’arciprete della Collegiata e anche gli altri preti del paese non nascondevano la loro stizza e la loro sete di rivalsa.
Il granduca lorenese Leopoldo I che aveva una voglia matta di sfoltire le comunità dei frati e delle monache cercò di procurarsi in anteprima il consenso dei parroci e dei preti con un decreto-bomba.
Il decreto, datato 3 aprile 1773, proibiva a chiunque di fare i funerali fuori della propria parrocchia. I contravventori avrebbero dovuto pagare una multa astronomica; 300 scudi.
In parole povere il decreto stava a significare che i frati di stanza a Fucecchio non potevano più eseguire i funerali.
Il decreto venne affisso alla porta della Collegiata il giorno 11 aprile 1773.
Tutti i parroci del Granducato di Toscana esultarono.
Il nostro arciprete affermò che il decreto era davvero provvidenziale.

1773 - Gioco delle carte e dei dadi

Anche i giochi che nel 1770 venivano effettuati con le carte e con i dadi prevedevano una posta, cioè una vincita in denaro.
Questi giochi venali generavano spesso situazioni di disordine sociale (liti, chiassate, prepotenze) e favorivano la proliferazione dei faccendieri e dei fannulloni. “ Meglio tentar la sorte con le carte e con i dadi piuttosto che con il lavoro” pensavano i giocatori.
Il granduca lorenese Leopoldo I (1765-1790) detestava i disordini sociali e i fannulloni. Inoltre sapeva benissimo che il gioco è il padre dei vizi.
Verso la fine del 1770 erano molti coloro che si arrangiavano nel nostro granducato con il gioco dei dadi e delle carte. E l’esercito dei giocatori annoverava anche preti, frati, monache e dirigenti delle Compagnie laicali.
Il granduca, animato dal desiderio di fare un po’ di pulizia, il 13 aprile 1773, proibì il gioco delle carte e dei dadi nei luoghi pubblici e nei teatri. E furono previste anche delle pene severissime per chi avesse aperto case da gioco clandestine.
I fucecchiesi non diedero eccessiva importanza a queste proibizioni e buggerarono ripetutamente il granduca che non si era fatto soverchie illusioni sulla obbedienza dei toscani.
Il granduca voleva dare un segnale premonitore sulle riforme che di lì a poco avrebbe introdotte specialmente nell’area delle comunità religiose e delle Compagnie laicali.

1773 - Flagellanti del Giovedì Santo

Tutti gli anni, 1773 compreso, prendeva parte alla processione del Giovedì Santo (ma non sarà quella del Venerdì Santo?) la Compagnia dei Flagellanti, che probabilmente era quella di S. Giovanni Battista detta anche dei Frustati neri.
In ricordo della flagellazione a cui era stato sottoposto Gesù Cristo, i flagellanti, inebriati forse dall’alcool ed in preda alla conseguente carica di isterismo, si frustavano a sangue durante la processione notturna del Giovedì Santo.
Il popolo fucecchiese accorreva in massa per vedere l’orrendo spettacolo di sangue. Inutilmente il nostro vescovo si era opposto a questa..tradizione.
Intervenne allora il ministro Carlo Bansi il quale, con una circolare granducale del 1773, proibì tassativamente sia le processioni notturne sia le macabre esibizioni dei membri della Compagnia dei Flagellanti che erano presenti anche in moltissime altre parrocchie della nostra diocesi.
La proibizione del macabro rito della flagellazione suscitò reazioni di disapprovazione in seno alla nostra popolazione. Ma il magistrato fiorentino fu irremovibile.

1774 - Crocifisso miracoloso

Nella chiesa di S. Andrea, posta nell’attuale piazza dell’ospedale, c’era un crocifisso ritenuto miracoloso specialmente dalle donne in stato interessante.
Nel luglio del 1774, tre mesi dopo l’inizio dei lavori di demolizione e di ricostruzione ex novo della vecchia chiesa di S. Andrea, molte persone vollero assistere alla demolizione dell’altare del Crocifisso miracoloso legato ad un fatto prodigioso.
In un passato lontano, la moglie del Lucchesi partoriva soltanto figli morti.
Il marito di questa donna, il Lucchesi, si seccò e minacciò di morte la moglie se avesse partorito ancora una volta un figlio morto. La poveretta, purtroppo, partorì di nuovo un figlio morto.
Spaventata dalle minacce del marito, aveva preso il cadaverino, si era portata nella chiesa di S. Andrea, lo aveva collocato sulla mensa dell’altare ai piedi del crocifisso ligneo e gli aveva detto:
- Fai resuscitare questo mio figlio. Abbi compassione di me.
E il bimbo resuscitò.
Il marito, quando lo seppe, si prostrò a terra per ringraziare il crocifisso.
Poi, per perpetuare la memoria di questo fatto miracoloso, il Lucchesi offrì un voto.

