Finalmente Egisto poté partecipare anche alle prove della Giuseppe Verdi e della Schola cantorum
Nell’autunno del 1915, cinque mesi dopo l’inizio della prima guerra mondiale, Egisto fece il suo ingrasso nella scuola elementare di Piazza XX Settembre. Nel corso del triennio bellico, dovette ripetutamente cambiare edificio scolastico perché la scuola elementare di piazza XX Settembre venne utilizzata come caserma per i militari italiani impegnati nella grande guerra. Naturalmente lo scolaro Egisto Donati si impose immediatamente all’attenzione degli insegnanti e degli scolari per la sua bravura e per la sua diligenza. Né la scuola né la guerra suscitarono mai un grande interesse per Egisto Donati, profondamente dispiaciuto perché le due corali erano state costrette a tirare il freno dato che moltissimi coristi era partiti per la guerra. Soltanto quando qualche salma di militare caduto sul fronte – ma furono rare queste occasioni – rientrava a Fucecchio, Egisto si lasciò coinvolgere dall’imponenza della manifestazione che l’amministrazione comunale tributava al caduto. Venivano affissi molti manifesti funebri. In chiesa Collegiata veniva allestito un grandissimo catafalco ricoperto con i drappi neri guarniti di decorazioni argentee. In questa occasione veniva messa insieme anche una corale raccapezzata fra i coristi anziani della Verdi e della Schola cantorum diretta da Don Giuseppe Marradi che si cimentava con il terrificante “Dies irae, dies illa”, quello stesso che la corale eseguiva tutti gli anni la sera di Tutti i Santi nella chiesa di S. Salvatore. E dopo la solenne cerimonia religiosa in chiesa si svolgeva un grandioso corteo funebre con la presenza delle autorità civili e militari e di una banda raffazzonata ma che ti sprofondava sotto terra con le sue marce funebri. Egisto di fronte a questi eventi ammutoliva, quasi sembrava andasse in trance. Questo ragazzo straordinario veniva visitato, addirittura travolto, da sentimenti di immensità che lo avrebbero accompagnato fino alle soglie della maturità. Le prove delle due corali si erano rarefatte al massimo. I presenti erano sempre pochissimi. Egisto poteva finalmente seguire suo padre anche alle prove. Ad ogni corista veniva sempre dato un foglio molto più grande di una pagina di quaderno con le rigature del pentagramma e con tante note musicali ora bianche ora nere, ora con l’asta con baffi e senza baffi ora senza l’asta. Anche il direttore teneva sotto gli occhi gli spartiti musicali. - Cos’è, babbo, la musica? – gli chiese Egisto durante un intervallo. - È questa – gli rispose Gianni mostrandogli lo spartito che aveva tenuto in mano durante la prova. Egisto parve non capire. Gianni se ne accorse e spiegò mostrandogli le note con l’indice della mano destra: -Vedi? Queste note mi dicono come e quanto devo cantare. Don Giuseppe, che aveva seguito il dialogo, intervenne: - O Gianni, ho capito da un pezzo che a tuo figlio piacerebbe imparare la musica. Perché non lo mandi da me? Gli insegnerò a leggere e a solfeggiare le note e subito dopo gli farò imparare a suonare l’armonium. Non preoccuparti per la spesa. Da te non vorrò neppure un centesimo. Egisto, raggiante in volto, guardò don Giuseppe e, se avesse potuto, lo avrebbe abbracciato. -Va bene – rispose Gianni. Cominciò così la magistrale carriera musicale del fondatore della Corale S. Cecilia di Fucecchio.
