La prima guerra mondiale si era già conclusa da tre anni. Egisto, ormai dodicenne, stava per varcare la soglia dell’adolescenza. Nel 1921 le due corali avevano ripreso a “marciare” speditamente. La chiesa delle monache, sul Poggio Salamartano era ancora chiusa al culto. All’inizio di questo anno furono iniziati i lavori di rirpistino all’interno della chiesa. Egisto non mancava mai di fare una capatina in questa chiesa. L’impresa edile che vinse l’appalto dei lavori di ripristino si rivelò velocissima. In pochi giorni vennero demoliti tutti i muri eretti a protezione dei vari altari. Con altrettanta rapidità vennero smaltite tutte le macerie. Dopo quattro settimane la navata della chiesa era sgombra e pulitissima. Al termine dei lavori, quel sabato mattina don Giuseppe si portò nella sua chiesa per verificare se era possibile spedire al vescovo la richiesta della riconsacrazione della chiesa. Mentre esaminava ammirato le tele dei dossali, entrò in chiesa anche Alessandro Mariotti, il maestro della banda di Fucecchio e compositore di marce. Alessandro si avvicinò a don Giuseppe e senza preamboli osservò: -A Fucecchio non si vedrà più una platea spaziosa come la navata di questa chiesa. Forse, se ci fossero state le panche non me ne sarei reso conto. Questo sarebbe uno spazio ideale per un concerto bandistico e non solo. Don Giuseppe cominciò ad ascoltarlo con interesse. Alessandro proseguì: -Che ne diresti, Marradi, di organizzare qui dentro un concerto bandistico e corale prima che la chiesa sia riaperta al culto: io dirigerei la banda e tu la tua Schola cantorum. Nel volgere di un paio d’ore non solo decisero di realizzare il concerto proposto dal Mariotti, ma buttarono giù anche una bozza di programma. Una settimana dopo l’accordo cominciarono le prove all’interno della chiesa delle monache. La sera della straordinaria esibizione Egisto fu presente e si potò sulla predella dell’altare dell’Immacolata Concezione sulla destra della navata. Da lì avrebbe potuto osservare molto bene i due direttori. La chiesa si riempì di spettatori. Per la prima volta, il neoadolescente, anziché seguire la corale, l’orchestra e la banda seguì per tutta la durata del concerto i due direttori e senza rendersene conto ne mimava i movimenti. Un mese dopo, la chiesa venne riconsacrata. Don Giuseppe, visto che la Quaresima volgeva al termine, realizzò, in collaborazione con le monache di clausura, un suo progetto che custodiva in cuore da quasi dieci anni: l’oratorio delle “Sette parole di Gesù”. La sera del Venerdì Santo la chiesa delle monache assunse le vesti di un teatro. Sul presbiterio, le monache avevano realizzato, servendosi di cartoni tinti col mordente a noce, un Calvario su cui si ergevano tre grandi croci. Don Giuseppe aveva fatto stampare dalla tipografia Bertoncini sette grossi cartelli di cartone su ognuno dei quali era scritta una delle sette parole pronunciate da Gesù. A Egisto era stato affidato il compito di collocare ad ogni segnale di don Giuseppe una delle sette parole su di un leggio verticale. La serata fu semplicemente sensazionale. Sul presbiterio vennero schierati tutti i coristi della scola Cantorum, gli orchestrali, l’armonium, il sacerdote lettore, quello commentatore ed il leggio verticale dove Egisto collocava di mano a mano ognuna delle sette parole. Il canonico Checchi leggeva il testo riferentesi ad ognuna delle sette parole mentre il priore della Torre, don Giulio Frediani, commentava il passo letto dal Checchi. Subito dopo l’esibizione della corale. Fu, quella, una serata veramente grandiosa. Don Giuseppe, al termine dell’Oratorio, apparve disfatto dalla fatica ma visibilmente felice. Egisto annotò nella sua memoria i rilievi in negativo e quelli in positivo riguardanti l’esecuzione corale.
