Parte 4 - STORIA DELLA CORALE DI S. CECILIA - FUCECCHIO - di Mario Catastini a cura di Giacomo Pierozzi

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LA CORALE FUCECCHIESE DENOMINATA S. CECILIA
> parte 4 <



La corale alla inaugurazione dell’acquedotto civico di Fucecchio nel 1938

Il nostro paese non era dotato di una rete idrica. I paesani si approvvigionavano d'acqua alle "pompe" - così venivano chiamate le fontane dislocate opportunamente in quasi tutte le vie e nelle piazze.
Queste fontane erano collegate tramite pompe aspiranti ai molti pozzi che fin dal medioevo avevano assicurato l'approvvigionamento idrico ai nostri antenati.
Nel 1927 il nostro Consiglio Comunale incaricò gli ingegneri Giuseppe Marrucchi e Mario Lotti di progettare un acquedotto civico per il capoluogo. Nel corso del medesimo anno il progetto venne presentato, discusso ed approvato.
L'esecuzione del progetto, però, veniva sempre rimandata.
Nel 1937, finalmente, il progetto venne reso esecutivo. Cominciarono così i lavori per la realizzazione dell'acquedotto civico.
Vennero costruite due centrali: una in prossimità del ponte sull'Arno e una nell'angolo destro della piazza dell'ospedale S. Pietro Igneo.
Nella centrale situata in prossimità del ponte l'acqua prelevata direttamente dall'Arno, veniva depurata e poi spinta nella centrale della piazza dell'ospedale. Dalla centrale della piazza dell'ospedale l'acqua veniva immessa nella rete idrica dell'acquedotto.
Sul finire della primavera del 1938 l'acquedotto era pronto.
In questa occasione venne montata nell'area compresa fra il Teatro Pacini e l'attuale caserma dei carabinieri una vasca dalla quale, al momento dell'inaugurazione dell'acquedotto, zampillò acqua colorata.
La cerimonia dell'inaugurazione fu grandiosa.
Un corteo lunghissimo partito dalla piazza dell’ospedale e a cui presero parte tutte le autorità locali e il "federale" di Firenze Ricciardo Ricciardi con un codazzo di capi e sottocapi fascisti si snodò per le vie del paese e si concluse in piazza G. Montanelli dove vennero pronunciati solenni discorsi di circostanza. A quel corteo presero parte la Filarmonica fucecchiese, il corpo dei giovani moschettieri della scuola elementare del nostro paese e la Corale S. Cecilia mascherata sotto il nome di Coro Fucecchiese della GIL. Egisto aveva dovuto sudare le sette classiche camicie per ottenere la tessera del Partito Nazionale Fascista per potersi fregiare di una divisa consona a quella cerimonia: stivali neri, pantaloni bianchi e camicia nera. Fu quella una giornata campale per la nostra corale. Essa doveva esibirsi ogni volta che il corteo sostava. Il repertorio era costituito tutto quanto dai canti del Regime fascista: “Sole che sorgi libero e giocondo”, “Giovinezza, giovinezza”, “Per il duce e per l’Impero eia eia alalà” “Noi siam le fiamme nere del battaglion d’assalto”. Nel pomeriggio, poi, dovettero prendere parte al Concorso regionale delle corali della GIL. La corale di Egisto si classificò al primo posto. Il secondo posto fu conquistato dal coro GIL di Ponte a Cappiano, esso pure diretto dal nostro Egisto Donati. Giornata trionfale?
Apparentemente , sì.
La premiazione di questo Concorso venne effettuata quattro anni dopo, nel 1942, a Firenze, nel corso della Seconda Guerra Mondiale (1939-1945) a cui aveva preso parte anche l’Italia a partire dal 10 giugno 1940.
Questa Seconda guerra segnò lo sfascio della S. Cecilia, Quasi tutti i suoi componenti erano stati richiamati sotto le armi.
Due anni dopo, nell’estate del 1944 Fucecchio si trovò per lunghissimi quaranta giorni sulla linea del fronte. Fucecchio conobbe perciò anche la guerra. I fucecchiesi , il 21 luglio 1944, dovettero abbandonare il paese e sfollare nelle campagne. Egisto e la sua famiglia sfollarono nella casa colonica di Pietro Sollazzi. I Sollazzi furono oltremodo lieti di ospitare anche i Donati, dato che proprio Egisto aveva preparato privatamente il loro Pietro, ormai sedicenne, ad affrontare l’esame di ammissione alla terza classe della Scuola di Avviamento Professionale Landini Marchiani.
Fucecchio, semidistrutto, venne liberato dagli Alleati il 1° settembre 1944. La guerra, in Italia, finì nell’aprile del 1945 e poco dopo anche in europea e soltanto nell’agosto nel mondo intero. Subito dopo la ricostruzione degli edifici abbattuti e danneggiati ed appena furono riprese le attività produttive, i Fucecchiesi, che nel frattempo si erano convertiti in massa al Comunismo, furono pervasi da una scoppiettante frenesia. Nacquero come funghi orchestrine e compagnie teatrali di varietà. Egisto non stette a guardare. Capì che non sarebbe stato quello il momento di ricomporre la S. Cecilia, e lui pure si tuffò nelle acque dello spettacolo.
E fu una scelta felice.


