FUCECCHIO COMUNE DEL GRANDUCATO MEDICEO DI TOSCANA
1569 - 1737
1624 - Congrega del SS. Nome di Gesù
“Nel 1624, per promuovere maggiormente il Culto Divino e la divozione del popolo fattosi più numeroso, come pure per maggiore Istruzione del Popolo, il Pievano (di S. Giovanni Battista) ed alcuni sacerdoti vennero nella determinazione di erigere e fondare in perpetuo nella detta Pieve una CONGREGAZIONE ossia un COLLEGIO di 10 sacerdoti che eressero e fondarono sotto il titolo del SS. Nome di Gesù al fine di uffiziare più decorosamente che fosse loro possibile la detta Pieve illustre e ragguardevole come può vedersi nel Corpo Canonico. Capo della Congregazione era il Pievano che rimaneva responsabile della conduzione della parrocchia”
Questo testo è stato tratto dal contesto della Bolla vescovile che, a 147 anni dalla erezione della Congrega, nel 1771, ne decretò la elevazione a CAPITOLO della Collegiata di S Giovanni Battista.
1626 - Organo della chiesa di S. Salvatore
Una delle attrattive più ghiotte della chiesa di S. Salvatore, sul Poggio Salamartano, è costituita dall’organo del RAVANI che risale al 1626. Quest’organo si trova sulla parete sinistra della navata,unica, della chiesa.
Dal 1599 al 1626 la chiesa di S. Salvatore era stata allietata, si fa per dire, dai suoni dell’organo del Romani, cortonese. Questo maestro lo aveva installato nella chiesa di S. Salvatore con l’aiuto del figlio Agostino.
L’organo ebbe una vita molto breve: visse soltanto 27 anni!
Prima dell’organo del Romani ce ne erano stati altri come viene attestato dai registri dell’Opera di S. Salvatore la quale doveva provvedere a coprire le spese di installazione, manutenzione e gestione dell’organo. L’Opa, infatti, doveva pagare l’alzatore dei mantici e l’organista. All’alzatore di mantici venivano corrisposte 4 staia di grano; all’organista 21 lire annue.
L’organo attualmente in uso nella chiesa di S. Salvatore venne fabbricato da Cosimo Ravani di Lucca nel 1624 (come scritto nel cartiglio dello strumento) e fu montato nella chiesa fucecchiese nel 1626.
E’ questo l’unico organo seicentesco che ci sia giunto intatto nelle sue parti fondamentali ai nostri giorni, nonostante sia stato sottoposto a questi 5 restauri:
1- Nel 1752 Antonio e Filippo Tronci restaurarono l’organo e vi aggiunsero una pedaliera a leggìo di 8 tasti unita alla tastiera;
2- Nel 1854 Nicomede Agati e i suoi fratelli, di Pistoia, rifecero la tastiera (45 tasti) di bosso e di ebano;
3- Nel 1946 venne nuovamente restaurato da Rizzardini Mario e dai figli Pierino ed Andrea, di Zoda Alto in provincia di Belluno;
4- Il penultimo restauro venne effettuato nel 1964 da Marcello Paoli e Ledo Masini;
5- Nel 1985 l’organo fu smontato e portato nel Laboratorio di Restauro degli Organi Storici a Firenze presso il Palazzo Pitti. Venne rimontato nel maggio 1986 (l’anno del Millenario della chiesa di S. Salvatore) e fu inaugurato dal restauratore Pier Paolo Donati il 24 Giugno 1986 con un concerto di musiche seicentesche e settecentesche.
1627 - Urbanistica (1627-1663)
Nel 1627 vennero eseguiti questi lavori:
- rilastricatura di via Torcicoda (Arturo Checchi) e di via del Cassero;
- riassestamento di via Gattavaia;
- venne fatta dipingere in via Gattavaia la Vergine Maria di Gattavaia;
- furono assestate le cantonate di tutte le case;
- venne rifatta la LOGGIA del Palazzo Pretorio;
- furono restaurati gli stemmi granducali del Palazzo Pretorio;
- fu sovvenzionata la ricostruzione della chiesina di S. Pierino.
Nel 1660 fu completato l’acciottolato di via Castruccio.
Nel 1663 l’impresario Domenico Rosati lastricò Via Gattavaia.
1631 - Chiesa La Vergine
Nell’area dove ora si innalza la chiesa La Vergine, fin dal 1400 c’era una cappellina chiamata Oratorio della Vergine delle Cinque Vie - quelle che portavano a Firenze, Pisa, Lucca, Pistoia e centro storico di Fucecchio.
In questo Oratorio, comunale, veniva venerata un’immagine miracolosa della Madonna affrescata sul dossale dell’unico altare. Esso veniva officiato settimanalmente da un cappellano stipendiato dal nostro Comune.
Nel 1608 l’Oratorio venne ingrandito e diventò la chiesina della neonata Confraternita della Misericordia.
Nel 1619 la Misericordia donò la chiesina e l’annesso Convento, appositamente costruito, ai frati zoccolanti francescani di Firenze.
Nel 1631 , per opera dei frati francescani, la chiesina assunse le attuali dimensioni di chiesa.
Nel 1632 venne inaugurato l’agile campanile con la sua guglia a piramide.