1774 - Mercato dei bozzoli dei bachi da seta

Moltissimi contadini nei primi decenni del 1700 arrotondavano i loro magrissimi bilanci con l’allevamento dei bachi da seta molto richiesti.
Acquistavano migliaia di uova e le distendevano nei cannicci in attesa che ne uscissero le larve.
Appena le piccole uova si schiudevano dovevano procurare alle voracissime larve una infinità di foglie di gelso.
Quando le larve diventavano bruchi l’appetito aumentava e così pure il fabbisogno di foglie di gelso.
Allorché i bruchi avevano acquisito le dimensioni di un anulare, i contadini dovevano preparare nella stanza dell’allevamento tanti boschetti fatti di ramaglie. Appena i bruchi vi si arrampicavano, cessavano di mangiare e incominciavano a tessere un esile filo con il quale si avvolgevano e dentro al quale si chiudevano.
Quel filo acquistava la consistenza di un guscio e il bruco diventava un bozzolo.
A questo punto il dopolavoro dei contadini era finito: dovevano soltanto aspettare il passaggio dei compratori ambulanti che acquistavano a peso quei bozzoli per rifornire le filanderie di seta dove veniva recuperato tutto il filo dentro al quale i bruchi si erano avvolti.
I mercanti ambulanti avevano buon gioco nell’imporre il loro prezzo. Per questa ragione i guadagni dei poveri contadini era miseri.
Molti coloni erano convinti che se fosse stato istituito un Mercato dei Bozzoli i prezzi di vendita sarebbero stati superiori.
Il 30 maggio 1774, previa autorizzazione granducale, si svolse a Fucecchio, sotto la loggia del Palazzo Pretorio il primo Mercato dei Bozzoli.
Affinché tutto si svolgesse con ordine venne affisso ad una colonna della Loggia del Pretorio un bilancione. Un altro venne sistemato ad un cavalletto di legno per uso dei venditori e dei compratori.
Quel giorno i rivenditori furono molti; i compratori, invece, pochi. E quei pochi, furbescamente, si coalizzarono per non dare più di 16 scudi e 8 soldi per ogni libbra di bozzoli.
I rivenditori, poveretti, inutilmente spergiurarono che con quel prezzo non avrebbero recuperato nemmeno le spese sostenute.
Il Mercato dei Bozzoli fu un mezzo fallimento per i nostri allevatori di bachi da seta.

Dopo pochi anni il Mercato chiuse i battenti e i contadini smisero di allevare i bachi.

1774 - Processioni notturne proibite

Le processioni notturne erano manna per i fucecchiesi dediti al Male. Il buio favoriva vendette, intrallazzi, furti, maltrattamenti . I maniaci sessuali ci andavano a nozze con le processioni notturne. Per moltissime persone queste processioni non costituivano motivo di devozione bensì di peccato.
All’indomani delle processioni notturne venivano esposte lagnanze, denunce, proteste, richieste di controlli più severi. Ai preti non interessavano più di tanto: ci avevano fatto l’orecchio.
Il granduca lorenese Leopoldo I, invece, non tollerando queste forme di disordine, fu molto draconiano: a partire dal 1774 le processioni notturne vennero proibite e non si fecero più.

1775 - Chiesa di S. Andrea ricostruita

La chiesa di S. Andrea si trovava nell’attuale piazza dell’ospedale con la facciata rivolta verso la rocca.
La presenza di questa chiesa è documentata a partire dal 1239.
Un secolo dopo, nel 1334, sul lato destro della chiesa ed in posizione centrale rispetto all’attuale piazza dell’ospedale venne inaugurato il monastero francescano delle clarisse che assunse il medesimo nome della chiesa.
Cinque secoli dopo, nel 1774, la chiesa venne demolita per ricostruirla ex novo.
La posa della prima pietra, a forma del Rituale Romano, avvenne il 30 maggio 1774 ad’opera del canonico Pellegrino Guerrazzi.
La cerimonia della spoliazione della chiesa si svolse il 19 luglio dello stesso anno alla presenza di tutto il popolo di Fucecchio particolarmente devoto al miracoloso SS. Crocifisso di quella chiesa.
Il 25 luglio 1775 la nuova chiesa, a tre navate, venne consacrata da monsignor Giuseppe Pamilini, Vicario generale della Curia di S. Miniato.
Il 22 settembre 1775 la chiesa venne dotata di un nuovo campanile.
Il Venerdì Santo (5 aprile) del 1776 fu riesposto al pubblico il SS. Crocifisso. Alla cerimonia presenziarono anche le 6 Confraternite locali:
- la Compagnia della Madonna della Croce;
- la Compagnia di S. Giovanni Battista;
- la Compagnia di S. Rocco e S. Sebastiano;
- la Compagnia di S. Caterina;
- la Compagnia di S. Crispino e S. Crispiniano;
- la Compagnia dei Coronati Scalzi.