1950: una pagina nuova nella storia della Corale S. Cecilia

Egisto, memore degli spettacoli che aveva allestito in seminario diede vita ad una filodrammatica parrocchiale e produsse una operetta intitolata “Ma chi è?” La realizzazione di questa operetta gli permise di recuperare tutti i coristi sopravvissuti alla guerra, ai campi di sterminio (come Beppino Donati, fratello di Egisto) e a quelli di prigionia. I protagonisti di quell’operetta furono Aldemaro Rossetti (tenore conosciutissimo con il soprannome Pistola) e Telempio (Ferri ) basso, nelle vesti di sindaco. Il successo riscosso da questa rappresentazione canora fu davvero notevole.
E dopo il successo, Egisto Donati, un autentico factotum, così arringò i suoi ex coristi.
-Leggo sui vostri volti i segni della gioia per il successo riscosso. Ma io sono sicuro che ben altri successi ci attenderebbero se ridessimo vita alla nostra Corale. Ora vi annuncio qualche interessante novità. Entreranno a far parte della nostra corale le voci femminili delle soprano e delle contralto. Empoli è disposta a fondersi con noi tutte le volte che programmeremo l’esecuzione della Messa Pontificalis.
I coristi empolesi verrebbero a Fucecchio ed in altre località; e noi dovremmo andare ad Empoli quando anche lì verrà eseguita la Pontificalis. Con l’ingresso delle donne amplieremo il nostro repertorio. Oltre al pranzo annuale in occasione della ricorrenza di S. Cecilia, organizzeremo delle gite in Toscana ed anche fuori della Toscana. Se siete d’accordo, martedì faremo la prima prova con le donne nella palestra della scuola del Piazzale. Se c’è qualcuno che non se la sente di farne parte me lo dica subito alzando la mano.
Soltanto due coristi alzarono la mano.
Dopo alcuni mesi di prove la corale S. Cecilia era di nuovo pronta per il decollo.
I fedeli che assistettero alla Messa notturna del Natale 1949 non riuscirono, al momento dell’uscita, a frenare il loro stupore. Egisto aveva fatto ancora una volta centro.
Si diffuse subito in diocesi la notizia del successo strepitoso della corale mista fucecchiese. Piovvero gli inviti dalle parrocchie vicine ed anche da Empoli.
Collodi fu la prima meta delle gite turistiche della corale. La presenza delle ragazze costituì una potente calamita per il reperimento di voci maschili. Faceva parte del gruppo delle contralto una ragazza bellissima e dalla voce d’oro. Era fidanzata con uno dei giovani più belli del nostro paese: laureato in farmacologia, atleta di primo piano del nostro gruppo fucecchiese, membro di una famiglia , la Taddei, rinomata nella parrocchia delle Vedute e resa famosa dalle sorelle di questo giovane, moro, capelli neri e ricciuti. Le sorelle Taddei erano le regine dei palcoscenici di Fucecchio: erano due autentiche attrici teatrali.
Ebbene anche Carlo Taddei, fidanzato della bellissima Baldacci, per poter stare vicino alla sua fidanzata si iscrisse al corale che si arricchì di una ulteriore voce tenorile.