La facciata della chiesa, a partire dall’alto, presenta uno stemma mediceo in pietra, una finestra rettangolare cieca sormontata da un frontoncino e due finestre laterali quadrilobate cieche. Sullo specchio di queste 3 finestre, fino agli anni ‘70, erano visibili gli affreschi eseguiti nel 1882 dal pittore croato, padre Celestino Medovic.
Sotto il loggiato a quattro luci, antistanti la facciata, possiamo ancora ammirare le tre lunette, dipinte a tempera dallo stesso Medovic, che illustrano il miracolo della Corona Francescana.
Nelle quattro nicchie alla base della facciata, fra il 1730 e il 1738, erano state affrescate da padre Alberico Carlini da Vellano altrettante Stazioni della Via Crucis.
Sotto il Loggiato che immette al portone d’ingresso del chiostro sono ancora visibili tre lunette dipinte a tempera e di autore ignoto: due illustrano episodi significativi della vita di S. Margherita da Cortona; la terza mostra un S. Francesco a mezzo busto.
L’interno della chiesa è costituito da un’unica navata lunga mt 30, larga mt 11,50 e alta mt 14.
Sul lato destro della navata ci sono gli altari del Crocifisso e dell’Immacolata, due confessionali, una porticina che immette nel chiostro del convento, un pulpito in muratura e, in alto, due finestre istoriate recanti gli stemmi della Misericordia e del Principe Corsini.
Sul lato sinistro ci sono gli altari di S. Antonio da Padova e di S. Francesco,tre confessionali e, in alto, due finestre istoriate con gli stemmi del nostro Comune e della famiglia Checchi di Pistoia.
Al centro del presbiterio c’è l’Altar Maggiore con l’urna di S. Teofilo da Corte, guardiano del nostro Ritiro dal 1736 al 1740, proclamato Santo il 29 giugno 1930.
Dietro l’Altar Maggiore c’è il coro con grande finestra istoriata a forma di monofora.
A sinistra dell’Altar Maggiore c’è la Cappella di S. Teofilo nella quale sono custodite molte reliquie del santo.
A destra dell’altare si trova la porta che immette nella sagrestia dove si conserva una copia, su tela, della immagine della Madonna delle Cinque Vie il cui affresco, posto sul dossale dell’Altar Maggiore, venne fatto demolire da un guardiano nel 1895.
Alla parete sinistra del presbiterio è appesa la grande tela che mostra la guarigione miracolosa del fucecchiese Francesco Tognetti avvenuta nel 1860 per opera del venerabile padre Teofilo da Corte.
Alla parete destra è appesa la grande tela che mostra la guarigione miracolosa della piccola Giuseppina Aleotti, di tre anni, avvenuta nel 1877 per intercessione del venerabile padre Teofilo da Corte.
Sopra la bussola della porta d’ingresso si sono la pregevolissima cantoria e l’organo. L’organo, un Tronci del 1825, è stato restaurato, elettrificato e trasferito nel Coro dalla Ditta Marcello di Campi Bisenzio negli anni ‘60.
L’attuale soffitto a stoiato, su disegno dell’architetto Micheli di Firenze, venne realizzato nel 1882. In precedenza vi era il tetto a capriate.
La chiesa La Vergine, dal 1619 al 1996, è stata sempre officiata dai frati francescani OFM.
Dal 1996 è officiata dai Monaci Identes di origine spagnola.
1631 - Peste bubbonica
All’inizio del 1630 la peste bubbonica si abbatté su Bologna. Ad agosto colpì Firenze, poi Lucca, Pistoia, Pisa, Livorno.
All’inizio del mese di ottobre 1630 i deputati alla Sanità del nostro Comune, nel tentativo di scongiurare la terribile epidemia, presero severi provvedimenti:
1- Vennero fatte serrare le PORTE dell’Osteria e di S. Andrea. Le guardie ebbero l’ordine di far passare soltanto i fucecchiesi e gli abitanti del nostro Comune;
2- Alla Porta di Borghetto (via Lamarmora) venne sistemato un deputato alla Sanità al quale fu data la piena facoltà di non far entrare forestieri anche se appena sospetti,
3- Le guardie dovevano serrare le Porte due ore dopo il tramonto, consegnare le chiavi al capo delle guardie che, a sua volta, doveva consegnarle al donzello del Comune che doveva riaprire le porte all’alba,
4- Nessuno poteva trascorrere due giorni e due notti fuori di Fucecchio perché sarebbe caduto in disgrazia di Sua Altezza il Granduca,
5- Il Consiglio Comunale doveva riunirsi ogni due giorni per prendere i provvedimenti più opportuni.
Il Vicariato di S. Miniato da cui dipendeva anche Fucecchio emise un provvedimento ancora più severo: nessuno poteva entrare od uscire dai confini del Vicariato senza aver fatto la dovuta quarantena.
Nonostante tutti questi provvedimenti anche il nostro Comune venne colpito pesantemente dalla peste.
Il 6 giugno 1631, a Galleno, in una sola casa si ebbero 7 morti. La peste era bubbonica. Il cadavere di una donna che si trovava in una capanna al di là di Ponte a Cappiano portava sotto il braccio sinistro un gonfio grosso come un pane ed un altro simile nello stesso braccio. Inoltre il cadavere era tutto nero.
Di peste bubbonica morì anche il Podestà Bonifazio Partigiani il 16 settembre 1631.
