Periodi di pesca nel Lago di Fucecchio (1500-1600)
Nei primi quattro mesi dell’anno si poteva pescare, ma dovevano essere usate le reti perché in questo primo quadrimestre andavano in frega prima i lucci, poi le scarbate ed infine le tinche.
Il pesce pescato in questo quadrimestre veniva conservato nei vivai per poter essere usato durante la Quaresima e la Pasqua.
L’unico mese in cui non doveva essere assolutamente praticata la pesca era quello di MAGGIO.
Nel mese di giugno si doveva pescare con gli ami e non dovevano essere messe nel Lago più di 10 barche. In ogni barca vi erano due pescatori.
Dopo la Festa di S. Giovanni del 24 giugno nel Lago dovevano operare soltanto 6 barche.
Dopo il 20 agosto potevano essere immesse nel Lago 16 barche.
A partire dal 10 settembre dovevano pescare, a lima, soltanto 10 barche.
Ottobre e novembre erano i mesi favorevoli per la pesca delle tinche e dei lucci. La pesca delle tinche e dei lucci poteva protrarsi fino al 15 dicembre. Dopo questa data i lucci vanno in frega mentre le tinche si rintanano nel fango.
1551 - Morte del Tribolo (architetto Niccolò Piccoli)
Nel 1551, prima che il Lago di Fucecchio fosse finito, i contadini che abitavano lungo l’attuale viale Colombo, per poter salvare i campi che si trovavano al di là dell’argine esistente, chiesero ed ottennero dal granduca Cosimo I la costruzione di un altro argine parallelo a quello esistente.
Il duca affidò l’incarico per la costruzione del nuovo argine all’architetto del ponte di Cappiano, il Tribolo, al secolo Niccolò Piccoli.
Un pescatore di Cerreto, certo Berrettone, seguiva con molta attenzione l’erezione dell’argine scuotendo continuamente la testa in segno di disapprovazione.
Un giorno Berrettone incrociò il duca che era venuto ad ispezionare i lavori in corso e gli disse:
- Maestà, quest’argine non reggerà alla forza delle acque del Lago. Di sicuro franerà.
Il duca, seccato, non dette ascolto a Berrettone e proseguì il suo giro di ispezione.
Non appena arrivò l’acqua del Lago, spinta da un forte vento di tramontana, l’argine franò e i contadini perdettero tutti quei campi che avevano tentato di salvare con quell’argine aggiuntivo.
Il Tribolo ne provò un dispiacere talmente intenso che morì di crepacuore.
1551 - Lago di Fucecchio: il contrabbando
La parola contrabbando significa andare contro il bando. E la parola bando significa disposizione di legge e cioè comando, ordine, prescrizione tassativa.
A partire dal 1551, l’anno in cui venne inaugurato il Lago, fu ripristinata l’attività della PESCA.
Il duca Cosimo I, prima di dare il via a questa attività, emise un BANDO.
Il bando ordinava a tutti i pescatori di vendere il pesce pescato all’incaricato del duca, che tutti potevano trovare nel palazzo di Fattoria incorporato al ponte di Cappiano, e non ai pesciaioli (venditori di pesce).
Con l’esecuzione di questo bando il duca si sarebbe assicurato due entrate per ogni pesce pescato:
- il pescatore avrebbe dovuto pagare una piccola imposta all’incaricato del duca a cui doveva vendere il pesce;
- il pesciaiolo, obbligato a comprare il pesce pescato presso l’incaricato del duca, avrebbe dovuto pagarci il plus valore.
I pescatori ignorarono impunemente il bando.
Non essendo stato istituito un servizio di vigilanza, i pescatori portavano una piccola quantità di pescato alla Fattoria di Cappiano e vendevano l’altra ai pesciaioli piazzati in prossimità di Stabbia o di Montecatini.
1555 - La capitolazione di Siena: festeggiamenti
Le popolazioni ridotte allo stato di sudditanza festeggiano sempre i.. vincitori, da qualunque parte essi stiano.
Qualche anno prima, nel 1527, avevamo rumorosamente festeggiato la restaurazione della Repubblica Fiorentina.