Otto anni dopo la ricostruzione si abbatté sul Monastero, e quindi anche sulla chiesa di S. Andrea, il fulmine granducale della soppressione.
Nel 1785 le clarisse vennero evacuate e di conseguenza il Monastero e la chiesa vennero chiusi e messi in vendita.
Il 14 dicembre 1786, prima che si compisse l’atto di vendita, il vescovo di S. Miniato, monsignor Brunone Fazzi avanzò questa richiesta al ministro Martini:
Dovendosi vendere la chiesa di S. Andrea di Fucecchio unitamente all’evacuato Monastero, ordirei supplicare la clemenza sovrana volersi far la grazia di accordarmi il CIBORIO (tabernacolo) di marmo di quello Altar Maggiore con i due gradini giacché non può apportare diminuzione di prezzo per quella fabbrica per collocarlo a mie spese sopra l’Altare di questa Cattedrale (di S. Miniato) dove si conserva l’Augustissimo Sacramento essendovi un Ciborio di legno veramente vergognoso e intarmato.

Il vescovo chiese anche il quadro di S. Andrea per collocarlo in una chiesa di S. Maria a Monte. Le richieste vennero accolte.
All’inizio del 1787 la chiesa ed il Monastero di S. Andrea vennero venduti ad un certo Montanelli che li adibì a magazzini.
Nel 1840 il Comune affittò i due fabbricati e li ridusse a Scuola Elementare Maschile.
Il Comune disdisse l’affitto dei due fabbricati che minacciavano di rovinare nel 1872.
Nel 1891 la chiesa e il monastero vennero demoliti per aprire l’attuale piazza dell’ospedale che venne inaugurata nel 1892 in concomitanza con lo scoprimento del monumento a Giuseppe Montanelli.

1775 - Poggio Salamartano : il legittimo proprietario

In una supplica indirizzata al granduca Leopoldo I, il canonico fucecchiese don Giulio Taviani sosteneva che il Poggio Salamartano apparteneva al Comune di Fucecchio e non ai padri conventuali francescani che dal 1299 si erano insediati nell’ex Monastero vallombrosano di S. Salvatore che si trova appunto sul Poggio Salamartano.
Il granduca, stizzito per l’ennesima querelle avanzata dal nostro canonico, invitò il nostro Gonfaloniere (sindaco) a dirimere una volta per sempre il problema della proprietà del Poggio Salamartano.
Il Gonfaloniere, messo alle strette dal granduca, convocò il guardiano dei francescani conventuali di S. Salvatore e lo invitò ad esibire documenti idonei ad attestare la loro proprietà sul Poggio Salamartano.
Il guardiano mise sotto gli occhi del Gonfaloniere l’Atto di donazione datato 23 settembre 1299 e rogato dal notaio imperiale Niccolò Viviani. Da questo Atto risultava che nel 1299 l’ex monastero di S. Salvatore in Fucecchio apparteneva alle clarisse del Convento di Gattaiola in Lucca che lo avevano ottenuto il 18 marzo 1258 da papa Alessandro IV.

Con l’atto di donazione del 23 settembre 1299 la badessa di Gattaiola ed episcopessa di Fucecchio donava ai frati conventuali “un pezzo di terra sopra il quale era situata la badia (monastero) di S. Salvatore colla chiesa, chiostro e cimitero alla medesima annesso e con TUTTO IL POGGIO e orto e sue appartenenze “.
Il cancelliere del Gonfaloniere certificò che l’Atto di donazione era legalmente valido ossia autentico. Da questo Atto risultava chiaramente che il Poggio Salamartano apparteneva ai frati conventuali.
Perché le clarisse di Gattaiola avevano donato ai conventuali tutti quegli immobili? Perché non potevano venderli e perché la loro manutenzione richiedeva delle spese non indifferenti. Le monache, però, si erano tenute tutti i poderi ed altri immobili che garantivano loro delle cospicue entrate.