Le prime lezioni di lettura e di solfeggio delle note musicali in casa di Don Giuseppe
Erano già cominciate le vacanze estive. Don Giuseppe dispose che avrebbe insegnato la musica ad Egisto dalle ore 10 alle ore 11 del mattino. - Cominceremo lunedì mattina, eh! Semmai, Gianni, la prima volta ce lo accompagni tu a casa mia. - Ma cosa gli faccio portare al bambino? – chiese Gianni. - Niente. Penso a tutto io, Gianni. Il lunedì mattina, alla 9,45 , Egisto e suo padre scesero in piazza Montanelli, entrarono in via Landini Marchiani, entrarono nell’edificio posto sulla destra del mulino, salirono due rampe di scale, bussarono e furono ricevuti da don Giuseppe e da sua sorella Ines. Gianni si congedò quasi subito. Don Giuseppe ed Egisto si ritirarono in una stanza i cui unici arredi erano costituiti da un lungo tavolo di legno abbastanza vecchio, da uno scaffaletto di legno, da quattro sedie e dalla base di una credenza. Don Giuseppe indossava una spolverina grigia, quasi lisa e due manicotti neri. Ad un capo del lungo tavolo si trovava un telaietto per la rilegatura dei libri. Vicini al telaietto libri sciolti, un rocchetto di filo, una rotella di nastro bianco e qualche ago. - Siediti qui, Egisto – gli disse don Giuseppe. Sotto gli occhi dell’allievo c’era un foglio con alcuni pentagrammi senza note. Don Giuseppe fece vedere e toccare gli spazi e i righi musicali del pentagramma. - Oggi impareremo a riconoscere le note che si trovano negli spazi del pentagramma. E così, con la prima lezione, Egisto prese subito confidenza con le note dei quattro spazi: fa, la, do, mi. Al termine della lezione Don Marradi consegnò un foglio con sei pentagrammi stracarichi di note sistemate negli spazi. - Se domani saprai leggerle a volo, ti faro conoscere le note che camminano sopra i righi. Nel volger di poche settimane Egisto imparò a solfeggiare i primi esercizi del Metodo Bona. Don Giuseppe era molto soddisfatto della rapidità con cui Egisto superava le difficoltà del solfeggio. L’allievo, invece, non sapeva dissimulare un certo riserbo quando entrava nell’appartamento del direttore della Schola cantorum: Egisto aveva scoperto che Don Giuseppe era povero, molto povero. Come cappellano delle clarisse di S. Salvatore non percepiva quasi niente. In quel periodo in cui Egisto prendeva lezioni di musica la chiesa delle monache era stata chiusa al culto perché adibita ad uso militare. Per impedire prevedibili danneggiamenti agli altari e alle tele poste sui loro dossali si tirarono su dei muri di protezione dei medesimi. Questa situazione si protrasse fino al 1921, cioè fino a tre anni dopo la fine della guerra. Come direttore della schola cantorum don Giuseppe Marradi non guadagnava nulla. Qualche lira gli veniva corrisposta dal priore delle Vedute che aveva assunto don Giuseppe come organista. La rilegatura di libri gli consumava tanto tempo e gli procurava magrissimi introiti. La sua situazione sarebbe migliorata soltanto dopo la riforma Gentile del 1923. Gentile aveva introdotto lo studio del latino in diversi ordini di scuole superiori. Molti studenti si sarebbero serviti delle ripetizioni di Don Giuseppe e di padre Carlo Catarsi, un frate del nostro convento. Durante le lezioni di solfeggio don Giuseppe ed Egisto cominciarono a colloquiare. Don Giuseppe era maestro nell’arte di indurre i propri allievi a rivolgergli domande, anche le più disparate. Egisto ne approfittò e naturalmente adottò il direttore della Schola cantorum come suo interlocutore diretto ed interiore.
Finalmente un po’ di luce sulle due corali fucecchiesi
Egisto, specialmente d’estate, ora che contava 8 anni, accompagnava suo padre e suo nonno alle prove della corale di Don Giuseppe. I pochi coristi risparmiati dalla grande guerra si portavano nella chiesa delle Vedute e da lì nella sede della Compagnia dei Coronati scalzi posta sulla sinistra del coro. Agli attaccapanni affissi a tre delle quattro pareti dello stanzone erano attaccate le cappe rosse dei confratelli con la relativa corona di spine. Quasi in mezzo alla stanza c’erano un armonium ed un leggio dove Don Giuseppe collocava gli spartiti. Addossati alla parete libera due armadi muniti di cassettiere. Sull’armadio di sinistra, all’altezza della cornice che segnava il punto più alto dell’armadio, c’era la scritta in caratteri quasi gotici “Compagnia dei Coronati Scalzi”; sull’anta sinistra dell’altro un semplice cartello dove don Giuseppe aveva scritto ad inchiostro “Schola cantorum”. Nei rispettivi cassetti venivano sistemati gli spartiti tenori, quelli dei baritoni, quelli del bassi, quelli del direttore della Corale e quelli del