Nel 1555 festeggiammo invece la vittoria riportata da Cosimo I de’ Medici, con l’aiuto dell’imperatore Carlo V di Spagna, su Siena dove avevano trovato rifugio gli ultimi partigiani della Repubblica di Firenze.
Fucecchio festeggiò la capitolazione di Siena con le consuete luminarie. E per rendere più baldanzosi i festeggiamenti avocò a sé dei meriti particolari sulla fine della repubblica senese.
Il comandante della nostra guarnigione, Giovanni di Grazia, era riuscito a catturare alcune spie senesi. Egli riuscì ad estorcere a quelle spie la rivelazione del piano strategico di Siena per l’occupazione della lucchesia. E grazie a questa estorsione, l’esercito di Cosimo I era riuscito a vanificare la manovra diversiva dell’esercito senese.
Soltanto due anni dopo, nel 1557, il nuovo imperatore spagnolo Filippo II cedette ai Medici la Repubblica di Siena.
Filippo II si tenne per sé Orbetello, Talamone, Porto Ercole, Monte Argentario e S. Stefano che formarono lo Stato dei Presìdi.
1556 - Visita pastorale a Massarella
Nella mattinata di domenica 1° marzo 1556 giunse a Massarella il Vicario del vescovo di Pistoia in visita pastorale.
Il vescovo monsignor Pier Francesco da Galliano, a seguito di denunce sul grave stato di irregolarità e di abbandono in cui si trovava la pieve di Massarella, vi mandò in visita il suo Vicario, il reverendo Pietro Bordoni da Ravenna.
Quando il vicario giunse a Massarella, la porta della chiesa era aperta e senza serratura; nell’aula della chiesa, priva di pavimento, vi erano un mucchio di sassi e uno di lino. Sull’altare vi era una pala in cui erano dipinti la Vergine con il Bambino, S. Pietro con le chiavi (a destra) e S. Giovanni Evangelista con l’aquila ai piedi (a sinistra). La porticina del tabernacolo , vuoto, era aperta e senza serratura. Sull’altare vi erano una croce di rame o di ottone, due candelieri spaiati e una pace lignea dipinta.
In sagrestia c’era una cassapanca aperta e senza serratura, un camice, un amitto, una stola, una pianeta turchina, un catecumeno (libretto) nuovo ed uno vecchio ed un piccolo messale.
Il fonte battesimale, sul lato sinistro della chiesa, era chiuso: la chiave era dentro il tabernacolo aperto.
Dopo aver effettuato questa ricognizione, il Vicario interrogò il pievano di Massarella, prete Giovanni di Ser Luca da Galleno.
Dal colloquio e dall’atto di comparizione del pievano presso il vescovado di Pistoia risultò che prete Giovanni non aveva ricevuto l’ordinazione sacerdotale: aveva ricevuto soltanto gli ordini minori da un Vescovo di passaggio a Fucecchio. Appena ottenuta l’investitura della pieve di Massarella aveva affidato al padre l’incarico di amministrare il “podere della pieve” ed aveva affidato il servizio religioso ad un CAPPELLANO a cui corrispondeva uno stipendio.
Il cappellano era don Alessandro di Berto da Fucecchio. Questi teneva il calice ed il corporale e celebrava la Messa ogni tre settimane.
Venne interrogato sotto giuramento anche il Cappellano don Alessandro.
Il Cappellano raccontò che cominciò ad officiare nella chiesa di Massarella sin dal 1540, anno della sua ordinazione sacerdotale. Per 14 anni aveva celebrato la Messa a Massarella ogni due settimane. Poi per controversie con il pievano aveva abbandonato questo servizio. Volontariamente era venuto a celebrare la Messa il secondo giorno di Pasqua.
Il Cappellano rivelò che le anime da Comunione erano 30, ma che quattro anni prima erano 120 perché la parrocchia si estendeva fino al Rio Ramoni.
Della piccola comunità massigiana furono interrogate 5 persone: Battista di Menico Donati, Lazzaro di Domenico Buschini, Michele di Iacopo Masi, Luigi Benedetti e Maria moglie di Lando di Betto Malaschi
I cinque rivelarono che il pievano era corrotto e dedito al gioco delle carte e che il lavoratore della chiesa, Sandro di Lampaggio, usava la chiesa come ovile per castroni ed agnelli. In due anni erano state celebrate soltanto 6 messe. Molti massigiani erano morti senza ricevere né confessione né Comunione né Estrema Unzione.