In seminario insieme al futuro don Pietro Stacchini
Don Giuseppe, al termine dell’ennesima lezione di musica, nel tentativo di aiutare l’adolescente Egisto, a scoprire la propria vocazione, gli aveva chiesto: -Ma tu, Egisto, cosa intendi scegliere per il tuo futuro, la famiglia o la Chiesa? -La Musica – tagliò corto il giovane Donati. Don Giuseppe ammutolì di fronte ad una così chiara e ferma determinazione. Il sacerdote si limitò ad accarezzargli i capelli ed a pronunciare l’espressione augurale dei credenti: “Il signore sia sempre con te!” Qualche settimana dopo Egisto andò a congedarsi da don Giuseppe. -Domani entrerò in Seminario a S. Miniato. Credo di avere fatto la scelta giusta. Son venuto a salutarla, ma soprattutto per ringraziarla e per chiederle una preghiera. Don Giuseppe, mostrandosi felice come una Pasqua, lo abbracciò e gli confidò: -Io sarò sempre al tuo fianco. Di qualsiasi cosa tu avrai bisogno, ricordati di rivolgerti a me. Io sarò sempre disposto ad aiutarti. Appena Egisto ebbe conseguito la licenza elementare, il direttore didattico aveva mandato a chiamare Gianni, il padre di Egisto. -Senti , Gianni – esordì il direttore che lo conosceva il babbo da tanto tempo – ti ho mandato a chiamare per parlare seriamente di tuo figlio. -Ha fatto forse qualche malestro? – chiese preoccupato Gianni. -Nessun malestro. Tuo figlio è molto intelligente, è diligentissimo e molto educato. Questo ragazzo deve continuare a studiare per il bene suo ed anche per il bene di tutta la nostra comunità. L’insegnante che lo ha seguito mi ha assicurato che Egisto è un talento. Non dirmi che lo manderai alla scuola Tecnica Landini Marchiani. Lì, tuo figlio sarebbe sprecato. Lui deve frequentare il Ginnasio, poi un Liceo ed infine l’Università. -Lei discorre bene; ma a me chi me li darà tutti i soldi per mantenerlo agli studi. Io sono un calzolaio e purtroppo noi calzolai non abbiamo il lavoro per tutto l’anno. - Gianni, la conosco bene la tua situazione, però una strada ci sarebbe. - Quale? – chiese Gianni. - Il Seminario – rispose seccamente il Direttore. -Ma che vuol prendermi in giro? Io so che per mandare un figlio in seminario dobbiamo pagare una retta e io, i soldi per pagare la retta non ce li ho. - Gianni, tu non dovrai pagare niente. Ci penserò io a farti esonerare dal pagamento della retta. - Ah! Se così è. Sono d’accordissimo. Ma mio figlio sarà d’accordo? -Domattina, Gianni, ritorna qui da me con il tuo Egisto. Ci proverò io a convincerlo. Per i Direttore non fu difficile convincere Egisto a varcare la soglia del Seminario. Spiegò ad Egisto che quella era l’unica strada percorribile e che nessuno gli avrebbe impedito di gettare alle ortiche gli abiti talari a conclusione del curriculum studi. Egisto non mosse obbiezioni. Da don Giuseppe aveva saputo che in Seminario si può imparare la musica come se si frequentasse il Conservatorio. Beppa pianse quando vide partire il suo amatissimo Egisto e scosse ripetutamente la testa come se volesse dire: “Ma guarda che cosa dobbiamo fare per consentire ad un figlio di continuare a studiare.” Il giorno dopo il suo arrivo, mons. Giubbi, che aveva ricevuto una commovente lettera da don Giuseppe Marradi, mandò a chiamare Egisto. -Ho saputo che nutri una grandissima passione per la musica e questo mi riempie di gioia. Se ti fa piacere, ti farò conoscere un seminarista entrato qui due giorni prima di te. Anche lui ama moltissimo la musica. Vi metterò a disposizione due armonium. Nelle ore libere da impegni scolastici potrete usarli come e quanto vorrete. In un amen Pietro Stacchini ed Egisto divennero due amici e lo sarebbero rimasti per tutta la vita. Egisto Donati si rese immediatamente conto che Pietro era molto più in vanti nello studio della musica e soprattutto nell’uso dell’armonium. Entrambi utilizzavano le ore libere esercitandosi all’armonium. Rinunciavano quasi sempre anche alle gite fuori del