suonatore dell’armonium. Vi erano anche i cassetti per gli spartiti degli orchestrali: quello dei violini, quello dei violoncelli e quello del contrabbasso. In un angolo vi era anche un tavolinetto con tre sedie dove i coristi deponevano il consueto fiasco di vino. Il tavolinetto veniva usato dal segretario dei Coronati scalzi per scrivervi i verbali delle sedute e per registrare, su appositi registri, le assenze dei confratelli. - O don Giuseppe, ma come mai la sua corale fa le prove nella chiesa delle Vedute e canta sempre nella Collegiata? -Perché nella Collegiata non c’è una sola stanza libera per le nostre prove: altrimenti andremmo lì a prepararci. Io, allora, chiesi al priore delle Vedute se ci poteva affittare per due volte alla settimana la sede dei Coronati scalzi. Lui, dopo aver interpellato i confratelli, ci disse subito di sì. Io gli chiesi quanto ci faceva spendere per l’affitto della sede. Lui mi rispose: - Noi non vogliamo neppure un centesimo; però dovrete venire a cantarci gratuitamente gli Improperi la mattina del Venerdì Santo e la Messa a tre voci con orchestra il giorno dell’Ascensione e la domenica successiva ad essa. - E noi, caro il mio Egisto, abbiamo sempre rispettato i patti. L’allievo si mostrò visibilmente soddisfatto della risposta fornita da don Giuseppe. Incoraggiato dalla esauriente risposta del suo maestro di Musica, il giovane Donati chiese ancora: - Ma perché il mio babbo ed il mio nonno vanno a cantare anche nell’altra corale? Perché l’hanno chiamata Giuseppe Verdi? Quando cantano quelli della Giuseppe Verdi? - Bravo Egisto! Ne hai messa di carne al fuoco, eh! Il tuo babbo ed il tuo nonno hanno una grandissima passione per il canto ed hanno due voci davvero impareggiabili. Nessuna corale potrebbe farne a meno. Il Lotti, direttore della “Verdi” e mio grande amico, gli chiese a suo tempo se erano disposti a far parte anche della sua corale. Il tuo babbo e tuo nono non se lo fecero ripetere due volte. Fra le due corali non c’è nessuna rivalità. Molti coristi della Verdi non vengono nella nostra corale perché a loro non piacciono per niente le Messe e gli altri canti religiosi: altrimenti ci verrebbero anche loro. Tu mi hai chiesto “quando cantano quelli della Verdi”. -Veramente – interloquì l’allievo – io volevo sapere, prima, come mai quella corale si chiama “Giuseppe Verdi”. -Hai ragione, ma devi sapere che ogni anno si svolge a Fucecchio o al Teatro Pacini o all’Arena Edison una stagione lirica. Tu, giustamente vorrai sapere, cos’è una stagione lirica, vero? A Fucecchio, vengono rappresentate ogni anno una, due ed anche tre opere liriche consecutivamente. In ogni opera lirica gioca un ruolo importante il coro. Ogni anno, fin da gennaio, noi sappiamo quali opere verranno rappresentate a Fucecchio. A questo punto il direttore della “Verdi”, il mio amico Beppe Lotti, prepara i coristi a cantare i pezzi previsti per il coro in quelle opere. Ora devi sapere anche che secondo moltissimi fucecchiesi, il più grande compositore di opere liriche è Giuseppe Verdi. Perciò la corale l’anno intitolata a lui perché lo ritengono il più bravo, il più amato. E poi perché… - Me lo dica. Muoio dalla curiosità. - Verdi, d’estate, veniva sempre in villeggiatura a Montecatini. Una volta ci andò a suonare il suo organino (una specie di fisarmonica) un fucecchiese. Verdi si fermò ad ascoltarlo e, al termine della esecuzione , non solo gli fece i suoi complimenti, ma gli chiese anche di dov’era. Lui gli rispose che era di Fucecchio. E Giuseppe Verdi di rimando: “Fucecchio, deve andare orgoglioso di te!” Al termine della conversazione allievo e maestro si mostrarono abbastanza compiaciuti. Ma don Giuseppe voleva ragguagliare ancora di più il suo Egisto. A luglio ci sarà l’annuale stagione lirica. Se vuoi vedere le grandi voci della lirica presenti a Fucecchio, recati al mattino per la via del ponte. Verso le ore 9, generalmente questi grandi si concedono una passeggiata sotto i platani. I grandi alloggiano nell’albergo “La Corona”, qui in piazza Montanelli. Oltre ai personaggi famosi, in ogni compagnia lirica ci sono anche personaggi di secondo piano, quelli che guadagnano pochissimo. Loro alloggiano all’Osteria del Diluvio che si trova in fondo al Poggetto (in fondo all’attuale via Alfredo Soldaini) o in cima a via dei cani (via Machiavelli). Lì ce li potrai vedere nelle ore vicine al pranzo e alla cena. In quell’osteria ci dormono pure. Quante cose aveva appreso quel giorno il nostro Egisto! Don Giuseppe, però, si era dimenticato di dirgli che la corale “G. Verdi” quando cantava nelle opere veniva pagata sia pure modestamente.