1775 - Monacazione delle fanciulle

Il secondo granduca lorenese, Leopoldo I, si rese subito conto che gli ordini religiosi costituivano una vera e propria piovra a discapito delle popolazioni di media o piccola dimensione come la nostra.
La MONACAZIONE delle fanciulle, ad esempio, costituiva un grosso affare per i monasteri ed una grave perdita finanziaria per la popolazione.
Le bambine dei ricchi per entrare nel Monastero di S. Andrea (monacazione) dovevano portare una dote di 350 scudi ed un corredo molto lussuoso. Inoltre, i genitori delle bambine entrate nel Monastero erano tenuti a versare continuamente sostanziose oblazioni sotto il titolo di elemosine.
Le bambine dei poveri venivano accettate a braccia aperte nei monasteri perché erano destinate a divenire le sguattere cioè le serve della comunità religiosa: esse fornivano gratuitamente tutti i servizi.
Le bambine dei ricchi sottraevano alla popolazione CAPITALI, mentre le bambine dei poveri le sottraevano mano d’opera.
In data 4 marzo 1775 venne promulgata una legge granducale che proibiva la MONACAZIONE delle fanciulle di età inferiore ai 10 anni.
Gli Operai (amministratori) dei Monasteri di S. Andrea (Piazza dell’Ospedale) e di S. Caterina ( Corso Matteotti) furono obbligati ad assicurare il Segretario della Deputazione sopra i Monasteri che avrebbero obbedito alle Leggi e che avrebbero trasmesso una relazione con l’elenco nominativo delle educande (fanciulle presenti nel Monastero).
L’Operaio di S. Andrea, Paolo Maria Vettori, trasmise la nota delle 4 educande presenti nel Monastero di età superiore ai 10 anni. La nota venne autenticata dalla firma della badessa.
Francesco Aleotti, Operaio del Monastero di S. Caterina o S. Romualdo, ignorò la richiesta.
Il Segretario della Deputazione sopra i Monasteri intervenne allora pesantemente.
E anche l’Aleotti dovette assicurare il Segretario che nel Monastero di S. Romualdo non vi erano educande sotto i 10 anni.

1775 - Vendita-svendita delle Cerbaie

Con questo nome vengono designate le colline che si innalzano lungo il lato nord-ovest del nostro territorio e che costeggiano il lato destro della Pianura Pisana fino alle pendici dei monti pisani.
Fin dal 1300 esse appartennero al nostro Comune ed avevano una estensione di 940 ettari.
Dal 1300 al 1500 esse vennero affittate, tramite gare di appalto, come aree di pastura per suini, ovini e bovini.
L’8 ottobre 1397, ad esempio, vennero affittate per la durata di 8 mesi a Vanni di Leo che dovette corrispondere al nostro Comune 190 fiorini.
Coloro che prendevano in affitto le aree da pastura, abusando della concessione ottenuta, tagliavano legna da ardere senza alcuna licenza. Questi livellari non correvano nessun rischio perché non esisteva la “guardia forestale”.
Anche il Regolamento sui pascoli delle Cerbaie redatto dal Comitato dei Sei poteva essere disatteso per la medesima ragione.
Firenze, allora,per evitare questo scempio, ordinò al nostro Comune di tenere nelle boscaglie delle Cerbaie una guardia con il salario annuo di 60 scudi.
A partire dal 1500 , all’interno delle Cerbaie vennero ritagliati 193 poderi che vennero concessi in affitto. Inoltre vi si cominciò a praticare il taglio programmato delle querce che erano riservate all’Arsenale di Pisa e poi a quello di Livorno.
Una legge granducale medicea del 1606 obbligava il nostro Comune a riservare le migliori querce all’Arsenale di Pisa per la fabbricazione e la riparazione delle galere (navi).
Venne pure istituito un corpo di vigilanza formato da sei guardie cui spettava il compito di tutelare il patrimonio boschivo e faunistico delle Cerbaie. Purtroppo le sei guardie non potevano disporre di armi.
I ladri di legname avevano quindi mano libera. Se non erano riconosciuti potevano fuggire o addirittura aggredire le guardie, specialmente se erano sole. Se le guardie avessero avuto in dotazione un’arma da sparo avrebbero potuto intimare l’alt ai ladri. E se i ladri avessero tentato di fuggire avrebbero potuto rimetterci la vita.
Soltanto nel 1563 il granduca Cosimo I concesse alle guardie delle Cerbaie l’autorizzazione di disporre di armi da sparo.
Questo provvedimento ridusse notevolmente il fenomeno dei tagli abusivi di legnami da ardere e da costruzione.
Il Regolamento, per venire incontro alle esigenze delle persone più povere, prevedeva dei permessi periodici di taglio, querce escluse, che venivano annunciati con i BANDI.
Il Bando seguiva questa procedura, come desunto da un documento del 16 dicembre 1716.
Il donzello comunale, dopo aver suonato ripetutamente la tromba, lesse il bando del taglio della legna nelle Cerbaie emanato dal Cancelliere.
Dopo averne data lettura, il donzello affisse il bando ad una colonna di Piazza (Vittorio Veneto).
Il Bando conteneva le regole che rendevano esecutive, sia pure per la durata di un solo giorno, le licenze di taglio del legname.
Questa era la REGOLA fondamentale:
Coloro che sono muniti di licenza di taglio possono entrare nel bosco soltanto dopo che la guardia ha dato il segnale convenuto con un campanaccio o con una cornetta e devono uscirne sul mezzogiorno quando il segnale verrà ripetuto due volte.
Chi si attarda nel bosco dopo questo doppio segnale verrà arrestato.
Il Bando conteneva molte altre regole. Alcune stabilivano addirittura l’altezza delle piante e il tipo di taglio da adottare.
Nonostante i Bandi e i divieti molti fucecchiesi entravano furtivamente nelle Cerbaie dove non tagliavano soltanto legna da ardere ma anche le querce.
Nel 1710 i maestri d’ascia dell’Arsenale di Pisa per prevenire questi furti contrassegnarono 1070 querce perché nessuno le toccasse.
I furti non cessarono. Il fattaccio venne segnalato nel 1735 al granduca mediceo Giangastone dall’Arsenale di Pisa.
Giangastone credette di risolvere il problema comminando ai ladri 5 anni di galera e due scudi di multa per ogni quercia abbattuta.
Nel 1737 il granduca mediceo, l’ultimo, morì. Gli subentrarono i granduchi lorenesi.
Il granduca Leopoldo I risolse il problema in maniera draconiana: ordinò al Comune di Fucecchio, nel 1769 e nel 1774, di vendere ai privati i suoi 940 ettari di Cerbaie. E il Comune dovette obbedire.
Questa vendita forzata segnò un doppio tracollo per la popolazione fucecchiese e rappresentò un affare favoloso per i privati e per i nostri amministratori comunali.
La vendita del legname e l’affitto dei 193 poderi e delle aree di pastura assicuravano al nostro Comune una rendita annua che nel 1622 fu quantificata nella ragguardevole cifra di 39.000 scudi. Questa somma non sarebbe entrata più nelle Cassa del nostro Comune. E questo fu il primo tracollo.
Le Cerbaie erano state sempre di tutta la popolazione: dal 1775 le Cerbaie non ci appartennero più: non erano più nostre. E questo fu il secondo gravissimo tracollo.
Ma quanto ricavò il Comune dalla vendita delle Cerbaie?
Il Comune ricavò soltanto 12.000 scudi. Il valore reale delle Cerbaie era invece di 120.000 scudi.
Perché il Comune ricavò così poco? Perché i nostri amministratori comunali si misero d’accordo con gli acquirenti e con i periti che dovevano effettuare le stime.
Gli acquirenti pagarono piccole tangenti agli amministratori comunali e ai periti. E con quelle bustarelle ci rubarono tutte le Cerbaie.
Le stime dei periti non vennero mai contestate dai consiglieri comunali il cui silenzio era stato comprato dai nuovi proprietari con le bustarelle.
I nuovi proprietari chiusero le Cerbaie alla pastura, eliminarono le quercete, surrogate dalle pinete, e fecero lievitare il prezzo della legna da ardere.
I ricchi diventarono più ricchi e i poveri diventarono dei miseri.