seminario. Nonostante l’assiduità con cui si cimentava con l’armonium Egisto non riusciva ad eliminare il gap con Pietro. Il figlio di Gianni, però, non voleva essere secondo a nessuno. Appena ritornò a Fucecchio per le vacanze estive andò a trovare don Giuseppe e gli chiese dove avrebbe potuto esercitarsi con un armonium. -Non sgomentarti. Domattina alle ore 9 vieni sul Poggio Salamartano e ti farò una bella sorpresa. L’indomani il neoseminarista si portò sul Poggio Salamartano. Don Giuseppe lo stava aspettando sotto il portico della chiesa di S. Salvatore. Egisto lo raggiunse. -Questa – esordì don Giuseppe – è la chiave della chiesa della Misericordia. La terrai tu fino a quando non ritornerai in seminario. Nella chiesa (oggi auditorium della Casa del catechismo) c’è un armonium. Tu potrai suonarlo tutto il tempo che vorrai. Il Governatore della Misericordia ti ha accordato questo grande favore. Don Giuseppe aprì la porta della chiesetta. Al posto del dossale dell’altare c’era, allora, la grotta di Massabielle ricostruita in maniera fedele ed al centro una statua della Madonna. Sul lato destro dell’altare c’era l’armonium. -Puoi cominciare subito a suonare. Ci penserò io ad avvisare i tuoi genitori che ti trovi qui. E ricordati che una volta alla settimana verrò ad ascoltarti per rendermi conto dei passi in avanti che hai compiuto. Cominciò così per Egisto uno dei capitoli più intensi della sua vita. Egisto era sempre in quella chiesa: di mattino e di pomeriggio fino a che non calavano le ombre della sera. Dopo un mese di allenamenti il gap fra lui e Pietro Stacchini non esisteva più. Don Giuseppe, fedele all’impegno assunto andava tutte le settimane a sentirlo suonare e naturalmente non gli “lesinò” mai alcuni trucchi del mestiere.
Non venne via soltanto Egisto dal Seminario di S. Miniato
Aveva quasi venti anni, Egisto, quando decise di abbandonare e per sempre il Seminario dove aveva conseguito la maturità liceale. Gli spartiti non erano più per lui dedali segreti di note: sapeva leggerli ed anche eseguirli con l’armonium. Egisto non avrebbe disdegnato neppure il pianoforte, ma non gli era stato mai possibile esercitarcisi sopra. Ma il suo grande sogno era l’organo. Con quello strumento avrebbe potuto far esplodere tutta la sua sensibilità che si era canalizzata anche verso l’altro sesso. Indimenticabili, per Egisto, gli effetti prodotti nell’ampio spazio del duomo di S. Miniato, dal suono dell’organo in dotazione. L’organo riempiva con il suo suono tutto il duomo. Egisto, se avesse saputo e potuto suonare un organo, avrebbe potuto riempire di sé addirittura l’immensità dei cieli. L’organo può suscitare in chi lo suona il senso di potenza e addirittura quello di onnipotenza. Il ritorno nella vita civile non gli procurò nessun imbarazzo. Tutti sapevano che lui era entrato in seminario unicamente per poter studiare e per imparare a suonare l’armonium. Un altro fucecchiese era entrato con lui in seminario. Pure R. vi aveva intravisto l’unica strada possibile per conseguire un titolo di studio. Anche lui si era fatto una ragazza, bellissima. Entrambi erano stati arruolati immediatamente dalle parrocchie di appartenenza. Egisto scelse la via del canto e quella del teatro: insegnava canto, recitazione e catechismo. Organizzava accademie che prevedevano l’esecuzione di canti, la recitazione di poesie ed anche qualche recitina. Ma Egisto aveva in testa ben altri progetti. Come sempre, ed anche per questa nuova situazione, andò a confidarsi e a consigliarsi con il suo maestro di vita: don Giuseppe Marradi. Don Giuseppe, appena vide il suo allievo prediletto, lo accolse dicendogli: -Da oggi dobbiamo darci reciprocamente del tu. Io non ho da biasimarti per quello che hai fatto. Mica si deve diventare preti per forza. Magari… E qui don Giuseppe tirò il freno. Poi si riprese e chiese: -Dimmi, Egisto. Parla pure liberamente come se tu fossi in confessionale. -Io, una