Il dilemma degli “Improperi”
Quel giorno Egisto rientrò raggiante a casa. In cucina c’era soltanto Beppa, la mamma, che, vistolo così galvanizzato, gli chiese: -O che hai trovato un borsellino pieno di monete? Era da tanto tempo che non ti vedevo così contento. -Ho trovato qualcosa di più dei soldi. -O cosa? -Delle risposte su cose che mi interessano tanto. Beppa, che non era tagliata a certe sottigliezze, riprese ad armeggiare intorno ai due fornelli a carbone su cui erano stati posati un tegame ed una pentola, entrambi in terracotta. Egisto le si avvicinò e le disse. Don Giuseppe mi ha detto che la sua corale deve andare tre volte soltanto a cantare nella chiesa delle Vedute. E per primo deve andarci la mattina del Venerdì Santo a cantare gli Improperi. Ma cosa sono, mamma, questi Improperi? -O che vuoi che ne sappia io. Chiedilo a babbo. Lui li canta e di sicuro lo saprà. Dalle volte ne parla con suo padre e tutte e due non la smettono mai di esclamare “ma quanto sono belli!” Egisto, deluso, scosse la testa. A pranzo, mentre stavano finendo di consumare la minestra di fagioli, Beppa aprì la conversazione: -O Gianni, Egisto voleva sapere da me cosa sono gli Improperi; ma io di certe cose non me ne intendo. Vuoi spiegarglielo tu? -Gli Improperi, ragazzo mio sono bellissimi. La chiesa si riempie di gente quando sa che li cantiamo; però non so cosa sono perché io il latino non lo capisco. Se ci tieni proprio a saperlo , chiedi una spiegazione al tuo don Giuseppe. Lui il latino lo conosce molto bene. Domattina, quando vai a scuola di musica glielo chiedi. Gli puoi dire che io non sono riuscito a spiegarteli perché non conosco la lingua latina. Egisto annuì con un movimento del viso. Il giorno dopo lo chiese a don Giuseppe. Il direttore della Schola cantorum prese uno spartito degli Improperi(a) e spiegò: La parola latina improperia significa rimproveri. Ebbene in questo spartito noi assistiamo ai rimproveri che Dio Padre rivolge senza stizza ma con profonda amarezza e costernazione al popolo ebraico. -Cosa gli dice? – incalzò l’allievo. -Te lo traduco subito dal latino. Ascolta!
"O popolo mio, che cosa ti ho fatto? In che cosa ti ho contristato? Rispondimi." "Io ti ho condotto fuori dalla terra di Egitto: e tu, invece, hai preparato la croce al tuo Salvatore."
Pietà o Signore Santo Dio.
"Io ti ho guidato nel deserto per quaranta anni, ti ho nutrito con la manna, e ti ho condotto in una terra molto buona: e tu, invece, hai preparato la croce al tuo Salvatore."
Pietà o Signore, Santo Dio. Di fronte a questi rimproveri, il popolo di Dio implora pietà, misericordia, perdono. E questa implorazione assume quasi la forma di un grido colmo di disperazione. Perciò, Egisto, qui emergono due registri contrapposti: da una parte il rimprovero di Dio emesso pacatamente, quasi sottovoce; dall’altra l’implorazione di misericordia da parte del popolo di Dio che assume il tono di un grido disperato. I bassi, in questo canto corale composto dal fucecchiese Antonio Nelli, interpretano il ruolo di Dio Padre; i tenori quello del popolo che grida la sua implorazione di perdono ora che si è reso conto del male compiuto ai danni del figlio di Dio. Un giorno, quando sarai entrato nel mondo della musica potrai apprezzare il valore espressivo delle due linee melodiche: quella dei bassi e quella dei tenori. Anche tu piangerai come succede a numerosi fedeli durante la esecuzione corale di questo testo. -Grazie, don Giuseppe – sussurrò Egisto.