Il letto su cui il Podestà era morto venne bruciato. Venivano bruciate anche le capanne e gli indumenti degli appestati di campagna ( i contadini vivevano in capanne)
Le case sospette di contagio venivano piantonate dalle guardie per impedire agli inquilini di uscire. Se gli inquilini erano poveri provvedeva il Comune a fornir loro vitto e medicinali. Fu piantonata anche la casa di don Camillo Tavolacciai, cappellano dell’Oratorio di S. Rocco extra Muros perché risultava contagiata da morbo pestifero la donna di servizio.
La gente moriva a grappoli. Un pazzo terrore si impadronì di tutti, poveri e ricchi. Fu in questo clima di terrore che il nostro Comune acquistò una statuetta di marmo della Madonna per affidarle la protezione di tutta la popolazione. La statua della Madonna col Bambino Gesù venne collocata dentro una nicchia scavata nella facciata della Cancelleria (Palazzo Comunale) all’altezza delle finestre del piano terra.
1632 - Madonna di Piazza
Nel 1630 la PESTE era scoppiata violentemente a Bologna.
Con rapidità impressionante si era diffusa anche in Toscana, specialmente nelle città.
Il comune di Fucecchio aveva emanato disposizioni severissime per prevenire le prevedibili forme di contagio e, non fidandosi troppo della protezione dei SS Rocco e Sebastiano, aveva acquistato una Madonna di marmo, in altorilievo, alta circa un’ottantina di centimetri.
Nonostante tutte le misura adottate dal nostro Comune, la peste dilagò anche a Fucecchio. E al terrore della peste si aggiunse anche lo sgomento della morte per FAME dato che i commerci con i comuni esterni erano proibiti.
Allo scopo di attenuare questa terribile epidemia, la Madonna di marmo acquistata dal nostro comune venne tolta dall’interno della Cancelleria (Palazzo Comunale) e fu sistemata in una nicchia scavata nella facciata della Cancelleria medesima, rivolta verso il Palazzo Pretorio, che si trovava al centro dell’attuale piazza Vittorio Veneto.
Quando la peste fu passata, qualcuno osservò che nella guancia sinistra della Madonna era comparsa una macchia di color marrone.
Tutti affermarono che quella macchia stava ad indicare che la Madonna, dopo che era stata collocata all’aperto, in Piazza, aveva preso su di sé la peste per liberare i fucecchiesi da quel terribile morbo.
La Madonna di Piazza rimase sulla facciata della Cancelleria fino al 1699, l’anno in cui la Cancelleria venne demolita per ingrandire la Piazza (Vittorio Veneto), riducendola alle dimensioni odierne.
Nel 1700 la Madonna di Piazza venne sistemata in una nicchia della facciata della nuova Cancelleria edificata nella medesima piazza e precisamente nell’ala sinistra del fabbricato che attualmente ospita il Liceo Scientifico.
Nel 1855 la Cancelleria venne trasferita in Via Lamarmora. La Madonna rimase nella nicchia dell’ex Palazzo Comunale fino al 1856, l’anno in cui venne demolito per far posto all’erigendo Palazzo della Delegazione di Governo.
Nel 1856, in attesa di risistemarla nella progettata nicchia della facciata del Palazzo delle Delegazione, il Comune deliberò di trasferire temporaneamente la Madonna di Piazza nella chiesa Collegiata. Il trasferimento venne fatto processionalmente, ma con la manifesta disapprovazione della popolazione che non voleva “rinchiudere” la sua Madonna.
Nel 1859 venne inaugurato il Palazzo della Delegazione di Governo in piazza Vittorio Veneto. Sul lato sinistro della facciata, in basso, c’era la nicchia nella quale doveva essere ricollocata la Madonna di Piazza. Ma il Delegato di Governo che aveva il proprio ufficio al piano terra in corrispondenza della nicchia, pretese che al posto della nicchia della Madonna fosse aperta una finestra per dar luce al suo Ufficio. E la Madonna rimase in Collegiata.
Il 3 dicembre 1874 venne sottoscritto un Atto di Permuta tra il Comune e la Misericordia.
- La Misericordia cedeva al Comune al Comune la chiesa e il monastero di S. Adrea e condonava al medesimo un debito di lire 1517,18.
Il Comune cedeva alla Misericordia:
- la chiesa di S. Salvatore;
- la tinaia di S. Salvatore (il piano terra della Scuola di Catechismo);
- la statua della Madonna di Piazza Liberatrice della peste.
Il 18 gennaio 1875 i confratelli della Misericordia trasferirono la loro Madonna di Piazza nella loro chiesa di S. Salvatore. Il popolo ostentò anche questa volta la sua disapprovazione. Sembrava ormai che per la Madonna di Piazza fossero finite le ..peregrinazioni.
Il 18 dicembre 1876 i devoti della Madonna di Piazza presentarono al Magistrato della Misericordia una petizione sottoscritta da 456 capi di famiglia, fra cui 62 iscritti alla Confraternita che era rinata nel 1857.
Nella petizione si chiedeva che la statua della Madonna di Piazza Liberatrice della peste venisse riportata in Collegiata dato che era più frequentata di S. Salvatore.
Il Governatore della Misericordia ribadì il suo NO come aveva già fatto l’anno precedente quando un’analoga richiesta era stata avanzata dall’Opera della Madonna di Piazza.