1952: primo matrimonio in seno alla corale S. Cecilia

Egisto aveva saputo che la coppia più bella di Fucecchio, presente nella sua corale, si sarebbe sposata l’indomani mattina. Si recò subito a casa di Don Giuseppe e gli disse:
-Domattina si sposeranno Carlo Taddei e Anna Maria Baldacci, due nostri coristi. Tu con l’organo devi sonargli la marcia nuziale sia quando entrano che quando escono dalla chiesa. Ne rimarranno sicuramente sorpresi. Io e Olintino accompagneremo Stefano Panconi che canterà per loro l’Ave Maria di Schubert.
-Se lo meritano – commentò don Giuseppe.
Don Palmiro Ghimenti, il priorino, quella mattina in grande spolvero, fece stendere dal Alfredo Mariotti, il sagrestano, una guida rosso amaranto dalla porta della chiesa all’inginocchiatoio dei due sposi. I familiari della sposa e dello sposo si presentarono in chiesa con abiti molto eleganti. Le sorelle di Carlo sembravano due principesse.
Carlo non vedeva l’ora che tutto finisse per fuggire con la sua adorata sposa. Per lui il giorno del matrimonio significava ed avrebbe significato per sempre il giorno dell’addio. Anna Maria costituiva per lui l’incarnazione della felicità. Non voleva dividerla più né con la di lei famiglia, né con la sua e nemmeno con la corale.
I due sposi sarebbero andati a vivere a Santa Croce dove Carlo aveva già cominciato ad esercitare la sua professione di farmacista.
Al termine della cerimonia Carlo ed Anna Maria si felicitarono con Stefano Panconi, con Egisto, Don Giuseppe ed Olintino Bagnoli. Poi Carlo, senza usare tante perifrasi, rivolto a Egisto, disse:
-La nostra storia con la Corale è finita.
Egisto non voleva crederci. Anna Maria chinò la testa e sussurrò:
-Sarà proprio così.
Egisto non seppe trattenere le lacrime.