1776 - Fuga di una monaca dal monastero di S. Andrea

Il 12 aprile 1776, alle ore 1 di notte, fuggì dal monastero di S. Andrea posto nell’attuale piazza dell’Ospedale, la monaca di clausura Isabella Benvenuti, giovane vivacissima e, a detta di molti, un po’ tocca (pazzerella).
Dopo essersi calata dal muro, con la complicità della notte si cambiò d’abito e prese la via Pistoiese.
Bussò alla casa del Guglielmetti, un calzolaio, e, presentatasi come una povera orfana diretta al Convento dei frati di S. Romano, lo convinse ad accompagnarla a S. Romano.
Benché non facesse ancora l’alba i due si misero in cammino.
Raggiunto il Convento di S. Romano, Elisabetta si fece accompagnare a Montopoli dove disse di avere una sorella.
Nel ritornare a casa il Giulianetti vide per terra, sul bordo della strada, il fagotto che era appartenuto alla ragazza che lui aveva accompagnato: lo aprì e si rese subito conto che Elisabetta era una monaca.
Impaurito per le conseguenze che ne potevano derivare, il Giulianetti si chiuse in casa.
Alla badessa del monastero di S. Andrea non fu difficile pronosticare la fuga di Isabella, una recidiva.
Isabella venne invitata a ritornare in Convento, ma lei si rifiutò.
Di Isabella si occuparono anche il vescovo e il granduca:
- il primo la dispensò dalla clausura;
- il secondo le fece restituire la dote.

1776 - Compagnia di S. Caterina

Anche la Compagnia di S. Caterina nata all’ombra del Monastero delle Romualdine di Corso Matteotti prese parte alla festa del SS. Crocifisso miracoloso della chiesa di S. Andrea, il 5 aprile 1776, ad un anno dalla inaugurazione della ricostruita chiesa.
In questa occasione le consorelle della Compagnia donarono alla chiesa di S. Andrea due ceri.

1776 - Compagnia dei SS. Crispino e Crispiniano

Il 5 aprile 1776, nella chiesa di S. Andrea ricostruita ex-novo nel biennio 1774-1775, fu riesposto all’adorazione del popolo il Crocifisso miracoloso che per due anni era stato tenuto in custodia presso i padri francescani conventuali, i frati neri, che dal 1299 alloggiavano nel Monastero di S. Salvatore sul Poggio Salamartano.
Fra le compagnie che presero parte alla cerimonia dello scoprimento del Crocifisso ligneo e alla successiva azione liturgica dell’adorazione c’era anche quella intitolata ai Santi Crispino e Crispiniano.