volta, quando ero ancora un ragazzino ti confessai che la mia vocazione principale era ed è la musica. In seminario ho imparato tantissime cose; ma ho scoperto anche che per diventare qualcuno nel campo della musica occorre studiare armonia, composizione, storia della musica. Le mie aspirazioni più immediate sono due: conseguire il diploma di maestro di canto corale per poter domani dirigere una corale ed imparare a suonare l’organo. So benissimo che per conseguire il diploma di Maestro di canto corale devo frequentare un conservatorio. E questo non mi è possibile perché i miei genitori non dispongono di risorse sufficienti per potermi mandare tutti i giorni a Firenze o a Lucca. Come posso superare questo ostacolo? -Potresti seguire dei corsi di musica per corrispondenza. Costano pochissimo e al termine del corso ti rilasciano un attestato che potrai esibire quando ti deciderai a sostenere l’esame per conseguire il diploma di maestro di canto corale. -Ma tu, don Giuseppe, ne conosci punte di scuole di musica per corrispondenza veramente affidabili? -No, ma posso farmele suggerire da Tommasini, quel frate famoso che ha già composto un paio di Messe in musica. Se lui non si fosse fatto frate sarebbe diventato uno dei migliori baritoni europei. Ha una voce divina. Stasera stessa gli scrivo e gli chiedo lumi sui corsi di musica per corrispondenza. -E per imparare l’organo, don Giuseppe, come posso fare? Tu che sei un organista celebre potresti darmi una mano? -Te ne darò anche due. Io conservo sempre il Metodo su cui studiai. Te lo passerò al momento opportuno e ti metterò a disposizione l’organo delle Vedute. Naturalmente dovrai trovare uno che ti tira i mantici; anzi puoi utilizzare quello che li tira per l’organo delle Vedute. Si contenta di pochi spiccioli. Prima però dovrai intraprendere gli studi per corrispondenza. Fra un anno si comincerà a parlare di organo. Se l’organo t’entra nel cuore, non te ne separi più. E allora addio studi. Son convinto che in un solo mese diventerai un ottimo organista. Intanto tieniti in esercizio con l’armonium. Devi allenartici un’ora tutti i giorni.
Nell’arco di tre anni il fondatore della S. Cecilia conseguì il diploma di maestro di canto corale e diventò un eccellente organista
Entrato in possesso degli indirizzi per seguire i corsi di teoria musicale per corrispondenza, Egisto si mise subito al lavoro, anzi allo studio. Per non gravare sulle magre risorse finanziarie della famiglia cominciò a fare lezioni private di matematica, di latino, di italiano. Addirittura si associò ad un ragioniere per tenere la contabilità di qualche bottega artigiana. Egisto studiava la notte e al mattino dall’alba fino a che non iniziavano i suoi impegni di lavoratore “precario”. Naturalmente trovava sempre due mezze ore per esercitarsi all’armonium che aveva noleggiato e che teneva in casa. Quattro mesi dopo aver intrapreso i corsi di musica teorica per corrispondenza Egisto, che nel frattempo era diventato corista della Schola cantorum, cominciò a sognare una sua corale, potente, ma capace di esibirsi in quegli effetti di forte-piano, di voce piena e di voce contenuta che fanno rabbrividire l’ascoltatore erudito. Un giorno chiese a don Giuseppe, al termine di una prova nella sede dei Coronati scalzi, gli spartiti degli Improperi, del Miserere, delle 7 parole, dell’Introito pasquale. Se li portò a casa e, nei momenti liberi da impegni di ..”corrispondenza” cominciò a studiarseli, a stabilire cioè le zone degli effetti. In cuor suo deliberò di spiegare in italiano il significato delle parole latine. Voleva che anche i coristi entrassero dentro il tema e nella suggestione espressiva con cui lo avrebbero proposto ai fedeli. Molte volte si soffermava sul pentagramma e piangeva perché magari la musica lo sprofondava negli abissi dell’inferno o gli faceva toccare le cime del cielo. La musica faceva breccia nel muro del