Il Vicario, a sera, prima di ripartire per Pistoia, ordinò al pievano e al cappellano di presentarsi al Palazzo Vescovile di Pistoia e di provvedere ad un regolare servizio religioso per la ormai prossima Settimana Santa.
Il pievano si presentò a Pistoia. Su ordine del Bargello di Pistoia il pievano venne catturato a Fucecchio il 10 aprile 1556 e rinchiuso nelle Stinche di Pistoia. Vi rimase però soltanto una decina di giorni. Pistoia non poteva far valere i suoi codici su cittadini di Fucecchio.
Da non dimenticare che nel 1556 era in corso di svolgimento il Concilio di Trento (1545-1563) che avrebbe moralizzato e riformato l’Ecclesia.
1557 - Siena sotto Firenze
Fra il 1521 e il 1544 furono combattute 4 guerre di predominio, sull’Italia, fra l’imperatore di Spagna ed Austria Carlo V ed il re di Francia Francesco I.
Altalenanti furono le sorti di Firenze e di Siena.
A conclusione della seconda guerra (1526-1529) e precisamente dopo il Congresso di Bologna (1530) che vide Carlo V incoronato imperatore e re d’Italia, la Repubblica di Firenze, dopo 10 anni di resistenza, venne proclamata DUCATO ed affidata ad Alessandro dei Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico. I fuorusciti repubblicani fiorentini si rifugiarono nell’ultimo baluardo repubblicano della Toscana: Siena.
Nel corso di una quinta guerra tra Francia ed Impero spagnolo, (1552-1556) la Repubblica di Siena venne conquistata dalle armi di Carlo V imperatore e da quelle del Duca di Firenze Cosimo I.
Nel 1557, mentre era in corso una sesta guerra tra la Francia di Enrico II e la Spagna dell’imperatore Filippo II, la Repubblica di Siena fu ceduta dall’imperatore spagnolo al Ducato di Firenze.
Il 15 agosto 1557 il mazziere di Cosimo I de’ Medici portò a Fucecchio la notizia che Siena era stata concessa in feudo, da Filippo II di Spagna imperatore, al nostro duca di Firenze. I fucecchiesi che avevano sempre parteggiato per la Casa Medici, partecipando al suo fianco all’assedio di Empoli, fecero festa e in “segno d’allegrezza” bruciarono cinque some di stipa (paglia e sterpaglie).
1559 - Demolizione di mura e torri
L’invenzione delle armi da fuoco e l’assetto prima ducale e poi granducale della Toscana resero praticamente inutili le mura che recintavano Fucecchio e le torri che a guisa di sentinelle si ergevano o lungo la cinta muraria o all’interno del paese-castello.
Fra il 1559 ed il 1575 venne avviata la colossale opera di demolizione di mura e di torri che ormai non erano più utilizzabili per usi militari.
Nel 1566 le clarisse del monastero di S. Andrea posto nell’attuale piazza dell’ospedale, senza chiedere nessun permesso, fecero demolire alcuni tratti di mura in rovina lungo il lato perimetrale che va Porta Valdarnese a via della Greppa. Con questa operazione, le monache riuscirono a recuperare alcune migliaia di mattoni che vennero utilizzati per costruire un granaio ed una tinaia.
Anche il nostro Comune, previa licenza granducale, demolì mura e torri. E con i laterizi recuperati fece ammattonare la strada maestra del paese formata da via Donateschi, via Borgo Valori, largo piazza Vittorio Veneto, via S. Giovanni, via S. Giorgio e via Castruccio. Inoltre, sempre con il materiale di recupero, il Comune rifece ex novo la Sala delle riunioni del Consiglio.
1560? - Lago di Fucecchio affittato
Dopo l’incredibile disastro provocato dalle acque del Lago di Fucecchio andate in putrefazione, i Medici lo diedero in affitto ad Agnol Giannini di Empoli.
Il canone annuo di affitto era pari a 2080 scudi. Il Giannini affidò la conduzione del Lago a due esperti pescatori di Fucecchio.