1776 - Festa del SS. Crocifisso miracoloso di S. Andrea

Il terzo giorno di Pasqua fu portato sopra la mensa dell’altare del SS. Crocifisso della chiesa di S. Andrea un neonato morto.
Era il figlio di certo cavalier Lucchesi che aveva minacciato di morte la moglie se gli avesse partorito un’altra creatura morta.
E la donna aveva partorito per l’ennesima volta un bambino morto. Il marito era assente. Consigliata dalla “balia” che l’aveva assistita durante il parto, la moglie del Lucchesi aveva portato il bambino morto nella chiesa di S. Andrea, posta nell’attuale piazza dell’ospedale.
Dopo pochissimi minuti il bambino posto sulla mensa dell’altare del SS. Crocifisso cominciò a piangere alla presenza della madre, della balia e delle monache dell’attiguo Monastero di S. Andrea. Il piccolo era risuscitato.
A perpetuare la memoria di questo evento prodigioso, il padre del bimbo risuscitato regalò un voto alla chiesa mentre il clero locale istituì la festa del SS. Crocifisso di S. Andrea che cadeva ogni anno il terzo giorno di Pasqua.

1776 - Romiti e Madonna della Querce

Nel 1776, su richiesta del granduca, il nostro cancelliere (segretario comunale) Francesco Ferretti trasmise la seguente relazione alle magistrature fiorentine:
“Vi è in questa Cancelleria un solo ROMITO (eremita) ad una distanza di un miglio dalla chiesa detta della Madonna della Querce nelle boscaglie e macchie aggregate alla Fattoria di Sua Altezza Reale.
Il ROMITORIO è composto di due stanze unite ad un Oratorio similmente piccolo e il ROMITO gode di due staiora di terra prativa. “

Francesco Ferretti integrò la relazione con una ricostruzione sommaria dei fatti che un secolo prima fecero nascere la chiesa della Querce.
Nel 1687 due bambine, figlie di un contadino, vennero a Fucecchio gridando di aver visto la Madonna e di aver da essa ricevuto l’ordine di costruire una cappella nel luogo dell’apparizione.
Nonostante l’incredulità del clero, la popolazione si recava continuamente alla Querce per impetrare grazie e miracoli.
D’ottobre il padre delle due bambine, per rendere più credibile l’evento di cui erano state testimoni le due figlie, scavò ai piedi della Quercia e vi trovò una statuetta della Madonna in terracotta da lui precedentemente interrata, come ebbe a confessare al cancelliere Fabbrini.
Un eremita del 1687 collocò la statuetta del contadino sotto la quercia dove i fedeli deponevano le loro elemosine. Con quelle elemosine vennero costruiti la chiesa e l’annesso Romitorio ( 5 stanze e una stalla) che corrispondono in toto alla chiesa e alla canonica attuale della Querce.

1777 - Monacazione Un’altra legge granducale

La Legge del 4 marzo 1775, quella che proibiva la monacazione delle fanciulle di età inferiore ai 10 anni, non poteva risolvere il problema che stava tanto a cuore al granduca Leopoldo I: lo sfoltimento degli ordini religiosi che costituivano una vera e propria piovra a discapito delle comunità locali come la nostra. Occorrevano quindi interventi più pesanti.
Due anni dopo, nel 1777, il granduca emise un MOTUPROPRIO con il quale ordinò:
1- che non si accettassero nei monasteri fanciulle al di sotto dei 10 anni;
2- che i monasteri dovevano rinunciare alla dote delle educande;
3- che il valore del corredo delle monacande non doveva eccedere i 20-25 scudi;
4- che le sguattere potevano uscire dal monastero quando lo desideravano e che non dovevano pagare nessuna somma per gli alimenti ricevuti;
5- che la vestizione delle educande non poteva avvenire prima del 20° anno;
6- che prima di indossare gli abiti religiosi ogni monacanda doveva vivere 6 mesi fuori del monastero;
7- che, dopo i 6 mesi di prova, un ecclesiastico si rendesse conto se si poteva permettere alla monacanda di professare i voti;
8- che i deputati ai monasteri dovevano esigere un attestato sull’autenticità della vocazione della monacanda;
9- che i vescovi si assicurassero, con un esame, sulla natura della vocazione della monacanda;
10- che gli Operai non potevano dare il loro consenso per la vestizione senza il permesso scritto della Balia e dello Iusdicente.
Come si vede, diventò alquanto difficile o perlomeno complicato farsi monaca.