mistero che circonda continuamente la nostra esistenza. La musica gli rivelava delle certezze che a noi comuni mortali sfuggono. Il bello ed il vero molte volte si identificano. Nel 1933 Egisto conseguì a Firenze il diploma di maestro di canto corale. Padre Tommasini, membro della commissione giudicatrice, si complimentò con Egisto e gli augurò una carriera ricca di successi. Rientrato a Fucecchio andò subito a trovare don Giuseppe che si commosse e lo abbracciò. -Ora ti darò subito il mio libro del Metodo per organo. Appena sarai pronto me lo vieni a dire e ti accompagnerò nella cantoria dell’organo delle Vedute dove potrai esercitarti a tuo piacimento. Voglio confidarti anche un mio vecchio desiderio. Io mi sono stancato a dirigere la corale ; il mio entusiasmo iniziale si è ormai spento. Non me la sento di studiare altri spartiti per metter su un nuovo repertorio. Anche Beppe, il direttore della “Verdi” si è stufato di dirigere i cori destinati alle opere liriche. I suoi coristi disertano le prove perché nell’arco di un anno possono esibirsi due o tre volte soltanto. Io e Beppe vedremmo bene la nascita di una corale unica che potrebbe dotarsi di un repertorio religioso e di uno profano o lirico. Pensaci, Egisto. Mentre scendeva le scale per rientrare in Via Landini Marchiani il neo maestro di canto corale rimuginò fra sé: “È da un paio di anni che sogno la nascita di cui mi ha parlato il mio direttore spirituale. Non gli ho rivelato i miei sogni per non mortificarlo. Se l’iniziativa della unificazione partirà dai due direttori il successo dell’iniziativa sarà assicurato. Ma ora devo pensare all’organo. Gianni, Beppa e Beppino, il fratello quindicenne di Egisto, festeggiarono il neo maestro di canto corale. Alla festa vennero chiamati anche i vicini e gli amici. Quella sera, Egisto non ebbe nemmeno il tempo di aprire il metodo per organo. L’indomani, la giornata di Egisto si rivelò piena di impegni. Dopo aver cenato, Egisto si rinchiuse nella propria camera e cominciò a leggere le prime pagine del famoso Metodo. Mezz’ora dopo dovette coricarsi perché il bisogno di dormire si fece impellente. Appena assopitosi, Egisto cominciò a sognare che stava studiando il metodo e, pagina dopo pagina, all’alba, almeno in sogno, aveva finito di studiare il libro. Si alzò verso le sette in preda ad alcune sensazioni apparentemente strane. Gli era successo qualcosa di straordinario, ma non se ne rendeva conto. Consumata la colazione, una mezza tazza di caffelatte ed una fettuccia di pane, Egisto ritornò in camera, aprì a caso il libro sul Metodo per organo, lesse qualche rigo ed esclamò: -Ma io queste cose le so già. Scorse altre pagine e di nuovo constatò che lui sapeva già quelle cose: le aveva studiate in sogno. Durante la notte era avvenuto un fenomeno paranormale che si verificherà un’altra volta a distanza di tanti anni. Un analogo fenomeno è accaduto anche al violinista Accardo. A tre anni venne portato ad assistere ad un concerto per violino. Al termine del concerto, quando gli spettatori erano quasi tutti usciti, lui volle di prepotenza il violino e l’archetto dell’artista che si era esibito. Quel fanciullo, ignaro di strumenti ad arco e senza l’ausilio di spartiti musicali, risuonò alla perfezione tutti i pezzi eseguiti dal violinista. Ne ebbe conferma, qualche ora dopo, don Giuseppe Marradi. Don Giuseppe accompagnò Egisto nella cantoria della chiesa di S. Maria delle Vedute. Egisto si sedette sul panchetto, collocò sul leggìo uno spartito per organo e cominciò a suonare facendo muovere le mani sulla tastiera e i piedi sulla pedaliera con una disinvoltura incredibile. Don Giuseppe ne rimase stupefatto ed interpretò questo fatto come un miracolo. Anno 1934:nella stanza dei Coronati scalzi nasce la Corale S. Cecilia