Il 15 agosto 1878 si svolsero solenni festeggiamenti in onore della Madonna di Piazza. La statua venne portata processionalmente per le vie e nelle chiese del paese dove fece tappa. Fece tappa anche in Collegiata. Al momento di riportarla nella chiesa di S. Salvatore, che si trova a due passi, non si trovò una sola persona disposta a portarcela. Il popolo, visto che in Piazza non ci sarebbe stata più riportata, preferiva averla in Collegiata.
Sette giorni dopo, il 22 agosto 1878, il Magistrato della Misericordia deliberò cosi la propria resa:
“ La statua potete tenerla in Collegiata, ma noi ne siamo e ne rimarremo i legittimi proprietari.”
La Collegiata ha dedicato alla Madonna di Piazza una delle sue 6 cappelle.
Ogni anno, il 14 agosto vi viene celebrata una funzione di ringraziamento in ricordo del terremoto del 1846. A Fucecchio non fu registrata nessuna vittima. E tutti ne attribuirono il merito alla Madonna di Piazza Liberatrice della Peste e del Terremoto.
La Festa della Madonna di Piazza viene celebrata, con processione, la terza domenica di ottobre.
1639 - Convento di S. Caterina e poi di S. Romualdo
Il sacerdote Giovanni Bardini, morto nel 1638, aveva lasciato, per testamento, due case e 6 staiora di terra perché si costruisse un monastero.
Alcuni benefattori aggiunsero altri 800 ducati e, nel giro di un anno, il monastero o convento venne eretto nell’attuale corso Matteotti . Del monastero è rimasto soltanto un braccio del chiostro che noi chiamiamo La Loggetta.
Il convento venne inizialmente intitolato a S. Caterina da Siena mentre l’annessa chiesa venne intitolata a S. Gaetano la cui festa veniva celebrata ogni anno l’8 agosto.
Nel 1639 vi entrarono 11 fanciulle affidate alle cure di due “donne attempate”.
Nel 1645 le suorine chiesero ed ottennero di trasformare il convento in CLAUSURA e di fare, per questo motivo, un muro di cinta.
Nel gennaio del 1684, per interessamento del vescovo di S. Miniato monsignor Corsi, si stabilirono in Fucecchio, nel convento di S. Caterina da Siena, certe monache dell’Ordine di S. Romualdo chiamate religiose monache oblate di pura clausura vescovile.
Erano suore silenziosissime. Si fecero sentire soltanto quando Giovanni Marchiani progettò di costruire nuove abitazioni vicino all’orto del monastero. Quel muro era troppo basso e quindi le oblate sarebbero rimaste esposte alla curiosità degli inquilini delle case che il Marchiani voleva costruire. Le oblate vinsero la causa e il Marchiani dovette rinunciare al suo progetto.
Ai primi di agosto del 1769 il nostro paese venne investito da una tromba d’aria che abbatté il muro di cinta del convento delle oblate.
Le monache, poverissime, erano disperate perché non avevano soldi per far ricostruire quel muro che assicurava loro la clausura. Chiesero aiuto a destra e a manca, ma...
Il Comune fece lo gnorre (finzione di non capire); il clero pure; le clarisse di S. Andrea, ricche sfondate, quasi ne gioirono. E le compagnie laicali che gestivano cospicue rendite?
Soltanto una di queste, la Compagnia della Madonna della Croce che aveva la propria sede sul Poggio Salamartano, stanziò la somma necessaria - 25 scudi - per ricostruire il muro di cinta.
Nel 1783, dopo cento anni di permanenza nel Monastero di S. Caterina, le oblate vennero trasferite nel monastero di S. Salvatore dal quale erano stati evacuati i padri conventuali francescani che vi avevano dimorato dal 1299.
Questo trasferimento si rese necessario perché il monastero di S. Caterina era stato soppresso dal Granduca Leopoldo che aveva concesso alle oblate di rimanere a Fucecchio purché si fossero impegnate ad insegnare a leggere e scrivere alle bambine del paese.
Subito dopo il decreto di soppressione il convento, la chiesa e l’orto delle oblate di S. Romualdo furono messi in vendita.
Appena effettuate le stime, ci fu la corsa all’acquisto dei fabbricati e dell’orto.
I signori Panicacci, rappresentati dall’Operaio (amministratore delegato) Candido Soldaini, riuscirono a prevalere su tutti gli altri offerenti perché si dichiararono disposti ad aumentare del 10 per cento le stime fatte dagli esperti.
Il monastero, la chiesa, e l’orto del monastero di S. Romualdo, già Conservatorio di S. Caterina, furono venduti per 3.170 scudi ad Agostino Panicacci.
Con questi soldi le oblate poterono pagare tutti i debiti da esse contratti e con i restanti 1600 scudi poterono ridurre a clausura il Monastero di S. Salvatore da cui erano stati evacuati i frati neri.
Le oblate rimasero in S. Salvatore soltanto due anni. Dovettero abbandonarlo per incompatibilità con le clarisse di S. Andrea che vi erano state trasferite d’autorità nel 1785.
1639 - Chiesa di S. Gaetano
Questa chiesa era incorporata nel Monastero di S. Caterina eretto per volontà testamentaria nel 1639 in via dei Fossi, l’attuale corso Matteotti, sull’area dove poi venne costruita la Fattoria Ponticelli- Bombicci.