1780 - Chiesa di S. Carlo

Di questa chiesa abbiamo soltanto tre informazioni:
- apparteneva alle clarisse del monastero di S. Andrea;
- era stata soppressa dal granduca Leopoldo I nel 1780;
- il 18 dicembre 1781 le clarisse di S. Andrea avanzarono istanza perché venisse riconosciuto il loro giuspatronato delle due scalinate e dei due pezzi di terra contigui alla chiesa.

Non sappiamo dove era ubicata.

1780 - Iter della soppressione delle compagnie

L’iter della soppressione delle Compagnie cosiddette laicali seguiva questa scaletta:
- La Reale Segreteria del Regio Diritto del Granducato di Toscana notificava il provvedimento, a termine, al vescovo della diocesi;
- il vescovo notificava a sua volta il decreto di soppressione alle Autorità Comunali per via epistolare e faceva richiesta esplicita di dati precisi ed esaurienti sulla consistenza patrimoniale delle Compagnie;
- le Autorità Comunali- il Gonfaloniere e i Priori- partecipavano alle Compagnie la lettera del vescovo e prescrivevano la compilazione degli INVENTARI dei beni mobili ed immobili della compagnia.

1780 - Fine del Lago di Fucecchio

Per due volte il Padule era stato ridotto a Lago con due denominazioni diverse:
- nel 1435 era stato chiamato Lago Nuovo;
- nel 1549 era stato chiamato Lago di Fucecchio.

Con il Motuproprio del 4 settembre 1780, il granduca lorenese Leopoldo I decretò lo smantellamento del Lago di Fucecchio e l’inizio della bonifica del Padule. Finiva così di esistere il Lago di Fucecchio.

Questi i punti salienti del provvedimento datato 4 settembre 1780:
1- demolizione della pescaia di Ponte a Cappiano che segnò la fine del Lago;
2- vendita delle 7 Fattorie che il granduca possedeva nel bacino del Padule;
3- allargamento dell’Usciana e degli altri canali interni del Padule;
4- scavo di un altro canale nel centro del Padule che, dalla Fattoria del Capannone, porta le acque della Pescia di Collodi nel Canale Maestro;
5- costituzione del Consorzio dei 9 Comuni rivieraschi per la manutenzione del Padule.
6 -il granduca rinunciò alla privativa della pesca, al lucro dei mulini di Cappiano, ai diritti di proprietà acquistati dai granduchi medicei intorno all’ampia circonferenza del Padule o Lago di Fucecchio;
7 -venne restituita la libera navigazione della Gusciana senza obbligo alcuno di dazio;
8 -fu permesso a chiunque di valersi dei prodotti del Padule “tanto in genere di pesce, quanto di piante e di pascoli;
9 -vennero ristrette dentro più angusti confini le Reali bandite;
10- fu concessa ai possidenti frontisti (antistanti il Padule) la piena libertà di deviare le acque dei torrenti e dei rivi di Vinci e di Fucecchio per colmare i loro terreni;
11- la spesa occorrente per sopprimere i mulini e la pescaia del ponte di Cappiano venne sostenuta interamente dal Granduca.
Questi gli effetti dell’editto o motuproprio:
- la campagna fucecchiese migliorò moltissimo: i prodotti agrari (biade, grano, formentone, lino, canapa, fieno e pattume) furono superiori al consumo degli abitanti e degli animali da stalla;
- l’aria divenne meno nociva e sparirono così quelle malattie endemiche che d’estate decimavano quanti lavoravano nel Padule o nelle vicinanze;
- il vino delle nostre pianure fra l’Arno ed il Padule, dato che non arrivava mai sano alla calda stagione, veniva distillato nelle distillerie di S. Croce sull’Arno.

1780 - Palazzo Pretorio ridotto a Sede di Vicariato

Il 29 giugno 1780 il granduca lorenese Leopoldo I istituì il Vicariato di Fucecchio che avrebbe esercitato la sua giurisdizione sui comuni di Fucecchio, Vinci, Cerreto Guidi, Santa Croce, Castelfranco, S. Maria a Monte e Montecalvoli.
Il 6 novembre 1780 venne approvato il progetto di riduzione del Pretorio a Palazzo Vicariale presentato dall’ingegnere Anastagi. Questo progetto prevedeva la seguente utilizzazione dei tre piani dell’ex Pretorio:
- PIANO TERRA : destinazione delle tre celle medioevali a carcere per i debitori civili; realizzazione di una Cappella o chiesetta per carcerati tramite il tamponamento del braccio più corto della Loggia.
- PRIMO PIANO : sala delle udienze; uffici del Vicario, del notaro civile e di quello criminale; demolizione del Teatro dei Fecondi e sua riduzione a carcere maschile e femminile e ad appartamento del guardiano ; appartamento del Vicario.
- SECONDO PIANO: appartamento del notaro civile (5 stanze); appartamento del notaro criminale (5 stanze); reparto notte dell’appartamento del Vicario (4 stanze).