Il calendario segnava sabato 12 maggio 1934. Erano stati convocati nella sede dei Coronati Scalzi, per le ore 20, dai rispettivi direttori i coristi della “Giuseppe Verdi” e quelli della “Schola Cantorum”. Sul tavolinetto in fondo alla parete campeggiavano due fiaschi di vino e una decina di bicchieri. Alla riunione straordinaria parteciparono ben 50 coristi. Don Giuseppe, interpretando il ruolo del conduttore si limitò a dire: -Ringrazio tutti i presenti e prego l’amico Beppe di spiegarvi le ragioni per cui siete stati invitati a questa specie di Assemblea. Prese la parola Beppe Lotti. -Come vi avevo anticipato nel corso delle ultime prove, Fucecchio annovera tra i suoi personaggi illustri un giovane di 25 anni, baciato forse dalla musa della Musica. È il qui presente Donati Egisto, figlio del nostro Gianni Donati e nipote di Bicciolo. Proprio a Firenze ha conseguito il titolo di maestro di canto Corale. Egisto è anche un ottimo suonatore di armonium e di Organo. Ma soprattutto è un intenditore di musica e di canto. Lui nutre dei progetti ambiziosi. Vuole rinnovare i nostri repertori profani e religiosi e sogna un avvenire fantastico per le nostre due corali. Anzi, lui vorrebbe unificare le due corali e farle diventare una sola. Naturalmente conserverebbe nella loro integrità i repertori delle due corali allo scopo di poter ricoprire le richieste inerenti alla festività civili, alle stagioni liriche e alle festività religiose. Io, credetemi, sarò felice di passare la mia bacchetta di direttore al M° Egisto Donati. Anch’io mi aggregherò alla nuova corale come suonatore di contrabbasso. Perciò, amici miei, continueremo a stare insieme. Ora tocca te Don Giuseppe. -Io, amici miei, non ho da aggiungere molto a quello che ha esposto il direttore Beppe. Anch’io cederò la mia bacchetta ad Egisto che ho conosciuto e guidato fin dalla sua fanciullezza, ma non mi distaccherò dalla corale. Se Egisto ne sarà soddisfatto, io suonerò l’armonium. Ora prego Egisto di parlarci dei suoi progetti. -Non credo che ci sia bisogno di presentazioni. Fin da ragazzo sono stato sempre uno di voi. Poi c’è stata la lunga assenza del periodo del Seminario. Una volta ritornato alla vita civile ho ricominciato a frequentarvi. Da un anno son diventato maestro di canto corale, cioè Direttore di corali. Durante questo periodo ho esaminato moltissimi spartiti molto impegnativi e che richiedono un consistente numero di coristi. Se, per esempio riusciremo, di qui a Natale, a metter su la Messa Pontificalis a quattro voci, sicuramente ci pioveranno addosso tante richieste dai paesi vicini. La Pontificalis è, a mio parere, un capolavoro. Tutti la vorranno ascoltare, gustare. Poi intendo preparare un altro gioiello che ci imporrà all’attenzione e all’ammirazione di molte comunità toscane: l’Introito di Pasqua. Questi miei progetti prevedono un numero elevato di coristi. Se voi concorderete, se sarete disposti a formare una corale con doppio repertorio, sacro e profano, riscuoteremo dei successi inimmaginabili. Uniti, potremo partecipare a concorsi di ogni genere. Per cementarci ulteriormente ho in mente di organizzare almeno due gite annuali. E con i pochi introiti che incasseremo faremo ogni anno un pranzo sociale. Ora spetta a voi decidere se unificarci o se ridar vita alle due già preesistenti corali. A questo punto chiese la parola il basso Ciuce. -Noi bassi siamo tutti disposti a unificare le due corali. Prese la parola il tenore Mario Pacini: -Anche noi tenori siamo per la unificazione delle due corali. -E anche noi baritoni – disse uno in mezzo a tutti i coristi – vogliamo la unificazione e tu, Egisto, sarai il primo Direttore della nuova corale a cui dovrai dare un nome. -Io – riprese Egisto - la chiamerei S. Cecilia, visto che questa santa è la protettrice di tutti coloro che cantano. -Evviva la Santa Cecilia – gridò con foga don Giuseppe. E Beppe: -Ed ora festeggiamo tutti insieme con in due fiaschi di vino che si trovano sul tavolino. Nacque così, nel 1934, nella sede dei Coronati scalzi, la corale S. Cecilia.