Questa conduzione, apparentemente anomala, consentì al Giannini di recuperare i 2080 scudi per il pagamento del canone e altri 2.000 scudi, tutti di guadagno.
Il Giannini, convinto di aver appreso tutti gli espedienti messi in atto dai due pescatori fucecchiesi e desiderosi di aumentare il proprio guadagno, li licenziò su due piedi.
Il licenziamento si rivelò fallimentare.
Il povero Giannini non riuscì a raggranellare nemmeno i 2080 scudi necessari per pagare il canone di affitto.
Ci rimise un’ingente somma.
Dispiaciuto per aver dissanguato il proprio patrimonio familiare, morì, di lì a poco, di crepacuore.
1560 - Licenziamenti agricoli: modalità
I proprietari terrieri avevano il diritto di licenziare i loro contadini, ma dovevano rispettare scrupolosamente le norme previste dallo STATUTO comunale del 1560.
Secondo questo Statuto, i padroni dei terreni potevano licenziare i loro affittuari o mezzadri soltanto nel mese di AGOSTO, previo bando pubblico, con notifica del notaro e licenza del Podestà.
I nuovi coloni potevano “entrare” nei poderi e nelle rispettive case coloniche soltanto nel mese di gennaio per non recar danno ai licenziati.
Anche i contadini avevano il diritto di auto-licenziarsi, ma soltanto nel mese di agosto secondo le medesime modalità previste per i proprietari terrieri.
Coloro che si auto-licenziavano, però, dovevano abbandonare subito il podere perché lo Statuto prevedeva che i nuovi agricoltori dovevano entrare nel podere a SETTEMBRE.
1567 - Mura castellane smontate ed utilizzate
L’invenzione delle armi da fuoco aveva reso inutili mura e torri. Il loro spessore non avrebbe opposto nessuna resistenza alle cannonate.
Perché dunque tenere in vita le mura castellane e le torri?
I loro mattoni potevano essere recuperati e riutilizzati per altre opere edili.
Un ragionamento del genere sicuramente venne fatto dalle monache di S. Andrea (piazza dell’Ospedale) nel 1567. Siccome dovevano costruire un granaio e una tinaia, le brave monache ingiunsero all’impresa costruttrice di prelevare tutti i mattoni necessari dal muro castellano in rovina che passava a pochi metri di distanza dal loro convento.
Il Comune di Fucecchio, di fronte ad una simile operazione, non poté impugnare nessun regolamento perché nei suoi statuti non era contemplato il reato di smantellamento delle mura castellane.
I nostri amministratori comunali chiesero l’intervento del Magistrato dei Nove di Firenze. Quando i Nove intervennero, il granaio e la tinaia delle monache di S. Andrea erano già pronti.
1568 - Lago di Fucecchio: eventi
Il 25 ottobre 1568 il granduca Cosimo I donò il Lago di Fucecchio al suo secondogenito don Pietro Medici.
Don Pietro non ebbe cura del Lago perché preferiva soggiornare in Spagna anziché a Firenze.
Il lago cominciò ad andare in malora. Don Pietro lo seppe e, per evitare un altro disastro, affittò il Lago al fratello Francesco diventato nel frattempo granduca di Toscana.
Le cose però non migliorarono quasi per niente perché i Ministri a cui il granduca aveva affidato la gestione del Lago cambiavano continuamente i Regolamenti.
Inoltre gli interessi del granduca Francesco I, grande amante della CACCIA, erano rivolti esclusivamente alla salvaguardia dei boschi che circondavano il Padule. A riprova di ciò, il granduca acquistò per la propria famiglia i boschi di Cerreto Guidi e di Castelmartini e molti terreni in quel di Larciano.
Il secondo granduca della Toscana, per ottenere altri terreni coltivabili nel bacino del Padule, in dispregio al divieto fissato a perenne memoria sulle lapidi marmoree di Cappiano, fece abbassare alquanto la pescaia.
Per evitare poi conflitti legali fece segnare i confini oltre i quali l’acqua del Lago non doveva andare. I proprietari confinanti, insoddisfatti, protestarono.