Questa chiesa era intitolata a S. Gaetano la cui festa veniva celebrata solennemente l’8 agosto di ogni anno.
Il Monastero venne soppresso nel 1783 dal granduca lorenese Leopoldo I.
Subito dopo la sua chiusura, avvenuta nel medesimo anno della soppressione, venne venduto al Panicacci Agostino di Fucecchio.
Anche la chiesa di S. Gaetano, incorporata nel Monastero, diventò proprietà dell’acquirente fucecchiese.
1643 - Fattoria Corsini
Il 18 marzo 1643 Bartolomeo e Neri, figli del marchese Filippo Corsini, acquistarono per 70.000 scudi la Fattoria di Fucecchio che apparteneva nominalmente alla Commenda di Altopascio.
L’effettivo proprietario della fattoria, però, era il granduca mediceo Ferdinando II in quanto Maestro dell’Ordine di S. Stefano al quale apparteneva la Commenda di Altopascio.
La Fattoria di Fucecchio, poi Corsini, comprendeva 22 poderi con case coloniche e il palazzo di Fucecchio detto anche casamento.
Il Palazzo, posto al termine di una scalinata a cordoli, guarda con la sua facciata l’attuale piazza Vittorio Veneto e permette l’accesso alla Rocca di Fucecchio.
Nel Palazzo risiedeva il fattore o amministratore dei 22 poderi. All’interno del fabbricato c’era anche l’appartamento dei nobili Corsini.
Gli eredi Corsini hanno rivenduto la fattoria e la Rocca, di cui erano diventati proprietari in virtù di un atto di permuta, ad una società di privati nel 1980.
1643 - Palazzo della Fattoria Corsini
Si trova in piazza Vittorio Veneto e vi si accede tramite la scalinata a cordoli, l’unica, presente in questa piazza.
Questo fabbricato, quando nacque, non faceva parte né della Rocca né, in tempi successivi, della fattoria. Il primitivo fabbricato, ad un solo piano, apparteneva nel 1200 al vescovo Enrico da Fucecchio che lo lasciò in eredità ad Alcherolo dei Rosselmini.
I Rosselmini lo elessero a loro dimora, lo rialzarono e lo allungarono. Esso, a quell’epoca, risultava dotato di un chiostro, di una scalinata che scendeva nella piazza e di una via che immetteva nella Porta Castellana, detta Rosselmini, davanti all’attuale via Lamarmora.
Nel 1416 risulta proprietario del palazzo il fiorentino Iacopo di Tommasino. Sempre nello stesso anno, Simone, fratello di Iacopo, prese in affitto la Rocca, usandola come magazzino. Palazzo e pertinenze acquistarono la fisionomia di fattoria.
Nel 1460 il Palazzo venne acquistato da Giovanni di Cosimo dei Medici. L’edificio venne restaurato e ristrutturato.
Nel 1486 il Palazzo e la fattoria (poderi) vennero ceduti all’Arte del Cambio, che a sua volta li rivendette al Maestro dell’Ospedale di Altopascio che diventò così titolare della Fattoria di Fucecchio.
Nel 1643 il granduca Ferdinando II dei Medici, in qualità di Maestro dell’Ospedale di Altopascio, vendette per 70.000 scudi Palazzo, pertinenze e poderi ai marchesi Corsini. Nel medesimo anno i Corsini ottennero in affitto anche la ROCCA.
Nel 1782 il Comune di Fucecchio diventò proprietario della ROCCA.
Nel 1864, grazie ad un atto di permuta, i principi Corsini diventarono i proprietari della Rocca.
Nel 1981 il comune di Fucecchio ha acquistato il Palazzo con pertinenze e la ROCCA della ex Fattoria Corsini.
1644 - Festa di S. Giovanni Battista
A Fucecchio ci sono due chiese plurisecolari: quella di S. Salvatore e quella di S. Giovanni Battista.
La chiesa di S. Giovanni Battista diventò pieve nel 1088 e Collegiata nel 1771.
E naturalmente tutti gli anni, il 24 giugno, veniva solennemente festeggiato il santo titolare di detta chiesa.
Nel 1330, quando ci sottomettemmo a Firenze, ci impegnammo ad inviare ogni anno al Battistero di Firenze, in occasione della festa di S. Giovanni Battista, un grande cero fiorito.
Un secolo dopo invalse la consuetudine di integrare il dono del cero fiorito con qualche corbello pieno di pesci palustri.
Nel 1565, per ingraziarci il temibile duca di Firenze, Cosimo I de’ Medici, oltre al cero fiorito inviammo, e proprio al duca, due corbelloni contenenti cento tinche, due capretti e un giovane cinghiale.
Nel 1644, con qualche giorno di anticipo, furono mandati a Firenze due barili di pesce marinato in sostituzione del cero fiorito convenuto nei patti di sottomissione del 1330.
Il 24 giugno 1644 il nostro Comune fece spazzare la piazza principale e le strade dove passava la processione.
Al termine della processione, le Compagnie, e prima fra tutte quella di S. Giovanni Battista, offrirono a tutti i mendicanti “ stiacciata e fichi secchi”.
1644 - Cimitero della Compagnia di S. Giovanni Battista
Ogni Compagnia religiosa disponeva non solo di una sede e di una chiesa, ma anche di un cimitero che le assicurava una fonte di entrata non trascurabile.