Alcuni coristi erano dei personaggi autentici

Quella sera il corista Beppe Ghimenti uscì di casa per recarsi alla prova della corale. Era molto contrariato. Sputò più volte per terra esclamando ogni volta:
- Iboia!
Il caffè che gli aveva preparato sua moglie doveva essere stato molto disgustoso.
-Meglio che vada ad ammazzarlo da Torello di Ciuce.
Entrò nella taverna di Torello all’imbocco di via Donateschi ed ordinò due mezzini di vino rosso per ammazzare quel caffè che l’aveva tanto disgustato. Poi:
-Dammi altri due ammazzacaffè, Torello.
-Bianco o rosso?
-Rosso.
Dopo aver bevuto questi altri due mezzini di vino, Beppe scese in piazza Montanelli e si portò al bancone del bar di Paolo Costagli.
Mentre stava per ordinare, entrò Egisto Donati, vide Beppe Ghimenti e gli chiese :
-Posso ordinarlo anche per te un caffè, Beppe?
-Ma che scherzi, Egisto? Io voglio bere soltanto altri due ammazzacaffè, di quello rosso.
Paolo capì a volo e gli servì due mezzini di vino che Beppe volle pagare di tasca sua.
Insieme, Beppe ed Egisto andarono alla prova della corale.
Davanti al cancello c’era ad attenderli Coccolo, Oris Sgherri.
-Bravo! – gli disse Egisto – tu arrivi sempre per primo.
-Io con la corale non ci ho mai scherzato. Ne sa qualcosa mia moglie.
-Come sarebbe a dire? – gli chiese Egisto.
-Quando Ciuce e tuo padre, al tempo della Schola cantorum, vennero a trovarmi a casa della mia fidanzata per chiedermi se volevo farne parte anch’io come “basso”, non solo gli risposi di sì, ma saputo che loro andavano alla prova, piantai in asso la mia fidanzata e mi recai con loro a cantare nella sede dei Coronati. Due sere dopo, quando ritornai a casa della fidanzata, lei mi brontolò:
-Ieri l’altro sera hai dato più importanza alla Corale che a me. Ché non succeda più, eh, Oris.
Ed io di rimando, lo sapete che cosa gli dissi?
-Cosa? – chiese Egisto
-Senti bella mia, se mi vuoi sposare davvero, devi sapere che il tuo Oris metterà sempre al primo posto la corale e poi te. Lei si chetò e da quella volta non fiatò più.
Mentre Egisto apriva il cancellino arrivò anche Pietrino del sordo, un tenore sparato, voce dal timbro quasi secco, alto come un soldo di cacio, dritto come nessuno sulla schiena, la sigaretta in bocca, il volto rivestito da un paio di occhiali da vista con la montatura quasi nera. Li camminava di tacco ed allargava, quasi impercettibilmente, la punta delle scarpe.
-Finisco la sigaretta ed entro – disse rivolto ad Egisto.
-Va bene, Pietrino. Fai pure.
Poco dopo arrivò anche Sandrino, il marito di Rosa della Sagrestana. Sandrino faceva il manovale. Per le sue gambe arroncolate sembrava quasi claudicante. Lui non “apriva mai bocca”. Si limitava a cantare con la sua bella e squillante voce tenorile e a bere quel dito di vino che veniva servito da Maciste, il vinattiere della Corale, a metà serata della prova.
Alla spicciolata arrivarono in coppia anche le donne. Buon’ultima, benché abitasse a due passi, giunse anche la straripante Beppina di Galletto, il volto curatissimo, le labbra rosse come il fuoco e due occhietti scuri ma scintillanti, sempre sorridente , ma per niente cerimoniosa. Era, come si soleva dire in seno alla corale, una voce “portante”
Anche quella sera, nel previsto periodo di sosta, venne servito a tutti i coristi un dito di vino bianco. Al termine della distribuzione, nel fiasco rimase un quartino di vino. E Beppe Ghimenti:
-O maestro (Egisto), posso berlo io ? Voglio vedere se alla fine riesco ad ammazzare quel caffeaccio che mi aveva preparato mia moglie.
-Fai pure , Beppe.
Senza fiatare, Beppe si attaccò al fiasco e si trangugiò tutto il vino rimastovi. Due minuti dopo stramazzò su di una sedia ubriaco fradicio.
Al termine della prova Telempio e Sandro della Sagrestana, sorreggendolo per le braccia, lo riaccompagnarono a casa.
Lungo la strada, Beppe deliquiò tutta la bontà di cui il suo cuore generosissimo era capace. Quando si ubriacava, Beppe diventava l’uomo più buono del mondo.


1958, anno cruciale per la storia della Corale S. Cecilia

La Corale degli anni Cinquanta, anticipando i fasti del miracolo economico che cominciò a dare i suoi segni tangibili nel 1958, dava continuamente prova della sua effervescenza con le esibizioni nei paesi del Valdarno, con le sue gite che si erano fatte più frequenti e con i fidanzamenti fra coristi e coriste che sfociarono anche nei matrimoni. La corale, insomma, procedeva a gonfie vele.
Ma una sera parve succedere l’irreparabile. I coristi e le coriste si presentarono , dopo cena, al cancellino della sede delle prove. All’ora convenuta, Egisto, che teneva le chiavi della sede, tardava a presentarsi. Dieci minuti dopo arrivò Beppino, suo fratello, apri il cancellino e la porta della sede e fece entrare i coristi. Si portò davanti al leggio e a stento riuscì a dire:
-Mio fratello Egisto è diventato cieco. Ma proprio oggi, all’ospedale di Siena, mi ha pregato di dirvi che la Corale S. Cecilia non deve morire e che lui, con il vostro aiuto, continuerà a dirigerla fino alla morte. La corale, perciò, carissimi amici, è salva.
Qualche corista non seppe trattenere le lacrime.
Due mesi dopo ripresero le prove. I coristi, a turno, andavano a prelevare da casa Egisto e lo accompagnavano alla sede delle prove o in chiesa. Lui dirigeva senza spartiti. Non solo: arricchiva continuamente il repertorio della sua corale. Come? Ascoltando ripetutamente cassette e dischi con le esecuzioni dei nuovi pezzi di cui studiava ogni minimo particolare. Egisto, perciò, poteva dirigere come se ci vedesse.
Il suo matrimonio con Lori Trivellini si era rivelato infecondo. Egisto aveva assoluto bisogno di un erede a cui consegnare la sua eredità musicale ed il suo studio commerciale messo su a prezzo di tanti sacrifici.
Adottò il fucecchiese Aldo Briganti che si è rivelato il degno erede del fondatore della Corale S. Cecilia.