Il granduca Francesco I, allora, il 10 dicembre 1589 incaricò Benedetto Uguccioni, assistito da tre Magistrati, di riesaminare la situazione e di far scavare sulla linea di confine un FOSSETTO largo mezzo metro e profondo altrettanto. E decretò che tutto il terreno che si trovava tra il fossetto e il Lago era di sua proprietà.
Siccome le proteste non si placavano, il granduca fece rialzare di un braccio la pescaia e quando l’acqua del lago raggiunse il livello del nuovo sbarramento rifece segnare i confini prima con un fossetto e poi con COLONNE di pietra di Larciano.
Successivamente vennero accolte due proposte del Ceseri Frullani, fattore del granduca:
1- I terreni emersi tra il fossetto e il Lago dovevano essere appoderati e affittati a quelle persone che nel volgere di 4 mesi vi avessero costruito una capanna lunga 7 metri e larga 5. Ad ogni affittuario sarebbe stato corrisposto un prestito di 28 lire e gli sarebbe stata data licenza di utilizzare gratuitamente biodo, cannelle, pattume e ontani. Nell’arco di 6 mesi furono affittati 60 poderi.
2- Per realizzare nuove colmate (nuovi terreni) dovevano essere deviate le foci degli immissari del Lago: la Pescia, il Nievole, il Vincio, lo Stanipescio e la Borra.
Mura castellane in rovina - 1569
Dal 1500 al 1600 le mura castellane sparirono nel senso letterale della parola.
Nessuno si prese cura di disegnarne almeno i lati perimetrali, di trasmetterci le misure della loro altezza e del loro spessore.
Siccome dopo l’invenzione delle armi da fuoco le mura non servivano più a niente, esse non furono più sottoposte a nessuna opera di manutenzione. E senza la manutenzione nel volgere di pochissimi anni le mura cominciarono ad andare in rovina.
Con il pretesto della “rovina” era facile ottenere il permesso di prelevare dalle mura castellane in rovina un cospicuo numero di mattoni da destinarsi ad opere murarie di pubblica utilità.
I frati e le monache attinsero a larghe mani dalle “mura in rovina”.
A questo punto, anche il nostro Comune non volle rimanere secondo a nessuno.
Con i mattoni delle mura ammattonò tutte queste vie: di via Donateschi, Borgo Valori, largo piazza Vittorio Veneto, via S. Giovanni, via S. Giorgio e via Castruccio.
Non ancora pienamente soddisfatto, il nostro Comune, il 18 gennaio 1569, chiese ed ottenne dal duca Cosimo I dei Medici la licenza di servirsi di cinque o seimila mattoni delle mura per riparare la stanza del Consiglio Comunale.
Analoga operazione venne compiuta nel 1588 per risistemare sia la Cancelleria (palazzo comunale) sia il Palazzo Pretorio.
1569 - Possedimenti della Famiglia Orlandi
La famiglia Orlandi, originaria di Pescia, subito dopo il 1500, quando il comune di Fucecchio concesse a prezzo di favore i poderi delle varie frazioni, acquistò quasi tutti quelli che formavano la frazione di Torre, rimasta disabitata dal 1335 a causa delle reiterate distruzioni di Castruccio Castracani e delle epidemie di peste che l’avevano colpita subito dopo il 1330.
La famiglia Orlandi ingrandì ulteriormente i suoi possedimenti in quel di Torre il 22 novembre 1569 quando il rettore dell’abbazia di S. Bartolomeo di Cappiano, dalla quale dipendeva la chiesa di S. Gregorio di Torre, dette a livello al cav. Michelangelo Orlandi e alla sua discendenza maschile il podere circostante la detta chiesa.
Gli Orlandi, allora, si costruirono un palazzotto rurale sul retro della chiesa. Il palazzotto incorporò l’antica torre del comune rurale di Torre.
Nel 1635 il vescovo di S. Miniato concesse agli Orlandi il diritto di presentare alla curia vescovile i nuovi parroci i quali, però, non mostrarono mai un grande interesse per questa parrocchia.
La parrocchia di Torre rimase molte volte vacante.
La discendenza maschile degli Orlandi si estinse poco prima che il vescovo emanasse, in data 7 giugno 1732, il decreto con cui veniva definitivamente risolto il problema della cura o parrocchia di S. Gregorio.