Il fabbricato che ospitava la sede, la chiesa, l’ospedale ed il cimitero della Compagnia di S. Giovanni Battista (1374-1783) era quello dell’attuale canonica della Collegiata, in piazza Garibaldi.
Non è facile immaginare come fosse il cimitero di detta Compagnia.
Dalla descrizione dei lavori programmati dagli amministratori della Compagnia nel 1644 si evince che da tale cimitero, posto all’interno del fabbricato, si propagava un tal fetore che penetrava non solo in tutto il fabbricato della Compagnia, ma addirittura dentro la vicina Pieve di S. G. Battista (Collegiata), nella chiesa e nel monastero di S. Salvatore che ospitava dal 1299 i padri francescani conventuali e nelle case vicine.
L’8 dicembre 1644 il Priore e gli Operai della Compagnia di S. Giovanni Battista “esposero che per il gran fetore che danno i sepolcri che sono nello spogliatoio dell’Oratorio (chiesa di S. Donnino) di detta Compagnia dove si celebrano li sacrifici per li defunti, è necessario provvedersi con por sopra detto pavimento che è assai basso e umido una VOLTA ma tanto alta che possa entrarvisi per dar sepoltura ai corpi che alla giornata andranno passando all’altra vita e da e da una PORTA da farvi per di fuori ed alzare alla estremità della volta un TAMBURO che porti aria sopra della chiesa e da quello esali il fetore e perciò per fare detta volta è necessario alzare ancora il tetto della chiesa secondo il disegno dei periti...perché è necessario portare via il puzzo interno dove si celebrano li sacrifizi e tale fetore va penetrando ancora sino al convento de RR. Padri Conventuali e alla Chiesa Parrocchiale e a quei vicini non possiamo ricavare due informazioni importantissime circa la destinazione dell’area dell’attuale piazza del Poggio Salamartano. Grandissimo scandalo del Popolo, tanto più che non si vede altro modo di rimediare per altro verso così grave difetto, non essendo bastato raddoppiare i serrami di detti sepolcri”.
Qualche giorno dopo gli Operai decisero “di fare un TRAMEZZO nello SPOGLIATOIO di detta Compagnia affinché resti segregato il luogo dove si celebrano le Messe per i defunti e il luogo do ve si seppelliscono affinché il fetore non apporti fastidio e danno come di presente.”
1647 - Mercato settimanale
Tutti i mercoledì Piazza XX Settembre è gremita di persone che fanno i loro acquisti presso le numerosissime bancarelle che sanno ancora “reggere” la concorrenza dei supermercati, essi pure affollati di clienti.
I nostri amministratori comunali del 1600 dovettero sudare le famose sette camicie per ottenere dal granduca mediceo Ferdinando II il permesso di fare il mercato settimanale.
Il mercato rappresenta una grande opportunità economica per il paese dove lo si effettua: ne traggono vantaggio non solo i compratori ed i venditori, ma anche gli abitanti del paese, ieri più di oggi.
Inutilmente i nostri magistrati aveva chiesto a più riprese ( nel 1604, nel 1626, nel 1639 e nel 1646 ) il permesso di poter effettuare un mercato settimanale a Fucecchio.
Il granduca aveva risposto sempre “picche”. Perché?
Perché gli empolesi non volevano nella maniera più assoluta che anche Fucecchio avesse un mercato settimanale. E per questo esercitavano sul granduca ogni possibile pressione per indurlo a risponderci di no.
E perché gli empolesi non volevano?
Perché temevano che il loro giro di affari ne avrebbe risentito, negativamente.
Non avevano tutti i torti. Sicuramente avrebbero perduto, come clienti, tutti i fucecchiesi che, a piedi o a cavallo, ogni giovedì andavano al mercato settimanale di Empoli.
I fucecchiesi non si diedero per vinti e nel 1647 ritornarono alla carica.
Questa volta il granduca cedette.
Infatti, il 29 maggio 1647 Ferdinando II dei Medici accordò al nostro paese che contava 5.000 anime il permesso di fare il mercato settimanale di mercoledì.
Come contropartita il granduca pretese che fossero aperte due OSTERIE:
- una fuori delle mura, per la via di Santa Croce, doveva disporre anche di camere per alloggiare le persone;
- l’altra, all’interno delle mura, doveva svolgere soltanto il servizio di ristorante.
1648 - Visite pastorali
Quando il vescovo di S. Miniato veniva in visita pastorale, il pievano andava a riceverlo al confine con il BALDACCHINO che era di proprietà dei frati conventuali del Poggio Salamartano. Questo arredo sacro poteva essere dato in prestito soltanto al pievano.
1651 - Lupi delle Cerbaie
Fin dal 1300 i lupi costituirono un pericolo per i pastori delle Cerbaie ed un contendente sgradito per i cacciatori.
I lupi, che forse scendevano dai vicini Appennini, assalivano le greggi dei pastori che affittavano le pasture delle Cerbaie e decimavano la selvaggina presente nei boschi di quelle colline: cinghiali, caprioli, starne, fagiani, quaglie, tortore.
Fin dal 1308 la rubrica 67 del II Libro dello STATUTO assicurava un premio di tre lire per ogni lupo catturato vivo o morto.