L’esordio trionfale con l’esecuzione della Pontificalis a quattro voci
L’esordio della neonata corale S. Cecilia avvenne la notte di Natale del 1934. Oltre ai bassi, baritoni e tenori vi comparvero anche le voci bianche di un gruppo di ragazzini ben selezionato e preparato. Il coro della collegiata fu interamente riempito dai coristi e dagli orchestrali. Don Giuseppe, all’armonium, non riusciva a frenare la sua emozione per la corale nata dalla fusione della “Verdi” e della sua “Schola cantorum”. I violinisti Ottorino Freschi, Olintino Bagnoli, Arrigo Pacini, Brucio (Mannini) e sua moglie, il violoncellista Malvolti e il contrabbassista Beppe non riuscivano a frenare la loro impazienza: aspettavano che il nuovo e giovane direttoredesse il via alla Pontificalis con la sua bacchetta di ottone. Gianni e Bicciolo erano visibilmente compiaciuti e per niente preoccupati sulla conduzione del loro rampollo: Egisto, dovunque, suscitava sempre l’impressione di una sicurezza che talvolta poteva apparire eccessiva. Mario Pacini, tenore e grande amico di Egisto, lo spartito fra le mani aduse alla palpazione degli animali, fissava da dietro le sue lenti sempre “pulitissime” l’amico direttore in tenuta blu e cravatta amaranto. Spartaco e Norico, due voci bianche, figli del tenore Sandrino Ghimenti, scalpitavano: denotavano una voglia incontenibile di cominciare. Compreso del momento e quasi titubante il giovane figlio di Pistola non staccava il suo sguardo dal direttore. Quando l’arciprete della Collegiata, don Giulio Frediani, intonò il Kyrie eleison, Egisto diede il via. Per un attimo in Collegiata si fece un silenzio di tomba. Immediatamente l’orchestra intonò il Kyrie. Partirono i bassi, poi i tenori, poi i baritoni; infine le voci bianche, poi tutti insieme anche se ognuno seguiva una linea melodica diversa da quella dei quattro rami della corale. Don Giulio Frediani, seduto insieme agli altri due officianti, si beava di questa esecuzione che interpretava meglio forse di ogni altra il significato delle parole o della professione di fede. Don Giulio Frediani non riuscì addirittura a frenare le sue lacrime quando, a conclusione del Sanctus la corale si esibì nel Benedictus che si affida soprattutto alla linea melodica dei tenori. Più volte l’arciprete dovette ricorrere al suo fazzoletto bianco per detergersi le lacrime. I fedeli stupiti non si resero conto che quelle erano lacrime di gioia intensissima, di felicità. L’Arte, quando è autentica , sa compiere questi miracoli. Il nuovo direttore aveva saputo far emergere quest’Arte che, almeno nella intimità di don Giulio, avrebbe immortalato il compositore Perosi e la corale S. Cecilia. Al termine della Messa, don Frediani, anziché portarsi all’ingresso della sacrestia, entrò nel coro ed abbracciò, di nuovo piangente, il neo direttore Egisto Donati. -Bravo, bravissimi! – esclamò con la voce soffocata dal pianto. I fedeli, appena varcata la porta di uscita, non potevano esimersi dall’esclamare: -Bella, questa Messa! Bellissima!