1780 - Proibizioni di Leopoldo I

Il granduca Leopoldo I, dopo essersi reso conto di persona della situazione economico- sociale della Toscana, cercò di ovviare a certi inconvenienti adottando provvedimenti che alcuni hanno giudicato repressivi.
Il 2 giugno 1780 ordinò anche al nostro Comune di allontanare vagabondi, saltimbanchi e ciarlatani. Prescrisse pure al Comune una oculata vigilanza sui forestieri non conosciuti.
Il 23 agosto venne proibito lo sparo dei mortaretti di cui si faceva uso in occasione della festività del santo patrono locale.
Il 29 settembre fu ordinato ad ogni albergatore di rimettere al Vicario la nota dei forestieri che prendevano alloggio nelle loro locande.

1780 - Prostitute e vagabondi

La prostituzione e il vagabondaggio hanno sempre accompagnato la storia dell’umanità.
Nel 1780 il granduca lorenese Leopoldo I credette di cancellare prostituzione vagabondaggio con il classico colpo di spugna della repressione.
Con una Legge speciale il granduca abolì la prostituzione e con un’altra stabilì che avrebbe comminato pene severissime per vagabondi forestieri, per saltimbanchi e ciarlatani. Inoltre prescrisse alle forze dell’ordine una vigilanza più continua ed accurata.
Lì per lì le misure adottate dal granduca sembrarono efficaci, ma passati alcuni mesi, riaffiorarono come la gremigna sia le prostitute che i vagabondi.

1780 - Vicariato di Fucecchio

Il 29 giugno 1780, il granduca Leopoldo I istituì il Vicariato (Pretura) di Fucecchio che avrebbe esercitato la sua giurisdizione su questi comuni: Fucecchio, Cerreto Guidi, Vinci, Santa Croce, Castelfranco, Montecalvoli e Santa Maria a Monte.
Fu deliberata la riduzione del Palazzo Pretorio a sede del Vicariato. Il progetto di riduzione presentato dall’ingenger Anastagi lasciava inalterati la Loggia ed il Teatro dell’Accademia dei Fecondi che erano due elementi strutturali del Pretorio. Questo progetto venne bocciato il 31 luglio 1780.
Venne invece approvato il nuovo progetto di riduzione presentato dall’Anastagi il 6 novembre 1780. Questo progetto prevedeva la tamponatura del lato destro della Loggia del Pretorio e la demolizione del Teatro dei Fecondi per ridurlo a carcere vicariale e ad appartamenti per il notaro civile e per il notaro penale. Il carcere con l’annesso appartamento del guardiano vennero realizzati al primo piano del braccio destro del Pretorio; gli appartamenti per i due notari vennero realizzati al secondo piano del medesimo braccio.
I lavori di riduzione del Pretorio a sede vicariale vennero assegnati all’impresario fucecchiese Domenico Rosati che si impegnò ad eseguirli in sei mesi.
I tempi sottoscritti nel contratto non furono rispettati per colpa dei pilastri della Loggia che si rivelarono inaffidabili.
Il 23 agosto 1782 la sede vicariale ,con il carcere, l’appartamento del guardiano, la sala delle udienze, gli uffici degli amministratori della giustizia e gli appartamenti per il Vicario e per i due notari, era pronta.
A Domenico Rosati vennero corrisposte 34.301 lire
Il 4 febbraio 1783 fu benedetta la Cappella del carcere vicariale intitolata a S. Leopoldo. Vi celebrò la Messa, la prima, l’arciprete Baccini.

1780 - Spoliazione della Collegiata

Il 3 agosto 1780 il SS. Sacramento della vecchia Collegiata venne trasferito nel ciborio della chiesa di S. Donnino, l’attuale sala parrocchiale, quella attigua all’attuale sagrestia della Collegiata e sulla cui volta volano le figure affrescate da Anton Pietro Bamberini fra il 1600 e il 1700. Si cominciò così a render esecutivo il progetto di demolizione e ricostruzione della nuova Collegiata.
Qualche giorno dopo ci fu la tanto attesa “spoliazione” della vecchia Collegiata prima che venisse demolita completamente. Dei vecchi mobili non rimase nulla. La mobilia venne trasportata ora in questa ora in quell’altra casa “ talché questa mobilia girò per qualche giorno per il paese.”
Vennero rimosse le pietre della mensa degli altari. Il fonte battesimale fu spostato nell’attigua chiesa di S. Donnino.
Dopo la “spoliazione”, la chiesa venne “profanata” (sconsacrata) e poi demolita.
Il 18 agosto 1780 ci fu la posa simbolica della prima pietra alla presenza dell’arciprete, del Capitolo della Collegiata, del clero e di numeroso pubblico. Anche la GAZZETTA di Firenze riportò l’avvenimento con tutti i particolari.


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