Anche nel 1389 i nostri Consiglieri Comunali sollecitarono i nostri cacciatori a fabbricare “lacci” per prendere i lupi e stabilirono un premio in denaro per ogni cucciolo di lupo, di età inferiore ad un anno, catturato od ucciso.
L’ultimo lupo delle Cerbaie sarebbe stato eliminato in località Querce da due cacciatori del granduca Ferdinando II dei Medici nel 1651, dopo che l’animale “aveva ucciso 32 persone”.
La fonte presso la quale l’animale venne abbattuto porta ancor oggi il nome FONTE DEL LUPO.
1652 - Monte di pietà
Il Monte di Pietà è una istituzione di beneficenza mirata a concedere piccoli prestiti a persone povere su pegno di cose mobili.
Se un povero, ad esempio, ha bisogno di 100.000 lire può rivolgersi al Monte di Pietà e chiedergliele in prestito. Il Monte di Pietà gliele anticiperà se il povero gli darà in pegno un oggetto, ad esempio un orologio, il cui valore superi anche se di poco le 100.000 lire.
Quando il povero restituirà le centomila lire potrà riavere il suo orologio.
Nell’ottobre del 1651 piovve moltissimo. Le strade divennero impraticabili per il fango; l’Arno era difficilmente attraversabile con i traghetti dell’epoca. Chi traeva i propri proventi dal commercio ambulante era costretto all’inattività.
I poveri, infine, non potevano raggiungere il Monte di Pietà di Empoli per ottenere qualche piccolo prestito.
L’11 novembre 1651 l’Amministrazione Comunale di Fucecchio, per venire incontro ai bisognosi, deliberò di richiedere al granduca l’istituzione di un Monte di Pietà anche a Fucecchio.
Il 14 novembre vennero mandati alcuni ambasciatori a Firenze per supplicare e convincere il granduca Ferdinando II de’ Medici a concederci il Monte di Pietà. Il granduca, timoroso di recar danno al Monte di Pietà di Empoli, non accolse la richiesta.
Grazie alle insistenze dei nostri amministratori, in data 24 marzo 1652, il granduca concesse anche a Fucecchio il permesso di istituire un Monte di Pietà.
1653 - Consiglio degli Anziani
Con un’ordinanza comunale del 1653 venne ripristinata l’usanza secondo cui il Consiglio degli Anziani doveva riunirsi, pena la multa di 1 lira, non più sotto l’immagine di S. Cristoforo dipinta sulla facciata della Cancelleria (palazzo comunale) bensì sotto la LOGGIA del Palazzo Pretorio davanti all’immagine della Madonna.
Si trattava della riunione con cui i nuovi Anziani prendevano possesso della loro carica previo giuramento di fedeltà allo Statuto comunale.
L’avvicendamento tra vecchi e nuovi anziani doveva avvenire dopo il consueto suono delle campane.
1655 - Scuri e pennati da arrotare: prescrizioni
Gli arrotini esistevano anche nel 1600. I taglialegna, però, per risparmiare la spesa dell’arrotino preferivano provvedere di persona all’arrotatura delle lame dei loro arnesi da taglio. Come? Strofinandole sui bordi di pietra.
I taglialegna di Fucecchio avevano una predilezione particolare per gli scalini di pietra della chiesa della Ferruzza e per i lastroni di pietra che, ad uso sedili, si trovavano sotto l’arcata della torre di Castruccio ad una settantina di centimetri d’altezza dal fondo stradale. Gli scalini e i lastroni della torre di Castruccio venivano consumati in maniera vistosa dai nostri taglialegna.
Il 26 agosto 1655 il Consiglio Comunale corse ai ripari per evitare il consumo precoce delle pietre prese di mira dai nostri boscaioli. In quella seduta il Consiglio Comunale:
- ORDINO’ di rispettare i muriccioli della torre di Castruccio e la scalinata della chiesa della Ferruzza;
- PROIBI’ di arrotarvi scuri, pennati ed altri arnesi da taglio;
- COMMINO’ per i trasgressori una multa di 14 lire che sarebbero state così destinate: 7 lire a chi denunciava i trasgressori e 7 lire al conservatorio di S. Caterina in Corso Matteotti.
1658 - Chiostro e loggia del Convento La Vergine (1658-1660)
Il Convento La Vergine venne ultimato nel 1619, l’anno in cui vi fecero il loro ingresso i frati zoccolanti OFM.
Del chiostro erano stati costruiti soltanto due lati: quello addossato alla chiesa e quello contiguo al convento.
Nel 1638 sui due lati del chiostro vennero innalzate due delle quattro braccia della loggia.
Nel 1658 Pier Giuseppe Rosati lasciò alla comunità francescana 220 scudi da destinarsi al completamento del chiostro.
I lavori di completamento del chiostro vennero portati a termine nel medesimo anno, il 1658.
Due anni dopo venne completata anche la loggia.
OPERE AGGIUNTIVE
Nel 1665 sul retro del lato destro del chiostro - per chi entra - venne addossato un fabbricato dove furono ritagliate tre sale con il soffitto a volta.
Dal 1730 al 1738 il pittore padre Alberico Carlini OFM affrescò le 24 lunette del chiostro dipingendovi altrettanti episodi della vita di S. Francesco d’Assisi.
Padre Alberico affrescò anche, sulle vele delle arcate delle volte, 40 medaglioni che ritraggono altrettanti personaggi illustri dell’Ordine francescano: santi, sante, pontefici, vescovi, l’ultima episcopessa di Fucecchio, la clarissa donna Alessandra Maccarini.