Venerdì Santo 1937: due scherzucci pesanti in una volta sola
Al mattino, la corale S. Cecilia aveva eseguito in chiesa di S. Maria delle Vedute gli Improperi così com’era stato pattuito ab antiquo con la Schola Cantorum. L’invocazione Aghios Atanatos aveva suscitato qualche perplessità nel Direttore. -Stasera verso le sei ritroviamoci nella sede dei Coronati scalzi – aveva detto Egisto ai suoi coristi- Devo farvi riprovare una invocazione che non mi ha tropo convinto. Alle sei i coristi si portarono nella sede dei Coronati scalzi. Nella fila dei “bassi” militava anche Telempio, il principe degli scherzi. Al termine della prova, durata appena dieci minuti, Telempio, rivolto al maestro Donati, gli propose: -O maestro, gli si fa uno scherzo ai coronati? Egisto, visibilmente compiaciuto per l’esito della brevissima prova, accordò: -Sentiamo! -Avrai visto sicuramente che sopra il cosino dove ognuno attacca la propria cappa rossa c’e un cartellino dov’è scritto il nome e il cognome del coronato che indosserà quella cappa. A me piacerebbe scambiare il posto alle cappe. Te lo immagini il casino che succederà quanto un fratello alto dovrà indossare la cappa di un fratello più basso di lui. Io, poi, scambierei anche le corone. e poi bisognerebbe che uno di noi restasse in chiesa in mezzo alla gente per farci raccontare cosa succederà alle 8 quando i Coronati verranno a vestirsi per prepararsi alla processione di Gesù morto. -Va bene! – annuì Egisto. -Ci resto io in chiesa – assicurò Pietrino del Sordo, un tenorino coi fiocchi. Poco prima delle ore 8 di sera cominciarono ad arrivare alla spicciola i confratelli della compagnia dei Coronati. Non erano trascorsi ancora cinque minuti quando rientrò in chiesa, dalla parte del coro, trafelato, il confratello Ottorino Toni. Guardò all’intorno e appena scorse il “priorino” lo raggiunse e a voce alta, suscitando un certo imbarazzo fra i fedeli, gli disse: -Venga subito nella sede, per piacere! -O cos’è successo? – gli chiese il priorino. -Venga, venga! – ripeté Ottorino. Pietrino del Sordo non udì altro, ma è facile immaginare quello che successe nella stanza dei Coronati. Telempio “gliel’aveva combinata proprio grossa”. Intanto il Vezzi, futura guardia comunale e rispettabilissimo concorrente di Telempio, moriva dalla voglia di veder saltare un Coronato scalzo durante la processione di Gesù morto. Un anno prima, in occasione della lavanda dei piedi che si svolgeva anche in Collegiata il Giovedì Santo, con un agone lungo una quarantina di centimetri (lo aveva fatto con una stecca di ombrello acuminata con la mola dell’arrotino) aveva fatto sobbalzare il figurante che impersonava l’apostolo Pietro. E nessuno si era accorto di niente grazie alla complicità di due amici del Vezzi che ne avevano coperto i movimenti. Quella sera, prima che la processione uscisse dalla Collegiata, il Vezzi sparse in due zone buie del percorso chiodini, bullette, pezzettini di vetro, rametti di rose pieni di spine – in genere l’illuminazione notturna era affidata a piccole lampadine elettriche munite di piatto e poste alle estremità delle varie vie. La processione di Gesù morto era molto sentita dai fucecchiesi ed era solennizzata dalla presenza della corale che si esibiva nella esecuzione del Miserere e dello Stabat mater. Le zone prescelte e disseminate erano state trovate in via Arturo Checchi e in via Donateschi. I Coronati scalzi precedevano la statua di Gesù morto posta sopra una barella portata da quattro fedeli. Mentre scendevano per via Donateschi, giunti all’altezza del Palazzo dell’Opera Pia, Ottorino Toni sollevò di scatto il piede sinistro, emise un fievole “Oihoi!” ed uscì dalla processione. Fu sorretto da una donna che si trovava in quel punto. -Mi è entrato qualcosa nel piede. Guardi un pochino cos’è – le disse porgendole la candela accesa visto che in quel tratto di strada c’era buio pesto. Ottorino venne sorpassato dalla statua di Gesù morto ed anche dalla corale che si trovava proprio dietro a Gesù. Telempio sorrise soddisfatto ed annuì con un movimento della testa come se volesse dire “E due! te ne abbiamo combinate, caro Ottorino”. - Accipichia – sussurrò la donna a cui Ottorino aveva dato la candela – ha pestato un rametto di rosa e gli sono entrate le spine nel piede. - Me le tolga, per piacere. La donna obbedì ed osservò: - Mi sembra che tutte le spine siano rimaste attaccate al ramo. Provi un po’ a mettere il piede per terra. Ottorino, sia pure con un po’ di titubanza mise il piede sul lastricato e non provò nessun dolore. E allora riprese la sua candela e, allungando il passo, raggiunse i confratelli e si rimise in processione. Telempio, deluso, scosse la testa. Avrebbe preferito vederlo andare al pronto soccorso del S. Pietro Igneo.