1963. La corale fu costretta ad una virata imprevedibile

Il Concilio Vaticano II parve decretare senza via di scampo la morte delle corali tradizionali ad ispirazione religiosa.
Venne prescritta la celebrazione della Messa in lingua nazionale -per noi in italiano.
Venne sollecitata la partecipazione dell’assemblea dei fedeli all’azione liturgica che si sarebbe svolta nelle chiese: dovevano cantare tutti e non le corali soltanto. E per assicurare questa partecipazione si dovevano eseguire testi in lingua italiana.
Le Sante Messe delle corali erano tutte in lingua latina. E al momento non esistevano compositori di Messe in lingua italiana.
C’era di che disperarsi per i direttori delle corali tradizionali. Proliferarono allora come funghi le corali parrocchiali in lingua italiana. Della Messa in italiano venne data immediatamente anche una versione canora. Di inni ne vennero sfornati a bizzeffe. I giovani frondisti che nel frattempo si erano avvicinati alla S. Cecilia esultarono. Anche i parroci, di fronte alla fioritura di gruppi canori diretti da giovani suonatori di armonium, pianoforte ed organo gongolavano.
Egisto preferì andare a parlare con il suo amico don Pietro Stacchini e con don Balducci, i due epigoni diocesani della musica religiosa cattolica o sacra.
I due colloqui furono per il Donati molto confortanti. Egisto, allora, radunò i coristi e le coriste della sua Santa Cecilia e così parlò:
-Carissimi coristi e coriste, non lasciamoci fuorviare dall’effervescenza delle iniziative canore in seno alle varie parrocchie. l’Arte, quella con la A maiuscola, non è una parola: è un valore universale ed eterno. Nessuno e per nessuna ragione può farla morire. L’Arte sopravviverà a tutto e a tutti. Potranno anche imbavagliarla; ma per quanto tempo? L’Arte è condannata ad emergere e a vincere. Nel nostro repertorio, quasi tutto in lingua latina è presente l’ingrediente dell’Arte e quindi saremo costretti a sopravvivere. Soltanto l’Arte ci dà la luce della verità e quella della felicita. È l’Arte, l’unico mezzo capace di produrre degli squarci sui muri del Mistero. L’Arte è forse l’unica fonte della felicità. Noi perciò disponiamo di un serbatoio pieno di felicità. Fra non molto verremo richiamati ad eseguire le nostre Messe, i nostri Improperi, i nostri Miserere, le nostre Messe in requiem. Perché nelle scuole superiori ci fanno ancora leggere l’Eneide in latino? Ve lo dico io. L’Eneide in latino è una delle più sublimi sinfonie create dal genio dell’uomo. Se ne leggeste la traduzione in italiano non ne apprezzereste nemmeno il valore narrativo. Perciò, se siete d’accordo, noi continueremo ad allenarci, metteremo su altre Messe dotate del sigillo dell’Arte. Don Pietro Stacchini, mio amico, e a suo tempo apprezzatissimo arciprete della Collegiata di Fucecchio, mi ha assicurato che in occasione delle grandi festività le Messe cantate saranno affidate alle corali come la nostra. Mi ha inoltre anticipato che la diocesi solleciterà parroci ed anche gli amministratori e le associazioni locali ad organizzare concerti corali con repertori sacri e profani. Non ci mancheranno perciò le occasioni per esibirci.
Il consenso dei coristi fu unanime. La Santa Cecilia riprese la sua normale attività sebbene dovesse prender nota che le adesioni di nuovi coristi, soprattutto maschi, si fossero davvero rarefatte. I giovani preferivano aderire alle corali parrocchiali che via via sembravano trasformarsi in orchestrine da spettacolo visto che facevano uso di chitarre e di strumenti a fiato.



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