Durante la sua lunga permanenza a Fucecchio, padre Alberico Carlini da Vellano di Pescia affrescò anche, nelle nicchie scavate sui muri esterni della chiesa e del chiostro, le 14 stazioni della Via Crucis.
Il frate pittore dipinse anche tre grandi tele:
- S. Francesco riceve le stimmate;
- Il transito di S. Giuseppe;
- S. Teofilo assiste un moribondo (dipinto nel 1744 e cioè 4 anni dopo la morte del frate santo).
Gli affreschi delle lunette del chiostro vennero “ritoccati” fra il 1881 e il 1882 dal pittore sanminiatese Filippo Prosperi.
Il 20 marzo 1993 si è costituito un comitato per restaurare le 24 lunette e i 40 medaglioni in avanzato stato di degrado.
Il primo presidente del Comitato, il generale della Guardia di Finanza Sergio Cicalini, sempre nel 1993, in prima persona, ha inchiostrato e ripulito le 69 lapidi mortuarie presenti sulle pareti del chiostro. In queste lapidi sono narrate alcune pagine significative della nostra storia locale degli ultimi due secoli.
1665 - Reliquie di S. Candido a Fucecchio
Fucecchio, nel 1665, non aveva ancora un suo patrono. I preti non volevano saperne di patrono perché l’iter burocratico era complicato e soprattutto perché il costo della pratica di richiesta era salatissimo. Il pievano non se la sentiva di imbarcarsi in una simile dispendiosa operazione.
Viveva a Roma il concittadino Niccolao Cicci, abate del monastero di S. Bartolomeo di Cappiano. In un suo viaggio a Fucecchio, all’inizio del 1665, riuscì a convincere il Consiglio Comunale che quello sarebbe stato l’anno propizio per ottenere dalla Santa Sede un Patrono. Il Cicci fece anche presente che il pievano non avrebbe mosso nemmeno un dito per avanzare la richiesta di un patrono perché la Pieve navigava finanziariamente in cattive acque. Il Gonfaloniere capì a volo l’antifona e promise all’abate Niccolao che avrebbe fatto di tutto per convincere il Consiglio Comunale ad addossarsi tutte le spese necessarie per dotare il comune di Fucecchio di un patrono.
Il Consiglio Comunale deliberò di assumersi il patrocinio di tutta l’operazione.
La pratica venne subito inoltrata e il suo iter, grazie ai buoni uffici interposti dall’abate Cicci, fu estremamente rapido.
Il 16 aprile 1665 il cardinale Caraffa consegnò all’abate Cicci lo scheletro ed un vaso di sangue di S. Candido che fu proclamato patrono di Fucecchio da papa Alessandro VII.
Poiché la festa di S. Candido cade il 3 ottobre, bisognava organizzare il trasporto delle reliquie (scheletro e vaso di sangue) in maniera che queste ultime giungessero a Fucecchio nelle prime ore del 3 ottobre.
Le reliquie di S. Candido, spedite via mare, giunsero al porto di Saettino alle ore zero e qualche minuto del 3 ottobre.
Ad attendere le reliquie del santo martire, nostro Patrono, c’era tutto il popolo “con la maggiore allegrezza che abbia mai avuto questa terra.”
Il popolo andò incontro alle reliquie con 200 torce accese e le accompagnò fino all’Osteria. Dall’Osteria in poi, tutte le finestre erano illuminate “e non vi era finestra che non vi fossero due lumi. Di traverso alle strade, vi erano luminarie e palloncini di più sorte accesi fino alla casa dei poveri di modo che non si potevano numerare perché erano di molte migliaia”.
Poi ci fu la processione, che stazionò presso tutte le chiese, e al termine ci furono le “ scariche di mortaretti, razzi e fuochi “ fino alle 4 di mattina, l’ora in cui le reliquie del santo entrarono nella pieve di S. Giovanni (Collegiata) dove rimasero esposte per 3 giorni.
Durante questi tre giorni vennero in processione i popoli vicini di Cerreto Guidi, di Galleno e persino di Empoli “ e questa fu la prima festa che si fece di questo glorioso santo e piaccia a Dio che sia sempre nostro protettore.”
1667 - Muro castellano del Poggio Salamartano
All’inizio del 1600 resisteva ancora, a Fucecchio, un tratto della seconda cinta muraria che a partire dal 1200 aveva protetto il Castello Vecchio di Fucecchio. Il tratto era quello che ancor oggi sorregge la piazza del Poggio Salamartano. Esso assunse la forma che ancor oggi possiamo ammirare nel 1667.
Questo tratto di muro castellano, prima del 1667, crollava continuamente.
Era stato ricostruito nel 1602, ma già nel 1661 era crollato “per non aver avuto buoni fondamenti.”
Nel 1666 si provvide a realizzare un consolidamento definitivo.
Lungo le 160 braccia di muro furono costruiti 18 piloni in muratura (contrafforti) larghi braccia 2,5 e lunghi braccia 5,5.
“Acciocché l’acqua del Poggio Salamartano non possa andare verso il muro vennero fatti 6 od 8 braccia di lastricato.”
Vennero spesi 600 scudi
Ma da allora questo tratto di muro castellano sopravvissuto non è più crollato.